Lo sviluppo capitalistico ha
in sé la contraddizione della sua crisi.
A perdere,
intanto e soprattutto, sono quei giovani e meno giovani disoccupati stimati
essere oltre il 40%. E anche gli altri, gli occupati, sono dei perdenti quando hanno
contratti di lavoro e retribuzioni impensabili solo vent’anni fa. Se si dà
retta ai sondaggi demoscopici, solo il 5% degli europei ritiene che le
politiche economiche attuali siano efficaci (Gallup), e tuttavia non mi pare si
muova foglia se non per ingrossare le fila dei movimenti fascisti.
Molti di quel 40% non studiano e non cercano
lavoro. Sopravvivono con l’aiuto delle famiglie e arrangiandosi. E le famiglie
non risparmiano più e molte erodono i risparmi e altre proprio non ce la fanno.
Quei giovani e meno giovani disoccupati anche se trovassero un impiego – quasi
sempre precario e sottopagato – fra 30 o 40anni non avranno una pensione o sarà
una pensione sociale. Avranno bisogno per altri 20 o 30anni della carità pubblica per campare e la
religione in cui sperare (Bergoglio e Scalfari ci contano).
C’è in tutto questo una contraddizione
palese di questo sistema sociale che nessuna retorica politica – pure quella
più riformistica e radicale – può eludere. Nessuna misura economica può far
fronte efficacemente a questa situazione poiché essa poggia su una delle tante
contraddizioni di questo sistema economico. Gli economisti e i politici – ossia i principali ideologi di
questo sistema – affermano che per uscire dalla crisi è necessario aumentare la
produzione e lo sfruttamento del lavoro, salvo non rilevare che per creare
nuova domanda servono salari più elevati, e neanche questo infine basterebbe
perché la somma dei salari sarà sempre inferiore all’insieme delle merci
prodotte.
La prima ragione della crisi riguarda dunque la
natura stessa del modo di produzione capitalistico. È questo un fatto evidente
nelle sue dinamiche più apparenti anche alle anime più comuni. La questione
fondamentale sta nell’enorme
sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto. La produzione
industriale richiede oggi una quantità di lavoro irrisoria rispetto al passato
per produrre la stessa quantità di merci. E tuttavia, da un lato si chiede e
ottiene un aumento dello sfruttamento, e, dall’altro, lo sviluppo delle stesse
capacità produttive crea un enorme esercito di disoccupati.
Nessun programma di
riassorbimento della disoccupazione, sulla base in cui poggia questo sistema
economico, può rivelarsi oggi immediatamente efficace e nemmeno nel medio e
lungo periodo. La domanda aggregata legata all’aumento della spesa pubblica,
dunque le politiche d’intervento di tipo keynesiano, non sono realistiche per
l’enorme debito statale, tanto che si tende a ridurre il numero dei dipendenti
pubblici anziché aumentarli, anche per l’effetto delle nuove tecnologie.
Fino a quando il
valore di scambio non cesserà di essere la misura del valore d’uso, e la riduzione del tempo di lavoro
necessario per creare pluslavoro costituirà la base sulla quale poggia la
produzione, e ancora fino a quando il
processo di produzione materiale immediato non verrà a perdere anche la forma
dell’antagonismo, il problema della disoccupazione e della
sottoccupazione, non solo nelle aree di più antica industrializzazione ma anche nelle aeree della disgregazione contadina, è destinato a permanere e anzi si
aggraverà man mano che procede lo sviluppo tecnologico e la centralizzazione dei
capitali.
L’esplosione di tali
contraddizioni, i cui effetti dal loro presupposto economico si trasmettono a
quello sociale, è solo una questione di tempo. La borghesia monopolistica e i
suoi esperti lo sanno bene, ed è perciò che hanno l’assoluta necessità di
controllare il mutamento sociale e quello politico, ma è altresì inevitabile –
e già ne vediamo le premesse – un sempre più marcato squilibrio politico e
istituzionale di dimensioni inedite per le “democrazie”. Una crisi di non
corrispondenza che è particolarmente evidente nei paesi laddove l’impatto della
crisi economica, finanziaria e fiscale è più forte.
Se si è distratti
dalle ciarle del dibattito borghese, dalle invenzioni di certa “filosofia” a buon mercato, se
insomma non si è attrezzati e organizzati dal punto di vista ideologico e da
quello operativo ad affrontare questi processi indotti dallo sviluppo del
capitalismo, è inevitabile subirli. E vai poi a dolertene sui social network e
nelle piazze.
Innanzitutto buongiorno. E poi volevo dirti che questo tuo procedere "piano" è estremamente didattico ed esaustivo. Grazie
RispondiEliminabuongiorno? è inverno! cmq grazie, sei sempre gentile.
EliminaE le magnifiche sorti e progressive??? Scusa, se non rido mi metto a piangere... sarà che è inverno....
RispondiElimina"e ancora fino a quando il processo di produzione materiale immediato non verrà a perdere anche la forma dell’antagonismo".
RispondiEliminaScusami Olympe, di quale antagonismo parli, quello tra capitale e lavoro per caso?
Ciao e grazie da Franco.
bravo
Elimina@luca Massaro
RispondiEliminaConcordo al 100%.
Un'anima comune.