Galli Ernesto dalle pagine del Corriere se la prende con chi scarica sugli
altri le responsabilità del disastro italiano. Se la prende con quelli di
Destra e di Sinistra (sempre in maiuscolo, per carità), conservatori e
riformisti (a chiacchiere) tutti accomunati nel “peccato nazionale”, in
sostanza accusati di vivere a scrocco e di aver ridotto l’Italia a un paese disastrato.
Centinaia di migliaia di pensioni d’invalidità “elargite a
chi non le meritava” (forse a chi non spettavano?), un sistema pensionistico
che per anni ha consentito a decine di migliaia di italiani di destra come di
sinistra di andare in pensione con un’anzianità ridicola, troppi lavori
pubblici decisi da amministrazioni di ogni colore e costatati dieci volte il
previsto, troppi posti assegnati in base a una raccomandazione, l’evasione
fiscale, i padroni che non investono, eccetera. Il solito lungo elenco, e Dio
solo sa che queste cose, di per sé, sono assolutamente vere, e che le parole di Galli, per il sentimento che esprimono, sono sante.
Magari
Galli Ernesto avrebbe potuto citare quale esempio concreto del nostro declino
industriale, il caso Fiat. È colpa della Fiom se le auto della
gamma (?) Fiat di maggior “successo” sono la Panda e la Cinquecento prodotte
all’estero? Lo smantellamento di Lancia e Alfa Romeo è colpa dei
cassaintegrati fannulloni? Le informazioni finanziarie drogate, gli abbellimenti di
bilancio di Parmalat e la vicenda Cirio, l’espulsione da interi
settori produttivi della nostra industria, a chi le mettiamo in carico? Ai
pensionati con meno di mille euro il mese?
E
ancora, la detassazione
dei guadagni di Borsa, le stock option che rubando valore agli azionisti e
arricchiscono oltre ogni logica i manager, i castelli finanziari del gruppo Ferruzzi – Montedison
che aveva contratto debiti con ben 311 banche italiane ed estere, a
chi le addossiamo le colpe di questi disastri, al dentista di destra o all’artigiano di sinistra che
omettono fattura?
Chi
ha creato il perverso intreccio
tra economia, affari e partitocrazia, e la decisa spinta verso un modello
liberista puro, da “capitalismo selvaggio”, ossia il vasto programma di privatizzazioni a partire dagli
anni Ottanta? Quale cazzo di dibattito politico o sindacale è
intervenuto sul processo di privatizzazione, e invece chi l’ha sostenuto a
spada tratta – con quali obiettivi reali – dalle pagine dei giornali padronali
e negli altri media? Ricordiamo quando – ossia fino all’altro giorno – la
parola “mercato” era fatta passare come la panacea di ogni inefficienza e
spreco?
Chi, per favorire gli interessi
inconfessabili dei grandi gruppi per le privatizzazioni, ha organizzato
un’ondata denigratoria generalizzata e sistematica delle imprese a
partecipazione statale e dei loro dirigenti? È “faziosità”
questa, è “irrefrenabile pulsione a trovare
complici del male specialmente nella stampa”? Sì, c’è in circolazione anche
parecchia faziosità e irrefrenabile
pulsione, ma a coltivarla e diffonderla sono proprio i media, sicuramente non
neutrali rispetto all’ establishment e a certi obiettivi di consenso.
Le partecipazioni statali
nell’industria e nelle banche sono spesso nate dall’esigenza di raggiungere
obiettivi strategici nazionali, con riflessi socialmente rilevanti. Nel tempo,
l’eccessiva ingerenza politica ha portato indubbiamente a inaccettabili
storture e scandalose inefficienze, a un sistema di vasta corruttela.
Dunque, poniamo pure che in alcuni
settori, stante i numeri prodotti dai grandi regimi finanziari o dalle attività
delle aziende multinazionali, le privatizzazioni e l’internazionalizzazione
fossero necessari; tuttavia si tratta di processi assai complessi e di operazioni
di carattere essenzialmente politico, per cui è richiesta una definizione degli
obiettivi ultimi e la verifica delle compatibilità strategiche nazionali (vedi
Telecom), e un’attenta selezione di ciò che è oggetto di privatizzazione (vedi
la vicenda del nuovo Pignone), eccetera. Quanto di tutto questo è avvenuto?
Per contro, però, le intervenute privatizzazioni
solo nelle dichiarazioni di principio hanno risposto a obiettivi di
miglioramento di competitività e di efficienza del sistema economico, ma in
realtà esse hanno puntato anzitutto a ingrassare profitti e rendite (“plusvalenze private da
capogiro“ le definì uno
che se ne intende), e favorire un nuovo regime di monopolio (pensiamo solo
all’acqua e ai servizi pubblici in genere, alle autostrade, ecc.).
E ciò anche a seguito delle pressioni derivarti dal processo di
unificazione europea e dei conseguenti parametri di Maastricht, da cui è
prevalsa la necessità di risanare le finanze pubbliche, ignorando non solo ogni
compatibilità sociale, ma creando l’occasione per operare un vero e proprio
saccheggio del patrimonio nazionale al quale hanno partecipato grandi gruppi e
banche d’intermediazione, cui si è ben volentieri unita parte rilevante della
classe dirigente, i cui nomi hanno figurato sul libro paga di banche d'affari
spesso al centro d’indagini.
E con questi esempi si potrebbe
continuare a lungo quanto alle “colpe” e alle responsabilità per ciò che e
accaduto nei principi e ora negli effetti. Perciò è molto facile prendersela
con le pensioni d’invalidità fasulla (che ovviamente non difendo, ma che in non
pochi casi suppliscono un salario sociale di sopravvivenza), svolgere una
critica omnicomprensiva in cui siamo tutti imputati sullo stesso banco, ma che
in realtà elude le questioni vere e fondamentali della crisi di sistema e della
decadenza industriale, dunque dell’impatto sociale, non solo dell’Italia ma di
tutto l’occidente (basti pensare agli scandali Enron, Tyco e WorldCom).
Cominciamo col dire che questo
sistema economico ha la necessità di operare uno sfruttamento sempre più
brutale di uomini, risorse e natura. Di qui, possiamo partire e poi, ma solo a
valle, dilettarci con le denunce dei “peccati nazionali” da mettere in carico a
un paese corporativo e parassitario, incatenato nell’analfabetismo, spesso compiaciuto
della propria arretratezza e universalmente succubo del più sciocco edonismo. E
dunque mettiamo sotto accusa anzitutto una classe imprenditoriale interessata
solo ai propri interessi e non a problemi di carattere generale, quindi i media
dei quali essa è proprietaria, e gli editorialisti, divi del giornalismo e
capitani nella loro vasca da bagno.
Mi scusi per una domanda: ma lei, ha mai fatto parte di qualche formazione politica in vita sua?
RispondiEliminaSe mi risponderà, le chiarirò il motivo della mia domanda, che le posso assicurare, è del tutto serio.
Cordialità
sì
EliminaRisposta alquanto scarna, il massimo della concisione...una misera sillaba. La ringrazio della sillaba comunqe, meglio di niente!
EliminaIl motivo della mia domanda è questo: non crede che queste cose che ha spiegato nel post, sarebbero fruibili a milioni di persone più facilmente, ed in maniera assai più efficace di quanto faccia questo - seppur nobile - blogghetto, se avessimo una forza politica di riferimento, una organizzazione politica di classe il cui principale scopo, non sarebbe quello di andare in parlamento, ma proprio quello invece, di formare una coscienza di classe?
Cioè, siffatta organizzazione politica, dovrebbe: informare, "educare", indi emancipare le masse rimbambite ed illuse non solo dall'ideologia dominante, ma anche dai mass media di accompagno all'ideologia dominante (veri e propri mezzi di persuasione occulta) rigorosamente gestiti dalle classi dominante.
Insomma, un nucleo di persone come lei da cui partire, per poi allargarlo man mano. Specifico: non sto parlando di una organizzazione piramidale, anche se inizialmente, per forza di cose bisogna partire da un nucleo di persone che si è già emancipato dall'ideologia capitalistica corrente.
Credo che, una tale organizzazione politica (partito) che si proponga "inizialmente" l'educazione (o diseducazione dovrei dire?) politica delle masse, non vi sia mai stata (tentativi ne sono stati fatti comunque, certo!). E finchè non vi sarà, segneremo sempre il passo, noi proletari come tutta l'umanità invero.
Cordiali saluti
caro amico, capisco le sue buone intenzioni, i suoi elevati proponimenti, ma siamo nell'epoca di internet e di twitter. la gente può trovare tutto ciò che vuole se lo vuole, non serve imboccarla. solo un terzo twittano gli altri 2/3 "guardano". e che cos'è twitter? uno scambio di bigliettini come un tempo a scuola, un giochino infantile. non che sopravvaluti i blog, per carità, ma almeno ci dà la possibilità di esprimere un pensiero articolato su un determinato argomento. di più proprio non riesco a illudermi. grazie e ciao
EliminaGentile Olympe, può aggiungerci giusto un po' di condimento a quello scarno 'sì' dato in risposta ad Anonimo?
EliminaMi piacerebbe tanto sapere se ha fatto parte del vecchio PCI.
no, carissima, assolutamente no. ciao
EliminaEh! E ci tocca pure di starli a sentire mentre ci fanno la morale dai giornali e dalle tv, questi figli di zoccola maggiordomi dei peggiori farabutti.
RispondiEliminaPost perfetto. Prova del fatto che la meritocrazia cara agli illustri ideologi del Corriere della Sera è una panzana: se il merito fosse davvero premiato, Olympe dovrebbe scrivere editoriali per i principali quotidiani nazionali e Galli della Loggia andare a zappare, attività peraltro in sé nobilissima.
RispondiEliminaconcordo sull'attività in sé nobilissima. ciao
EliminaLa spontaneità e l’improvvisazione possono favorire un momento rivoluzionario ma non garantiscono una rivoluzione. Il potere si conquista ancora con strutture piramidali,soldi,militanti,macchine elettorali e una strategia:quale blocco sociale,quale alleanza,per quale progetto?
RispondiEliminaDice Alain Accardo: La presenza sul tavolo di tutti gli ingranaggi di un orologio non permette, a chi non ha le istruzioni per il montaggio, di farlo funzionare. Un piano per l’assemblaggio è una strategia. In politica ,si può far nascere una serie di crisi in successione,oppure si può riflettere sull’assemblaggio delle parti.
L’ultimo tentativo,non riuscito, è stato quello di Ingroia che eliminò i simboli dei partiti, ma non l’ingombrante presenza dei culetti in cerca di cadreghe.
Le privatizzazioni sono iniziate negli anni '80 e sono state una gigantesca ritirata dello stato con la consegna al mercato- capitale finanziario, in primis- di interi settori come i servizi pubblici e i servizi a rete.
RispondiEliminaLe classi popolari hanno pagato tutto questo in termini economici pagando tariffe più alte, l'elite finanz-capitalistica ha portato a casa profitti stellari.
Ed è questa elite-trasversale politicamente- a condizionare la politica che conta sempre meno, ormai quasi più nulla.
C'è però anche un risvolto culturale in tutto questo: le ricette privatizzatrici appaiono inevitabili e sono praticamente indiscutibili. Quasi come una religione
la classe dei parassiti è formata da milioni di pensionati, cassaintegrati, commercianti, commerciali, bancari, politici, mediatori, delocalizzatori, finanzieri, finanziari, burocrati, amministratori, amministrativi etc.
RispondiEliminaContinueranno a succhiare sangue fino alla morte del loro ospite.
Possiamo solo aspettare che le persone ridotte alla fame decidano di non suicidarsi ed agire di conseguenza.