Come scrivevo ieri, una questione posta male può trovare solo cattive risposte. Dicevo pure che il reato di
clandestinità è una cazzata. A tale riguardo, si potrebbe obiettare (e c’è chi lo fa, come Marco Travaglio) che l’immigrazione
clandestina non può e non dev’essere lecita: “nessuno Stato sovrano
può tollerare che circolino indisturbate sul suo territorio persone senza
un’identità certa”. S’è per questo, osservo, l’Italia non dovrebbe tollerare
parecchie cose, ma non voglio affrontare il discorso da quest’angolatura perché
porterebbe fuori tema.
Siccome nessuno Stato sovrano può tollerare che
circolino indisturbate sul suo territorio persone senza un’identità certa,
il parlamento a suo tempo ha stabilito che l’immigrazione clandestina sia
considerata reato, una misura di carattere penale che nelle intenzioni del
legislatore dovrebbe non solo punire ma servire da deterrente all’immigrazione
clandestina. Sennonché
tale obiettivo è una chimera poiché continuano a sopraggiungere decine di
migliaia di “clandestini” (con e senza virgolette).
Se ne rende conto anche Marco Travaglio, il quale nello stesso articolo suggerisce che l’immigrazione clandestina anziché perseguirla penalmente è preferibile sanzionarla amministrativamente. Afferma anzi che le “sanzioni amministrative”, quando funzionano, sono altrettanto o addirittura più efficaci. Il punto è proprio questo e riguarda l’insieme dei problemi di questo paese: quando le cose funzionano.
E in cosa consisterebbero tali sanzioni amministrative? Propone
il celebre giornalista: “I clandestini non vanno inquisiti e processati per il
solo fatto di trovarsi in Italia: vanno semplicemente identificati
e poi espulsi dalle
forze di polizia”.
Identificati e
poi espulsi dalle
forze di polizia tutti quanti? Eh
no, qui sta la geniale intuizione di Travaglio: “con un distinguo: nel gran
calderone dei “clandestini” in Italia sono compresi non solo gli immigrati che
arrivano apposta per delinquere o
vagabondare; ma anche gli onesti
lavoratori che non riescono a ottenere il permesso di soggiorno perché la
Bossi-Fini impedisce loro di regolarizzarsi. Una legge seria dovrebbe distinguerli nettamente: cioè agevolare le
procedure d’identificazione ed espulsione
dei primi; e quelle di regolarizzazione
dei secondi”.
Applausi convinti.
Un problema di procedure, dunque, secondo Travaglio, che si risolverebbe nell’identificazione
e selezione tra “buoni” e “cattivi” clandestini. Si dà il caso, però, che per
distinguere tra i clandestini arrivati apposta per delinquere o vagabondare e gli
onesti lavoratori, non basta un esame del sangue (senza contare i problemi
giuridici che una tale distinzione comporterebbe, soprattutto circa
l’aleatorietà della posizione di “vagabondo”), e del resto per decidere chi è un delinquente non si può aspettare che commetta un reato (quale reato, qualsiasi reato?).
Facciamo un caso concreto di applicazione della nuova legge Travaglio. Immaginiamo di essere
sul molo di Lampedusa al momento dell’arrivo di clandestini raccolti in mare da
un’unità di soccorso; ebbene, come si fa a distinguere tra i due generi di
clandestini, tra “buoni” e “cattivi”?
Posto tuttavia che riusciamo a stabilire chi è “onesto lavoratore”, la
regolarizzazione automatica secondo la proposta di Travaglio darebbe diritto a qualunque
straniero con la fedina penale intonsa ed entrato in Italia clandestinamente –
declinate prontamente le proprie generalità e dichiarata solennemente la disponibilità
a lavorare (dove, assunto da chi?) – di essere regolarizzato a norma di legge.
Peraltro non mi pare che ciò s’accordi con i trattati internazionali
sottoscritti dall’Italia, ma anche questo è dettaglio, anzi, Travaglio.
E il bello è che, una volta svolto il loro compitino, questi intellettuali a pagamento si sentono orgogliosi e soddisfatti delle loro soluzioni. Avanti il prossimo problema da risolvere con un nuovo articolo di fondo.
RispondiEliminavivono in torri d'avorio
EliminaNe La Storia Infinita, alla fine, la Torre d'Avorio crollava ...
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