Quando decresce il prezzo della forza-lavoro,
si svaluta anche il valore della vita umana.
È la legge della domanda e dell’offerta.
Una
questione posta male può trovare solo cattive risposte. Il reato di
clandestinità è una cazzata così come lo è – a proposito di sovraffollamento
delle carceri – la legge Fini-Giovanardi (basta il marchio). Restano i
problemi, quelli veri, sulla carne viva della gente. Non è un caso che i partiti di estrema destra mietano
consensi, anche perché la sinistra non esiste più da molti anni, e non è un
caso che ciò avvenga. Così com’è assiomatico che quando la povertà e
l’emarginazione aumentano a causa d’imponenti trasformazioni economiche, cresce
la criminalità e con essa la richiesta di sicurezza, le pene si fanno più
severe e poi seguono le legislazioni speciali, quando non dei veri e propri
cambi di regime politico. Ciò non dipende in generale dalla malvagità di taluni
individui – anche se ciò non assolve dalle responsabilità personali – ma dalle
spontanee conseguenze della natura di un processo storico che gli uomini non
sanno ancora governare.
*
Povertà
ed emarginazione, come detto, aumentano i delitti e di conseguenza i rei,
perciò sono le condizioni sociali che
modellano il diritto penale. In generale, noi abbiamo, a tale riguardo,
idee assai preconcette, poiché il senso comune è dato da stereotipati
scolastici e mediatici non solo per quanto riguarda gli avvenimenti più recenti
ma anche per le epoche più remote. Non è un caso che vi sia più verità storica
nei romanzi che nella saggistica da banco.
Per
esempio, spesso ci riferiamo al Medioevo senza tener conto che si tratta di un
periodo storico che copre un tempo di circa un millennio. In genere,
attribuiamo il giusto rilievo alle invasioni arabe e normanne, ma non sappiamo
quasi nulla delle incursioni ungare del X secolo, fenomeno più devastante delle
invasioni unne, tanto per fare un raffronto.
Le
schiere ungare s’incontrarono o si alternarono in Vestfalia, nella valle del
Reno, in Fiandra, in Borgogna, in Provenza, nell’Italia settentrionale e
meridionale. Venezia corse il maggior pericolo della sua storia, e fu devastato
il suo entroterra. Ancora agli inizi del XX secolo, l’asse stradale della via
Postumia, corridoi fondamentale per entrare in Italia da est, era chiamato “via
ungaresca” (significativo – e a conferma di quanto sto dicendo – che Wikipedia
non spieghi il perché di tale toponimo) (*).
Solo
dopo tale periodo, l’Europa e l’Italia potranno contare su un progressivo impulso
economico, con la parentesi della grande peste (XIV sec.). La Chiesa rappresentava,
come sistema, il più grande proprietario fondiario, e anche laddove essa non
detenesse la proprietà della terra, o non percepisse gli affitti, poteva
contare sui benefici delle decime e di simili entrate (**). Per quanto riguarda
la nobiltà, essa rappresentava l’altro grande proprietario di fondi agricoli.
I
ricavi derivanti dalla proprietà fondiaria e dagli altri benefici, erano per la
maggior parte pagati in natura,
ossia in granaglie, vino, pollame, bovini, corvè, ecc. In regime normale, la quantità di questo plusprodotto superava
quello che la crapula clericale e i bisogni dei signori feudali e dei loro
lacchè potevano consumare, e non c'erano né arti e nemmeno manifatture così
sviluppate che producessero dei prodotti con i quali poter scambiare
l'eccedenza. Si costruivano cattedrali e manieri come già gli egizi le
piramidi, ma il surplus non si poteva scambiare con i prodotti di qualche
secolo più tardi.
Il
clero e la nobiltà potevano trarre vantaggio da questo immenso surplus in
nessun altro modo se non nell'ospitalità più prodiga e nelle opere di carità.
La nobiltà si occupava in genere di mantenere gli sgherri e una pletora di
cavalieri, di piccoli burocrati e intellettuali, e ancora molti altri
servi. Il clero, soddisfatti i bisogni di
un gran numero di preti e religiosi, si occupava degli altri, cioè dei poveri
veri e propri di cui ogni regno abbondava.
L'ospitalità
e la carità del clero aumentava di molto il peso delle sue armi spirituali. La
carità, come insegna Bergoglio non meno del Corano, è una virtù che procura il
paradiso e però nel secolo essa copra il massimo rispetto e venerazione tra le
plebi stupide e ignoranti, di modo che tutto ciò che appartiene all’ambito
dell’ordine religioso, le dottrine ma anche i beni e i privilegi, appare vero,
legittimo e anzi sacro agli occhi del gregge comune, e ogni violazione di tale
ordine è vista come il più alto atto di malvagità sacrilega e di profanazione.
Riassumendo
per schemi il tipo di mutamento: il clero, soprattutto i grandi dignitari della
Chiesa, trovano nei prodotti delle manifatture e delle arti che si andavano
sviluppando qualcosa con cui poter scambiare i loro redditi, ossia trovarono il modo di spendere il
surplus a favore del proprio agio personale assecondando i più diversi gusti e temperamenti.
La loro carità divenne meno ampia e gradualmente fu privata delle risorse di un tempo. Per lo stesso motivo la nobiltà trovò opportuno e
piacevole investire il proprio surplus in prodotti di lusso e altre merci, di
modo che la sua ospitalità fu meno pletorica e meno liberale. Ciò peraltro
favorì la divisione del lavoro e l’occupazione nei rami della manifattura e del
commercio, ma non abbastanza da assorbire le fila di poveri e di marginali.
È
naturale che il clero e la nobiltà desiderassero migliorare le rendite dalle
loro proprietà. Non avevano più bisogno, se non entro certi limiti, di prodotti
naturali, ma avevano bisogno di denaro o di merci scambiabili prontamente sul
mercato. Il denaro era diventato il potere dei poteri. Gli incrementi di rendita
si potevano ottenere anzitutto concedendo in affitto i terreni a dei
conduttori, i quali diventavano in tal modo indipendenti dal clero e anche i
legami di tipo assistenziale venivano in tal modo ad allentarsi, tanto più
quanto aumentava il disgusto per la vanità e il lusso di cui davano mostra le
gerarchie ecclesiastiche. D’altro lato, lo scioglimento dei seguiti feudali che
«dappertutto riempivano inutilmente casa e castello», gettò sul mercato del
lavoro una massa di proletari (***).
I
piccoli proprietari fondiari che coltivavano i propri campi con le loro braccia
e godevano d’un modesto benessere, formavano per esempio in Inghilterra, nel XV
secolo, una parte della nazione molto importante, non meno di 160.000
proprietari fondiari che con le loro famiglie devono aver costituito più di un
settimo della popolazione totale, i quali vivevano della coltivazione dei loro
piccoli appezzamenti in freehold
(proprietà libera da ogni specie di vincolo). È stato calcolato che il numero
di coloro che coltivavano terreno proprio era maggiore di quello dei fittavoli
su terreno altrui.
Fu
questo un processo che durò alcuni secoli e portò già alla fine del XIV secolo
alla quasi scomparsa della servitù della gleba. Il passaggio successivo fu la
spoliazione, ottenuta legalmente o con la forza, di questi fittavoli e piccoli
proprietari sia delle terre sulle quali lavoravano e sia delle terre comunali sulle
quali pascolavano il loro bestiame, cacciavano e che offrivano loro anche il
materiale per il fuoco: legna, torba, ecc..
Scriveva
Bacone: «Intorno a quel tempo (1489) aumentarono le lamentele sulla
trasformazione di terreno arabile in pascoli (per le pecore ecc.), facilmente
curati da pochi pastori; e le affittanze a tempo, a vita e a disdetta annua
(delle quali viveva una gran parte degli yeomen
(piccoli contadini indipendenti), vennero trasformate in tenute direttamente
gestite dal proprietario fondiario. Questo provocò una decadenza della
popolazione e di conseguenza un declino delle città, delle chiese, delle decime».
Né
va poi taciuto il ruolo che ebbe la Riforma nel colossale furto dei beni
ecclesiastici, nella cacciata in massa degli antichi fittavoli ereditari dei
conventi.
Non
deve dunque sorprendere, per farla breve, che la creazione di così tante
braccia disoccupate e bocche in cerca di cibo, determinasse poi una
legislazione penale particolarmente severa (per usare un eufemismo). Fino al
Medioevo la pena di morte e le mutilazioni gravi per i reati comuni erano usate
in casi estremi e sostituivano un calibrato sistema di pene pecuniarie. Agli
albori del capitalismo, nella nuova situazione sociale, aumentò in modo
straordinario il numero delle sentenze di morte. Nel XVI secolo, durante il
regno di Enrico VIII, furono giustiziati 72.000 ladri; sotto Elisabetta
s’impiccavano i vagabondi impiccati in fila, tre o quattrocento per volta. Su
una popolazione, quella dell’Inghilterra, che era solo di tre milioni! Le cose
non andarono meglio altrove se solo il boia di Norimberga, tale Franz Schmidt,
durante la sua carriera (1573-1617), giustiziò ben 361 persone e inflisse 345
punizioni corporali (non semplici frustate).
* *
Chiaro
che non mi nascondo che in questo processo storico complessivo intervennero
altri potenti fattori, quali l’espansione europea che per la prima volta (o la
seconda?) creò un mercato finalmente mondiale. Ed un ruolo importante ebbe
anche l’invenzione della stampa a caratteri mobili, anzi essa segnò di per sé
una rivoluzione non solo culturale paragonabile a quella iniziata nei nostri
anni e che ha come protagonisti il microchip, internet, i satelliti, i nuovi
materiali, la robotica, la stampa in 3D, eccetera. Non va mai trascurato però
l’aspetto fondamentale, ossia il movimento economico di base delle
trasformazioni e la contraddizione dialettica tra forze produttive e rapporti
di produzione.
«Il modo di produzione della vita materiale
condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita.
Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al
contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato
punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in
contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di
proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali
forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle
forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di
rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o
meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura».
(*)
Tali incursioni, per esempio, provocarono in tutta Europa, da nord a sud, danni
irreparabili al patrimonio artistico e la distruzione rilevantissima di quello
bibliografico, oltre ad impedire l’ultima occasione per la formazione di una
monarchia nazionale quando rivelarono l’intima debolezza del regno di
Berengario, provocando l’offerta della corona a Ludovico di Provenza prima e a
Rodolfo di Borgogna poi. Solo alla luce di tali incursioni, altro esempio, si
può comprendere come matura il comune rurale da un lato e come i vescovi
dall’altro, nel cadere delle autorità statali, assumano figura e funzioni di
rappresentanti e tutori delle città, appoggiandosi ai cives, dai quali non molto più tardi nascerà il comune cittadino.
Eccetera. Ancora alla battaglia di Lech, il 10 agosto del 955, l’esercito
ungaro potrà dispiegare, per l’ultima volta, 100mila uomini.
(**)
Nella maggior parte d'Europa, il Papa aveva avocato gradualmente a sé dapprima
il conferimento di quasi tutti i vescovi (perciò le cruente dispute sulle
“investiture”) e le abbazie, ossia dei benefici concistoriali, e in seguito
pretese la maggior parte dei benefici inferiori compresi in ciascuna diocesi, lasciando
al vescovo ciò che era necessario per dargli decente un'autorità sul proprio
clero. Con questo ordinamento, il clero europeo venne così a configurarsi in
una sorta di esercito spirituale, i cui movimenti e operazioni erano dirette da
un capo, e condotte secondo una comune strategia.
(***)
Scrive Marx al riguardo: «Il libero fittavolo aveva soppiantato nei grandi
fondi signorili il bailiff (castaldo)
anticamente anch’egli servo della gleba. Gli operai salariati dell’agricoltura
consistevano in parte di contadini che valorizzavano il loro tempo libero
lavorando presso i grandi proprietari fondiari, in parte di una classe di veri
e propri operai salariati, indipendente e poco numerosa tanto in assoluto che
in via relativa. Anche questi ultimi erano, oltre che salariati, di fatto
contadini indipendenti in quanto veniva loro assegnato, oltre al salario,
terreno arabile di quattro e più acri assieme a cottages».
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