lunedì 7 ottobre 2013

Immigrazione, qualche dato e alcuni effetti economici


Ancora qualche giorno e della strage avvenuta davanti a Lampedusa non si parlerà più, almeno fino alla prossima inevitabile “tragedia” su cui piangere di nuovo. Cercare invece di capire che cosa stia avvenendo realmente senza farsi condizionare dalle emozioni è tutt’altra cosa. Anzitutto chiedendoci quanti sono effettivamente gli immigrati e a chi serve questa imponente massa migratoria che peraltro non passa tutta per il Canale di Sicilia, anzi. Vediamo qualche dato secondo le ultime statistiche disponibili relative alla presenza straniera regolare.



La presenza di europei comunitari in Italia – secondo delle stime, non essendo più negli archivi dei permessi di soggiorno – alla fine del 2011 era di 1.373.000, per l’87% provenienti dai nuovi 12 Stati membri, e vede i rumeni più che raddoppiati in pochi anni, quasi un milione (997.000), polacchi 112.000, bulgari 53.000. Non mancano però i tedeschi che sono 44.000, i francesi 34.000, i britannici 30.000, spagnoli 20.000 e dal Benelux 9.000.

Gli europei non comunitari, sempre al 2011, erano 1.171.163, con gli albanesi i più numerosi, 491.495, gli ucraini, 223.782, i moldavi, 145.519, serbi e montenegrini, 101.554, macedoni, 82.209, i russi 37.090, poi tra i 20 e i 30mila ciascuno i bosniaci, croati e i turchi (inseriti tra gli europei per comodità).

Gli africani erano in totale 1.105.826, con la comunità marocchina come la più numerosa, 506.369, i tunisini 122.595, egiziani 117.145, senegalesi 87.311, nigeriani 57.011, ganesi 51.924, algerini 28.081, cui seguono gli avoriani con 24.235, i burkinabè circa 15.000, con 10.000 ognuno i provenienti da Camerun, Etiopia, Eritrea Mauritius, Somalia.

Gli asiatici erano complessivamente 924.443. La comunità cinese è quella più numerosa, e l’Italia è lo Stato europeo che accoglie più cinesi, 277.570. I filippini 152.382, bangladesi 106.671, srilankesi 94.577, mentre siano secondi in Europa per quanto riguarda la presenza di indiani, 145.164, e pakistani, 90.185.

La componete americana totalizza nel suo complesso 415.241 soggetti. In testa il Perù con 107.847, l’Equador con 89.626, il Brasile con 48.230 e gli Stati Uniti con 36.318 (esclusi i militari), cui seguono, con circa 20mila soggetti ciascuna, Colombia, Cuba e Repubblica Domenicana, poi, con circa 10.000, Argentina, Bolivia ed El Salvador.

Vediamo ora, in sintesi e per quanto sarò capace, alcuni degli effetti economici e sociali più macroscopici della presenza di una simile massa d’immigrati. Di questi 5 milioni di stranieri (vi sono inclusi anche studenti), 2,5 milioni risultano occupati nel 2011, però non secondo i dati dell’Istat (per i quali sono di meno), ma secondo quelli della Caritas.

In Italia tra il 2007 e il 2011, la crisi e la delocalizzazione della produzione ha causato la perdita di circa un milione di posti di lavoro, e tuttavia si sono creati 750mila nuovi posti di lavoro per gli stranieri. Nel solo anno 2011, gli occupati sono diminuiti di 75mila unità ma gli assunti nati all’estero sono aumentati di 170mila unità (*). E tuttavia, nello stesso tempo, il numero dei disoccupati stranieri è arrivato a 310mila, di cui 99mila non comunitari. Il tasso di disoccupazione era nel 2011 più elevato di quattro punti rispetto a quello degli italiani, ma è anche più elevato il tasso di attività (si deve però tener conto che molti stranieri sono presenti a titolo individuale e non con carico familiare).

Un primo effetto delle politiche migratorie per i paesi d’origine è quello di esportare una parte della sovrappopolazione relativa, con ciò raggiungendo diversi obiettivi, quali il contenimento del tasso di disoccupazione e la diminuzione dei carichi sul welfare nazionale, con evidente sollievo dei conti pubblici nazionali, la diminuzione delle tensioni sociali e anche la “delocalizzazione” di soggetti criminali. Per quanto riguarda l’Italia l’effetto sulle attività produttive è soprattutto quello di tener bassi i salari (credo questo un dato incontestabile), di permettere quindi di mantenere attive filiere ad alta intensità lavorativa ma a bassa intensità produttiva, di offrire ai padroni di non investire, e in definitiva di mantenere attivi settori industriali maturi quando non decotti. In tal modo si obbliga il paese a ricevere sempre nuovi immigrati i quali trovano così opportunità di lavoro (non interessa se legale o irregolare).

Pertanto si tratta di scelte economiche strategiche ben motivate e decise a tavolino, però miopi. E in questo si segnala la totale assenza di un piano economico strategico nazionale e l’inadeguatezza (per usare un eufemismo) della classe dirigente nazionale. Infatti, il permanere in filiere produttive a bassa produttività, però, consente ai paesi di migrazione non solo di trasferire all’estero la propria riserva di manodopera, ma poi di attaccarci sul mercato con gli stessi prodotti (vedi segnatamente la Cina e l’India).

Fin qui per quanto riguarda il lavoro regolare, ma a considerare quello illegale o sommerso, gli effetti si moltiplicano. Il lavoro nero fa accedere rapidamente i lavoratori migranti a un basso salario e permette la massima elasticità della manodopera che sostituisce la tecnologia e i sistemi di sicurezza in cui i padroni non investono, e permette loro di evadere i contributi e le imposte. Inoltre, la rete del lavoro illecito dei migranti permette sia l’utilizzazione parziale del finanziamento lecito, da parte delle banche sia, soprattutto, l’utilizzo di finanza “nera”, in tal modo favorendo il riciclo di capitali da attività criminali, e il prosperare di organizzazioni per la fornitura e la “protezione” della manodopera migrante, quindi il consolidarsi di strutture illecite che distribuiscono il prodotto delle aziende.

Sia chiaro che in questa brevissima panoramica – che riguarda solo taluni aspetti della questione immigratoria – non ho inteso “colpevolizzare” la povera carne immigrata (tutt’altro), ma di rilevare come, da un lato, i paesi d’origine abbiano tutto l’interesse di sbarazzarsene, e dall’altro, come la miope strategia politica e imprenditoriale nostrana, in cambio di un vantaggio immediato, crei le condizioni per l’indebolimento della struttura produttiva nazionale e molti problemi sociali. Infine, ho accennato a come avviene la creazione di un mercato favorevole per tutte le imprese che impieghino almeno un fattore di produzione illegale, sia esso il lavoro nero, il riciclaggio, o l’utilizzo di reti di vendita illecite o di attività produttive esse stesse illegali.


(*) Bisogna tener presente che molti di questi nuovi occupati sono presenti nel settore dell’assistenza agli anziani. I neocomunitari rappresentano, secondo dati Inail, un terzo della forza lavoro attiva tra gli immigrati e il 40% tra i nuovi assunti nel 2011.



4 commenti:

  1. Infatti. E tutte le "regolamentazioni", tutte le manovre restrittive e persino i respingimenti hanno tutta l'aria di voler mantenere alto il tasso di irregolarità per favorire proprio quelle strategie. Che sono miopi per quel che riguarda la collettività, ma che sono a piene diottrie per quello che riguarda alcuni singoli.
    Saluti. Ale

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  2. ben scritto , anche se queste "banalita' socioeconomiche" si vedevano benissimo gia ventanni fa'.
    Mi piacerebbe pero' sapere da lei il perche' "la sinistra", a cominciare dalle forze sindacali che dovrebbero essere le piu interessate ,non solo non si oppone ma addirittura esalta questa alluvione di sostanziali "krumiri".
    ws

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  3. una bella illustrazione ma definire queste manovre concludendo con "però miope" mi da l'impressione che non si sia capito realmente la portata e la reale competenza di chi mette in atto tutto cio dai vertici ai più sconosciuti. sanno perfettamente chi spostare e dove solo che loro calcolano i secoli non i quinquenni e senza dimenticare che fanno analisi non tenendo conto degli altri ambiti sociali ma concatenando gli altri aspetti di manovrano tutto per ottenere il proseguo della loro agenda che hai nostri occhi è il presente ma ai loro è il secolo prossimo . è una matematica sociale che nonostante abbia delle variabili sui risultati , gli stessi non si scostano piu di quanto previsto e messo in conto in precedenza.

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    1. non sopravvaluti chi prende decisioni politiche, in generale e sicuramente non almeno nel nostro caso

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