Ancora
qualche giorno e della strage avvenuta davanti a Lampedusa non si parlerà più, almeno
fino alla prossima inevitabile “tragedia” su cui piangere di nuovo. Cercare
invece di capire che cosa stia avvenendo realmente senza farsi condizionare
dalle emozioni è tutt’altra cosa. Anzitutto chiedendoci quanti sono
effettivamente gli immigrati e a chi serve questa imponente massa migratoria
che peraltro non passa tutta per il Canale di Sicilia, anzi. Vediamo qualche
dato secondo le ultime statistiche disponibili relative alla presenza straniera
regolare.
La
presenza di europei comunitari in
Italia – secondo delle stime, non essendo più negli archivi dei permessi di
soggiorno – alla fine del 2011 era
di 1.373.000, per l’87% provenienti
dai nuovi 12 Stati membri, e vede i
rumeni più che raddoppiati in pochi anni, quasi un milione (997.000), polacchi
112.000, bulgari 53.000. Non mancano però i tedeschi che sono 44.000, i
francesi 34.000, i britannici 30.000, spagnoli 20.000 e dal Benelux 9.000.
Gli europei non comunitari, sempre al 2011,
erano 1.171.163, con gli albanesi i
più numerosi, 491.495, gli ucraini, 223.782, i moldavi, 145.519, serbi e
montenegrini, 101.554, macedoni, 82.209, i russi 37.090, poi tra i 20 e i
30mila ciascuno i bosniaci, croati e i turchi (inseriti tra gli europei per
comodità).
Gli africani erano in totale 1.105.826, con la comunità marocchina
come la più numerosa, 506.369, i tunisini 122.595, egiziani 117.145,
senegalesi 87.311, nigeriani 57.011, ganesi 51.924, algerini 28.081, cui
seguono gli avoriani con 24.235, i burkinabè circa 15.000, con 10.000 ognuno i
provenienti da Camerun, Etiopia, Eritrea Mauritius, Somalia.
Gli asiatici erano complessivamente 924.443. La comunità cinese è quella
più numerosa, e l’Italia è lo Stato europeo che accoglie più cinesi, 277.570. I
filippini 152.382, bangladesi 106.671, srilankesi 94.577, mentre siano secondi
in Europa per quanto riguarda la presenza di indiani, 145.164, e pakistani,
90.185.
La
componete americana totalizza nel suo
complesso 415.241 soggetti. In testa
il Perù con 107.847, l’Equador con 89.626, il Brasile con 48.230 e gli Stati
Uniti con 36.318 (esclusi i militari), cui seguono, con circa 20mila soggetti
ciascuna, Colombia, Cuba e Repubblica Domenicana, poi, con circa 10.000, Argentina,
Bolivia ed El Salvador.
Vediamo
ora, in sintesi e per quanto sarò capace, alcuni degli effetti economici e
sociali più macroscopici della presenza di una simile massa d’immigrati. Di
questi 5 milioni di stranieri (vi sono inclusi anche studenti), 2,5 milioni
risultano occupati nel 2011, però non secondo i dati dell’Istat (per i quali
sono di meno), ma secondo quelli della Caritas.
In
Italia tra il 2007 e il 2011, la crisi e la delocalizzazione della produzione
ha causato la perdita di circa un milione di posti di lavoro, e tuttavia si
sono creati 750mila nuovi posti di lavoro per gli stranieri. Nel solo anno
2011, gli occupati sono diminuiti di 75mila unità ma gli assunti nati
all’estero sono aumentati di 170mila unità (*). E tuttavia, nello stesso tempo,
il numero dei disoccupati stranieri è arrivato a 310mila, di cui 99mila non
comunitari. Il tasso di disoccupazione era nel 2011 più elevato di quattro
punti rispetto a quello degli italiani, ma è anche più elevato il tasso di
attività (si deve però tener conto che molti stranieri sono presenti a titolo
individuale e non con carico familiare).
Un
primo effetto delle politiche migratorie per i paesi d’origine è quello di
esportare una parte della sovrappopolazione relativa, con ciò raggiungendo diversi
obiettivi, quali il contenimento del tasso di disoccupazione e la diminuzione
dei carichi sul welfare nazionale, con evidente sollievo dei conti pubblici
nazionali, la diminuzione delle tensioni sociali e anche la “delocalizzazione”
di soggetti criminali. Per quanto riguarda l’Italia l’effetto sulle attività
produttive è soprattutto quello di tener bassi i salari (credo questo un dato
incontestabile), di permettere quindi di mantenere attive filiere ad alta
intensità lavorativa ma a bassa intensità produttiva, di offrire ai padroni di
non investire, e in definitiva di mantenere attivi settori industriali maturi
quando non decotti. In tal modo si obbliga il paese a ricevere sempre nuovi
immigrati i quali trovano così opportunità di lavoro (non interessa se legale o
irregolare).
Pertanto
si tratta di scelte economiche strategiche ben motivate e decise a tavolino,
però miopi. E in questo si segnala la totale assenza di un piano economico
strategico nazionale e l’inadeguatezza (per usare un eufemismo) della classe
dirigente nazionale. Infatti, il permanere in filiere produttive a bassa
produttività, però, consente ai paesi di migrazione non solo di trasferire
all’estero la propria riserva di manodopera, ma poi di attaccarci sul mercato
con gli stessi prodotti (vedi segnatamente la Cina e l’India).
Fin
qui per quanto riguarda il lavoro regolare, ma a considerare quello illegale o
sommerso, gli effetti si moltiplicano. Il lavoro nero fa accedere rapidamente i
lavoratori migranti a un basso salario e permette la massima elasticità della
manodopera che sostituisce la tecnologia e i sistemi di sicurezza in cui i
padroni non investono, e permette loro di evadere i contributi e le imposte.
Inoltre, la rete del lavoro illecito dei migranti permette sia l’utilizzazione
parziale del finanziamento lecito, da parte delle banche sia, soprattutto,
l’utilizzo di finanza “nera”, in tal modo favorendo il riciclo di capitali da
attività criminali, e il prosperare di organizzazioni per la fornitura e la
“protezione” della manodopera migrante, quindi il consolidarsi di strutture
illecite che distribuiscono il prodotto delle aziende.
Sia
chiaro che in questa brevissima panoramica – che riguarda solo taluni aspetti
della questione immigratoria – non ho inteso “colpevolizzare” la povera carne immigrata
(tutt’altro), ma di rilevare come, da un lato, i paesi d’origine abbiano tutto
l’interesse di sbarazzarsene, e dall’altro, come la miope strategia politica e
imprenditoriale nostrana, in cambio di un vantaggio immediato, crei le condizioni
per l’indebolimento della struttura produttiva nazionale e molti problemi
sociali. Infine, ho accennato a come avviene la creazione di un mercato
favorevole per tutte le imprese che impieghino almeno un fattore di produzione
illegale, sia esso il lavoro nero, il riciclaggio, o l’utilizzo di reti di
vendita illecite o di attività produttive esse stesse illegali.
(*)
Bisogna tener presente che molti di questi nuovi occupati sono presenti nel
settore dell’assistenza agli anziani. I neocomunitari rappresentano, secondo
dati Inail, un terzo della forza lavoro attiva tra gli immigrati e il 40% tra i
nuovi assunti nel 2011.
Infatti. E tutte le "regolamentazioni", tutte le manovre restrittive e persino i respingimenti hanno tutta l'aria di voler mantenere alto il tasso di irregolarità per favorire proprio quelle strategie. Che sono miopi per quel che riguarda la collettività, ma che sono a piene diottrie per quello che riguarda alcuni singoli.
RispondiEliminaSaluti. Ale
ben scritto , anche se queste "banalita' socioeconomiche" si vedevano benissimo gia ventanni fa'.
RispondiEliminaMi piacerebbe pero' sapere da lei il perche' "la sinistra", a cominciare dalle forze sindacali che dovrebbero essere le piu interessate ,non solo non si oppone ma addirittura esalta questa alluvione di sostanziali "krumiri".
ws
una bella illustrazione ma definire queste manovre concludendo con "però miope" mi da l'impressione che non si sia capito realmente la portata e la reale competenza di chi mette in atto tutto cio dai vertici ai più sconosciuti. sanno perfettamente chi spostare e dove solo che loro calcolano i secoli non i quinquenni e senza dimenticare che fanno analisi non tenendo conto degli altri ambiti sociali ma concatenando gli altri aspetti di manovrano tutto per ottenere il proseguo della loro agenda che hai nostri occhi è il presente ma ai loro è il secolo prossimo . è una matematica sociale che nonostante abbia delle variabili sui risultati , gli stessi non si scostano piu di quanto previsto e messo in conto in precedenza.
RispondiEliminanon sopravvaluti chi prende decisioni politiche, in generale e sicuramente non almeno nel nostro caso
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