sabato 12 ottobre 2013

Badilate di storia a margine delle cazzate grilliane


Quando decresce il prezzo della forza-lavoro,
si svaluta anche il valore della vita umana.
È la legge della domanda e dell’offerta.

Una questione posta male può trovare solo cattive risposte. Il reato di clandestinità è una cazzata così come lo è – a proposito di sovraffollamento delle carceri – la legge Fini-Giovanardi (basta il marchio). Restano i problemi, quelli veri, sulla carne viva della gente. Non è un caso che i partiti di estrema destra mietano consensi, anche perché la sinistra non esiste più da molti anni, e non è un caso che ciò avvenga. Così com’è assiomatico che quando la povertà e l’emarginazione aumentano a causa d’imponenti trasformazioni economiche, cresce la criminalità e con essa la richiesta di sicurezza, le pene si fanno più severe e poi seguono le legislazioni speciali, quando non dei veri e propri cambi di regime politico. Ciò non dipende in generale dalla malvagità di taluni individui – anche se ciò non assolve dalle responsabilità personali – ma dalle spontanee conseguenze della natura di un processo storico che gli uomini non sanno ancora governare.

*

Povertà ed emarginazione, come detto, aumentano i delitti e di conseguenza i rei, perciò sono le condizioni sociali che modellano il diritto penale. In generale, noi abbiamo, a tale riguardo, idee assai preconcette, poiché il senso comune è dato da stereotipati scolastici e mediatici non solo per quanto riguarda gli avvenimenti più recenti ma anche per le epoche più remote. Non è un caso che vi sia più verità storica nei romanzi che nella saggistica da banco.



Per esempio, spesso ci riferiamo al Medioevo senza tener conto che si tratta di un periodo storico che copre un tempo di circa un millennio. In genere, attribuiamo il giusto rilievo alle invasioni arabe e normanne, ma non sappiamo quasi nulla delle incursioni ungare del X secolo, fenomeno più devastante delle invasioni unne, tanto per fare un raffronto.

Le schiere ungare s’incontrarono o si alternarono in Vestfalia, nella valle del Reno, in Fiandra, in Borgogna, in Provenza, nell’Italia settentrionale e meridionale. Venezia corse il maggior pericolo della sua storia, e fu devastato il suo entroterra. Ancora agli inizi del XX secolo, l’asse stradale della via Postumia, corridoi fondamentale per entrare in Italia da est, era chiamato “via ungaresca” (significativo – e a conferma di quanto sto dicendo – che Wikipedia non spieghi il perché di tale toponimo) (*).

Solo dopo tale periodo, l’Europa e l’Italia potranno contare su un progressivo impulso economico, con la parentesi della grande peste (XIV sec.). La Chiesa rappresentava, come sistema, il più grande proprietario fondiario, e anche laddove essa non detenesse la proprietà della terra, o non percepisse gli affitti, poteva contare sui benefici delle decime e di simili entrate (**). Per quanto riguarda la nobiltà, essa rappresentava l’altro grande proprietario di fondi agricoli.

I ricavi derivanti dalla proprietà fondiaria e dagli altri benefici, erano per la maggior parte pagati in natura, ossia in granaglie, vino, pollame, bovini, corvè, ecc. In regime normale, la quantità di questo plusprodotto superava quello che la crapula clericale e i bisogni dei signori feudali e dei loro lacchè potevano consumare, e non c'erano né arti e nemmeno manifatture così sviluppate che producessero dei prodotti con i quali poter scambiare l'eccedenza. Si costruivano cattedrali e manieri come già gli egizi le piramidi, ma il surplus non si poteva scambiare con i prodotti di qualche secolo più tardi.

Il clero e la nobiltà potevano trarre vantaggio da questo immenso surplus in nessun altro modo se non nell'ospitalità più prodiga e nelle opere di carità. La nobiltà si occupava in genere di mantenere gli sgherri e una pletora di cavalieri, di piccoli burocrati e intellettuali, e ancora molti altri servi.  Il clero, soddisfatti i bisogni di un gran numero di preti e religiosi, si occupava degli altri, cioè dei poveri veri e propri di cui ogni regno abbondava.

L'ospitalità e la carità del clero aumentava di molto il peso delle sue armi spirituali. La carità, come insegna Bergoglio non meno del Corano, è una virtù che procura il paradiso e però nel secolo essa copra il massimo rispetto e venerazione tra le plebi stupide e ignoranti, di modo che tutto ciò che appartiene all’ambito dell’ordine religioso, le dottrine ma anche i beni e i privilegi, appare vero, legittimo e anzi sacro agli occhi del gregge comune, e ogni violazione di tale ordine è vista come il più alto atto di malvagità sacrilega e di profanazione.

Riassumendo per schemi il tipo di mutamento: il clero, soprattutto i grandi dignitari della Chiesa, trovano nei prodotti delle manifatture e delle arti che si andavano sviluppando qualcosa con cui poter scambiare i loro redditi, ossia trovarono il modo di spendere il surplus a favore del proprio agio personale assecondando i più diversi gusti e temperamenti. La loro carità divenne meno ampia e gradualmente fu privata delle risorse di un tempo. Per lo stesso motivo la nobiltà trovò opportuno e piacevole investire il proprio surplus in prodotti di lusso e altre merci, di modo che la sua ospitalità fu meno pletorica e meno liberale. Ciò peraltro favorì la divisione del lavoro e l’occupazione nei rami della manifattura e del commercio, ma non abbastanza da assorbire le fila di poveri e di marginali.

È naturale che il clero e la nobiltà desiderassero migliorare le rendite dalle loro proprietà. Non avevano più bisogno, se non entro certi limiti, di prodotti naturali, ma avevano bisogno di denaro o di merci scambiabili prontamente sul mercato. Il denaro era diventato il potere dei poteri. Gli incrementi di rendita si potevano ottenere anzitutto concedendo in affitto i terreni a dei conduttori, i quali diventavano in tal modo indipendenti dal clero e anche i legami di tipo assistenziale venivano in tal modo ad allentarsi, tanto più quanto aumentava il disgusto per la vanità e il lusso di cui davano mostra le gerarchie ecclesiastiche. D’altro lato, lo scioglimento dei seguiti feudali che «dappertutto riempivano inutilmente casa e castello», gettò sul mercato del lavoro una massa di proletari (***).

I piccoli proprietari fondiari che coltivavano i propri campi con le loro braccia e godevano d’un modesto benessere, formavano per esempio in Inghilterra, nel XV secolo, una parte della nazione molto importante, non meno di 160.000 proprietari fondiari che con le loro famiglie devono aver costituito più di un settimo della popolazione totale, i quali vivevano della coltivazione dei loro piccoli appezzamenti in freehold (proprietà libera da ogni specie di vincolo). È stato calcolato che il numero di coloro che coltivavano terreno proprio era maggiore di quello dei fittavoli su terreno altrui.

Fu questo un processo che durò alcuni secoli e portò già alla fine del XIV secolo alla quasi scomparsa della servitù della gleba. Il passaggio successivo fu la spoliazione, ottenuta legalmente o con la forza, di questi fittavoli e piccoli proprietari sia delle terre sulle quali lavoravano e sia delle terre comunali sulle quali pascolavano il loro bestiame, cacciavano e che offrivano loro anche il materiale per il fuoco: legna, torba, ecc..

Scriveva Bacone: «Intorno a quel tempo (1489) aumentarono le lamentele sulla trasformazione di terreno arabile in pascoli (per le pecore ecc.), facilmente curati da pochi pastori; e le affittanze a tempo, a vita e a disdetta annua (delle quali viveva una gran parte degli yeomen (piccoli contadini indipendenti), vennero trasformate in tenute direttamente gestite dal proprietario fondiario. Questo provocò una decadenza della popolazione e di conseguenza un declino delle città, delle chiese, delle decime».

Né va poi taciuto il ruolo che ebbe la Riforma nel colossale furto dei beni ecclesiastici, nella cacciata in massa degli antichi fittavoli ereditari dei conventi.

Non deve dunque sorprendere, per farla breve, che la creazione di così tante braccia disoccupate e bocche in cerca di cibo, determinasse poi una legislazione penale particolarmente severa (per usare un eufemismo). Fino al Medioevo la pena di morte e le mutilazioni gravi per i reati comuni erano usate in casi estremi e sostituivano un calibrato sistema di pene pecuniarie. Agli albori del capitalismo, nella nuova situazione sociale, aumentò in modo straordinario il numero delle sentenze di morte. Nel XVI secolo, durante il regno di Enrico VIII, furono giustiziati 72.000 ladri; sotto Elisabetta s’impiccavano i vagabondi impiccati in fila, tre o quattrocento per volta. Su una popolazione, quella dell’Inghilterra, che era solo di tre milioni! Le cose non andarono meglio altrove se solo il boia di Norimberga, tale Franz Schmidt, durante la sua carriera (1573-1617), giustiziò ben 361 persone e inflisse 345 punizioni corporali (non semplici frustate).

* *

Chiaro che non mi nascondo che in questo processo storico complessivo intervennero altri potenti fattori, quali l’espansione europea che per la prima volta (o la seconda?) creò un mercato finalmente mondiale. Ed un ruolo importante ebbe anche l’invenzione della stampa a caratteri mobili, anzi essa segnò di per sé una rivoluzione non solo culturale paragonabile a quella iniziata nei nostri anni e che ha come protagonisti il microchip, internet, i satelliti, i nuovi materiali, la robotica, la stampa in 3D, eccetera. Non va mai trascurato però l’aspetto fondamentale, ossia il movimento economico di base delle trasformazioni e la contraddizione dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione.

«Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura».




(*) Tali incursioni, per esempio, provocarono in tutta Europa, da nord a sud, danni irreparabili al patrimonio artistico e la distruzione rilevantissima di quello bibliografico, oltre ad impedire l’ultima occasione per la formazione di una monarchia nazionale quando rivelarono l’intima debolezza del regno di Berengario, provocando l’offerta della corona a Ludovico di Provenza prima e a Rodolfo di Borgogna poi. Solo alla luce di tali incursioni, altro esempio, si può comprendere come matura il comune rurale da un lato e come i vescovi dall’altro, nel cadere delle autorità statali, assumano figura e funzioni di rappresentanti e tutori delle città, appoggiandosi ai cives, dai quali non molto più tardi nascerà il comune cittadino. Eccetera. Ancora alla battaglia di Lech, il 10 agosto del 955, l’esercito ungaro potrà dispiegare, per l’ultima volta, 100mila uomini.

(**) Nella maggior parte d'Europa, il Papa aveva avocato gradualmente a sé dapprima il conferimento di quasi tutti i vescovi (perciò le cruente dispute sulle “investiture”) e le abbazie, ossia dei benefici concistoriali, e in seguito pretese la maggior parte dei benefici inferiori compresi in ciascuna diocesi, lasciando al vescovo ciò che era necessario per dargli decente un'autorità sul proprio clero. Con questo ordinamento, il clero europeo venne così a configurarsi in una sorta di esercito spirituale, i cui movimenti e operazioni erano dirette da un capo, e condotte secondo una comune strategia.

(***) Scrive Marx al riguardo: «Il libero fittavolo aveva soppiantato nei grandi fondi signorili il bailiff (castaldo) anticamente anch’egli servo della gleba. Gli operai salariati dell’agricoltura consistevano in parte di contadini che valorizzavano il loro tempo libero lavorando presso i grandi proprietari fondiari, in parte di una classe di veri e propri operai salariati, indipendente e poco numerosa tanto in assoluto che in via relativa. Anche questi ultimi erano, oltre che salariati, di fatto contadini indipendenti in quanto veniva loro assegnato, oltre al salario, terreno arabile di quattro e più acri assieme a cottages».




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