Ieri sera mi trovavo in
un negozio e con la titolare, con la quale sono in confidenza, stavamo
accennando della manifestazione con distribuzione di volantini che stava
avvenendo a poche centinaia di metri da noi. Era presente un signore che
credevo il cognato, invece era un semplice amico. Costui, con molto garbo e
pacatezza, è intervenuto nel discorso che stavamo facendo con delle
osservazioni molto più generali, sulla globalizzazione e dintorni. Persona
certamente informata, ripeteva pedissequamente i soliti argomenti scalfariani,
compresa la cosiddetta teoria dei vasi comunicanti. Inutile replicare quando le
convinzioni si sono sedimentate tanto in profondità. Questo riferimento è solo
per dire dell’influenza esercitata dal giornalismo ammantato di pragmatismo e
che invece serve ben concreti interessi.
*
Scrive Scalfari oggi nel
suo editoriale:
“I Tir sono comunque il
centro di queste manifestazioni. Ricordiamoci che fu la loro rivolta in Cile a
mettere in ginocchio Allende aprendo la strada alla dittatura militare di
Pinochet”.
Messa così, per il
lettore che non abbia ben precisa la dinamica storica degli avvenimenti dei
primi anni Settanta in Cile, a mettere in ginocchio Allende fu una rivolta
popolare, poi sfociata nella dittatura militare. Più sottilmente, Scalfari
allude al fatto che dietro alla rivolta dei camionisti cileni (ma non solo
loro), vi fosse, come certamente vi furono, forze reazionarie interessate ad
abbattere Allende, il presidente democraticamente eletto. Naturalmente Scalfari
non può spingersi oltre, non chiarire da chi fossero eterodirette queste forze
reazionarie e poi golpiste. L’allusione al Cile di Allende serve a Scalfari
solo per tracciare un parallelismo con quanto sta avvenendo in Italia; ed
infatti scrive: “Gli spostamenti dei Tir sono costosi ma non si sa chi siano i
finanziatori”.
Quello di Scalfari è un
mestiere ingrato, non ci sono dubbi in proposito per le persone oneste, e c’è un motivo per il quale egli non si fa mai la barba da sé. A volte, per il passato, la sua stravaganza dava
al giornale un tocco di brio, il suo coraggio nel sostenere opinioni impopolari
dava a Repubblica l’impronta dell’anticonformismo.
Se poi (ma non è mai stato il suo caso) a causa di un editoriale si perdono
anche dei contratti pubblicitari, questa diventa la prova dell’indipendenza del
giornale. Il rovescio della libertà dell’editorialista è la non libertà della
redazione (soprattutto quando a comandare c’era proprio il barbuto). Qui gli
articoli devono essere scritti in un certo modo, devono soddisfare banalmente i
“bisogni” dei lettori: sex-appeal, horror-appeal, giallo-appeal, ecc.. E
anzitutto occhio alla “linea”.
TENGO FAMIGLIA!
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