mercoledì 16 ottobre 2013

«Esportare o morire»


Su Hitler e il nazismo sono frequenti i più vieti truismi, gli stereotipi emozionali e mediaci più frusti, causa una cultura storica dozzinale, scarsità di lavori di pregio e non molte traduzioni italiane di valore.

Nella pubblicistica corrente Hitler è visto essenzialmente come un fanatico, un’anomalia della storia, “portavoce di un gruppo d’intellettuali formatosi nella dimestichezza con la cultura occulta” (cazzate). Conseguentemente, per quanto riguarda il nazismo, esso è inteso come il trionfo della follia nel processo storico, e non, invece, come il prodotto specifico delle contraddizioni capitalistiche e della dinamica dello scontro tra imperialismi.

* * *

In un discorso tenuto al Reichstag, il 30 gennaio 1939, famoso per le minacce contro la comunità ebraica, Hitler si rivolse al popolo tedesco per fare fronte alle persistenti difficoltà economiche in cui si dibatteva il Terzo Reich, le quali rappresentano un aspetto poco noto al grande pubblico, portato a credere che esse, come per incanto, fossero state risolte dal demoniaco genio di Hitler e dei suoi “volenterosi” seguaci.

Il nazismo non risolse i problemi economici della Germania, semplicemente perché quei problemi, mutatis mutandis, riguardano le contraddizioni nelle quali si dibatte ogniqualvolta il sistema economico capitalistico per sua natura. Non per nulla, in quel discorso, Hitler esortò solennemente: «esportare o morire» (1). Si tratta di un leitmotiv che riecheggia insistente anche oggi. Questa esortazione programmatica hitleriana condensa i motivi fondamentali del nazismo, del Lebensraum, non meno di quelli che muovono oggi la Germania dell’euro, che però, finora, per il suo Lebensraum non ha avuto bisogno di riarmarsi, né per trovare sbocchi alle proprie merci.

Hitler incentrò quel suo discorso sui problemi economici, le loro cause e le soluzioni quali apparivano a lui, e a molti altri, indispensabili. Disse: Qual è la causa di tutti i nostri problemi economici? Nella sovrappopolazione del nostro territorio!” (2). Hitler non aveva letto Marx, perciò scambiò l’effetto (la sovrappopolazione relativa) per la causa (il modo di produzione capitalistico), mistificandola: “Questa necessità di esportare non è sottoposta a un vincolo di tipo capitalistico, come per altri paesi, ma risponde all’urgenza più grande di un popolo, ossia quella di procurarsi il pane quotidiano(3).

Non si trattava solo di procurarsi il pane quotidiano, ma anzitutto di fare profitti, carburante dell’accumulazione capitalista, quindi della lotta di un imperialismo contro imperialismi concorrenti, dunque di dar forza all’idea che la Germania sarebbe tornata a esser una grande potenza, un’idea che non partorì Hitler, ma che dapprima animò la repubblica di Weimar e poi la destabilizzò, ma mai però in modo così decisivo come la crisi economica degli Anni Trenta (4).

Sennonché, non potendo mettere mano negli interessi di chi l’aveva chiamato al potere, Hitler doveva escogitare qualcosa, rilanciare le vacillanti esportazioni della Germania, e perciò il suo programma era di riarmare la Germania per poi, da tale posizione, forzare il sistema dei rapporti internazionali per conquistare quei mercati dei quali il Reich aveva assoluto bisogno per le proprie esportazioni e importazioni.

È ciò che avviene storicamente e normalmente nello scacchiere geostrategico, esattamente ciò che avvenne con l’espansione europea, dal XV secolo in poi. È la storia delle nazioni iberiche, dell’Olanda, Francia e soprattutto dell’Inghilterra, delle vicende che portarono alla formazione degli Stati Uniti d’America nel corso del XIX secolo (5). Pertanto, ciò che progettava Hitler e la borghesia tedesca non costituiva un’anomalia, specie se considerato nel quadro della crisi e della contesa finanziaria svalutativa dalle grandi potenze in quegli anni turbolenti.

Di diverso, quel progetto, non aveva gli scopi, piuttosto erano le forze e gli interessi con cui si doveva contrapporre che erano troppo forti, e deboli invece le sue alleanze continentali (Italia, Spagna, Romania). Non si trattava di misurarsi con popoli e nazioni economicamente sottosviluppate – già preda dalle altre potenze –, bensì di vedersela con le potenze del continente europeo, industrializzate, efficienti, ben armate o in grado di farlo rapidamente. Non per nulla, al termine dello scontro, le due più forti potenze vincitrici, si spartirono l’Europa su nuove linee di battaglia, così come ci si divide il bottino.

Ancora una volta il presente e il futuro dell’Europa s’incardina sul perno tedesco, e quegli “stucchevoli battibecchi sulla distribuzione della ricchezza”, come gli ha definiti uno storico inglese, portano l’Europa a una sterzata a destra, reazionaria nei suoi fondamenti economici; ma non già la Germania unificata, forte e indispensabile, ma quei paesi che hanno accettato il marco, denominato in euro e gestito non a caso a Francoforte. Non c’è più bisogno di occupare le nazioni quando si può controllarle “democraticamente” e “pacificamente” attraverso i flussi finanziari, il debito e le politiche fiscali.

Il vento di destra che s’alza nei paesi europei (e non solo), per reazione al giogo dell’oligarchia finanziaria, nella componente della vasta classe media sempre più proletarizzata, costituisce il motivo oggettivo della situazione caotica ed incerta che stiamo vivendo e che inevitabilmente si approfondirà man mano che le contraddizioni della nuova fase storica del capitalismo (finanziarizzazione delleconomia, peggioramento delle condizioni di vita, disoccupazione giovanile e di massadisuguaglianze intollerabili, assenza di prospettive, aumento debito pubblico e privato, conflitto geopolitico) si faranno più aspre.


(1) «… das Motiv für unseren Wirtschaftskampf würde ein sehr einfaches sein, nämlich: deutsches Volk lebe, d. h. exportiere, oder stirb».

(2)«Worin liegt die Ursache all unserer wirtschaftlichen Schwierigkeiten? In der Übervölkerung unseres Lebensraums!».

(3) «Dieser Zwang ist mithin kein kapitalistischer, wie das vielleicht in anderen Ländern der Fall sein mag, sondern härteste Not, die ein Volk treffen kann, nämlich die Sorge für das tägliche Brot».

(4) Un altro dei molti miti, uno dei più persistenti, è quello relativo agli enormi risarcimenti pagati dalla Germania al termine della Prima guerra mondiale. Sarebbe stata una delle cause, addirittura la principale, della crisi di Weimar. In realtà i risarcimenti monetari effettivi furono più contenuti di quanto stabilito dal trattato di Versailles, poiché vennero rinegoziati più volte a suo favore. Fu invece la crisi economica, nel quadro di quella globale, e crisi politica interna, per il fatto che non si riusciva a varare una maggioranza di governo stabile, e i giochi di potere, a gettare la Germania nelle mani di Hitler. Dopo il 1945, sia la Germania Est sia la Germania Ovest pagarono risarcimenti effettivi più ingenti di quelle che versò realmente la repubblica di Weimar.

(5) Il trattamento riservato dal nazismo agli ebrei, ai comunisti, ai cosiddetti handicappati, agli omosessuali, agli zingari e in generale ai prigionieri di guerra (specialmente russi), non fu certo un “dettaglio”. Di là dell’orrore, della doverosa condanna sia in sede morale e in ogni altra istanza, ciò che stupisce è che sia potuto avvenire nella civile Europa. Nulla di più fuorviante. Noi Europei moderni possiamo vantare una lunga tradizione di stragi e genocidi quasi in ogni angolo del mondo. Per esempio, dopo l’arrivo di Colombo, il metodo più semplice per far lavorare gli “indiani” fu quelli di renderli schiavi, nonostante l’opposizione della regina Isabella (quella che nel 1492 ordinò l’espulsione di circa 150mila ebrei e di più di 300mila moriscos), la quale non aveva alcuno scrupolo circa l’antica e universalmente accettata istituzione della schiavitù (lei stessa aveva reso schiavi i mori sconfitti di Granada, inviandone poi 500 al Papa perché servissero nelle galee pontificie [le vicende della lunga Reconquista spagnola non vengono certo raccontate in dettaglio nei libri di scuola]), ma detestava che si disponesse dei suoi sudditi senza la sua esplicita approvazione. Pertanto si stabilì che gli indigeni americani potevano diventare schiavi solo se sconfitti in una “giusta” guerra (concetto che mi ricorda qualcosa), ossia quando rifiutavano agli spagnoli l’ingresso nei loro territori o si ribellavano apertamente. E tuttavia i conquistatori, i coloni e i commercianti operavano al riparo dallo sguardo della corona.


Statistiche non esagerate (Borah, Cook e Simpson, oppure Henry Dobins) propongono complessivamente in circa 100 milioni gli abitanti nelle Americhe prima della conquista, tale popolazione in qualche secolo si ridusse drasticamente dopo la conquista. E se è vero che la morte per contagio di malattie fu una realtà, tale conseguenza viene però usata per dire cose molto false o per minimizzare gli effetti del genocidio, per mascherare l’asservimento più brutale e razzista di popoli fino allora liberi, gli enormi danni non solo fisici ma anche culturali e psicologici che subirono per effetto della "civilizzazione" bianca ed evangelizzazione cristiana.

14 commenti:

  1. Buongiorno! Ho trovato molto interessante questo post (e la nota 5), dato che in questi giorni mi sono spesso soffermato a riflettere su questo periodo storico, anche in relazione alla morte di Priebke. Ho avuto modo di leggere la sua ultima intervista e, ben lungi da approvare le deliranti affermazioni negazioniste, ho trovato quantomeno interessante il punto di vista di un uomo che ha avuto la coerenza di affermare quello che nessuno può permettersi di affermare, pena l'essere bollato per apologeta del nazismo, o neo nazi. Ovvero che se lui è un criminale (eccome se lo era!!!), è sicuramente in buona e anglosassone compagnia (ma anche italiana, basti pensare alla rappresaglia di Graziani). Questo si ricollega all'introduzione del tuo post, e ai truismi vari cui fai riferimento.
    Per inciso, mi ha fatto particolarmente pena leggere su vari siti i commenti all'intervista, che ovviamente si concentravano sul negazionismo, ma non accennavano minimamente al resto. Ma si sa, ci piace vivere nella bambagia di un mondo preconfezionato in cui Bene e Male sono entità ben distinte... ci piacerebbe, ma purtroppo non è così.

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    1. Buongiorno a te.
      condivido, però bisogna anche dir che nella scala degli orrori e dei crimini il nazismo ha raggiunto e superato il vertice. in una guerra è difficile se non quasi impossibile evitare episodi particolarmente criminosi (già la guerra è un crimine orrendo), e tuttavia la gravità dei crimini nazisti non può darsi ad episodi, ma era sistematica e programmata. insomma, c'è una notevole differenza. vero è che il nazismo non è un'eccezione, i suoi mezzi sono stati eccezionali e, in futuro, se dovesse riaccadere, con i mezzi attuali la carneficina sarebbe ancora maggiore, basti pensare alle armi atomiche.
      grazie per la riflessione. ciao

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    2. Sono d'accordo con te, "nella scala degli orrori e dei crimini il nazismo ha raggiunto e superato il vertice". Mi chiedo solo, ad esempio, se in questa orrenda classifica l'uso sistematico dei droni, le migliaia di vittime civili in Afghanistan, in Iraq (la lista è lunga, mi fermo qui) non stiano poi tanto più in basso. Gli USA si pongono notoriamente come difensori della libertà, e autoproclamandosi tali, si macchiano di crimini orrendi. Come dici tu, appunto, la guerra è di per sè un crimine orrendo. Aggiungi, giustamente, che a rendere peggiore il Nazismo è stata la sistematicità, la programmazione a tavolino. Mi chiedo se, in un futuro, la storia non vedrà come sistematica questa aggressione/oppressione dell'Occidente nei confronti dei nemici di turno. Forse questi moderni criminali sono solo un po' più furbi, sanno che la xenofobia, l'odio del diverso, la scelta di un capro espiatorio, non vanno più di moda. O meglio, vanno di moda, specialmente "al bar" e davanti alla tv all'ora di cena, ma non sono più politicamente accettabili, per cui creano sistematicamente dei nemici accettabili, e poi con altrettanta sistematicità li abbattono.

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  2. Assolutamente d'accordo con quanto scrivi. Frau Merkel non ha la vis diabolica di Hitler- e meno male- ma sta realizzando la supremazia tedesca con altri mezzi...

    Che il nazismo sia anch'esso un prodotto della crisi e del capitalismo dovrebbero ricordarselo la generazione over 60 che ha fatto politica col Pci: magari negli anni '70 lo pensava e lo diceva, oggi plaude al modello tedesco e costituzionalizza il pareggio di bilancio e approva il fiscal compact... Ma forse è più facile e più divertente pensare alle radici esoteriche magiche e misteriche del nazismo piuttosto che ragionare in termini marxisti e materialisti...

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  3. Cara Olympe,
    quale libro serio mi consiglieresti per studiare un pò meglio la storia dell'ascesa di Hitler in relazione alle difficoltà economiche della Germania, a parte il tuo blog che come sempre è SQUISITO?

    Stefano

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    1. la storia (così come qualunque altra branca di studio) non è una dottrina religiosa per cui può bastare la lettura di un solo libro. Se poi se ad occuparsene sono personaggi come Augias, Vespa, Bisiach, Pansa, Galli, Mieli (di quest’ultimo basti leggere l’articolo di lunedì scorso sul Corriere) e compagnia cantando, i risultati non possono che esser quelli che purtroppo conosciamo.
      tuttavia per avere qualche cognizione su quel periodo storico (senza dimenticare le premesse) non serve leggere moltissimi libri, ne bastano di meno, però la scelta è importante: bisogna leggere quelli "giusti". ossia libri scritti da degli storici e non da giornalisti, basati su fonti primarie certe e non su riferimenti di fonti secondarie.

      un libro recente, trad. in italiano, che posso consigliarti, e che ho già segnalato in alcuni post precedenti, è quello di Adam Tooze, Il prezzo dello sterminio, Garzanti, 2008 (è lo storico inglese a cui qui in chiusa del post faccio riferimento). Di là del titolo è un ottimo libro, non convenzionale.

      su hitler le biografie in it. sono quelle di Fest, Shirer, cross, ecc.. Non mi appassionano. Albert Speer è reticente.

      la lettura di mein campf può essere utile, e ancora di più i discorsi (non so se esista qualcosa in italiano, ma puoi trovarli in lingua tedesca in rete).

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    2. ti ringrazio molto

      Stefano

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    3. è l'unica soddisfazione avere lettori interessati

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  4. Nella guerra civile contro il proletariato tedesco, i vari Krupp, Stinnes, ed i loro burattini politici diedero al boia Hitler l’incarico di demolire tutte le conquiste del movimento operaio tedesco,quindi le stesse “libertà civili”,allo scopo di togliere l’acqua in cui nuotavano i comunisti.Il risultato è evidente: mobilitando tutta l’antica reazione, l’antigiudaismo ed antisemitismo accumulato da secoli divennero una strategia accuratamente pianificata di sterminio (Endlösung o soluzione finale), posta in atto sofisticata tecnologia industriale, e efficienza senza precedenti.

    “Chi non vuole parlare di capitalismo, non deve neanche aprir bocca sul fascismo” (Max Horkheimer).

    La Shoah è la rivelazione della “civiltà cristiana-occidentale”, cioè del capitalismo nella sua fase imperialista, un indice di che cosa la borghesia sia capace di fare per proteggere i suoi profitti e privilegi, di quali forze del sottosuolo sociale (piccola borghesia parassitaria, sottoproletariato criminale) sia disposta a scatenare per conservare il potere.
    Il grembo da cui nacque il mostro nazifascista è quindi ancora fecondo (B.Brecht) ..così come la reazione culminante nell’antisemitismo è tutt’altro che sparita dal panorama “ideologico” del nostro Paese, anzi pretende dignità culturale col ridicolo pretesto della “libertà di espressione”
    (è il caso di Forza Nuova, Skinheads vari, dichiaratamente fascisti ed antisemiti, ma anche di altri settori reazionari raccolti sotto l’ombrello del Pdl).
    Tutto ciò deve rafforzarci nell’intransigenza antifascista e nel rifiuto di ogni pretesa “pacificatrice” e di ricerca di un “comune riferimento nazionale” con gli squallidi e scellerati “ragazzi di Salò”, servi e tirapiedi dei nazisti nel nostro Paese (i quali per lo più sono riusciti ad eludere la giustizia partigiana, ed hanno infestato nel successivo mezzo secolo la scena politica, come lo fanno ora i loro figli e nipoti, tutt’altro che “pentiti” a differenza di tanti ex-comunisti).

    Mordecaj

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  5. Hitler? L'esponente europeo di Wall street.

    Grillo? Un altro esponente wallstrett-iano moderno.

    Riguardo alla connessione Hitler-Wall Street e il finanziamento della sua campagna elettorale, nonché in seguito:

    Wall Street and the Rise of Hitler (Sutton)

    Su Grillo penso che ormai non vi siano dubbi, sta tutto in rete: gli affari Casaleggio-JP morgan, dove il Beppino non è altro che un burattino, o un attore se volete. Non di meno lo era Hitler:

    Il mistero Hitler (Rosenbaum)

    Ciao

    Tony

    PS: Ottimo articolo, come sempre del resto.

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  6. Ai consigli bibliografici mi permetto di aggiungere "Nazismo e classe operaia" di Sergio Bologna: era uscito mi sembra per Manifestolibri ora è fuori catalogo ma si trova su ebay o sui siti specializzati...

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  7. in merito alla nota 5 temo che lei sia vittima della tendenziosa vulgata anglosassone tesa ad attribuire la spietata colonizzazione delle americhe ai soli "biechi papisti".

    Perche' nessuno conosce le cifre di quanti fossero allora i nativi ma oggi con marcata origine amerinda ci sono 200 milioni di ispano americani contro forse 2 milioni di angloamericani
    E questo qualcosa vorra' dire .
    ws

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    1. da che cosa esattamente deduce che io sia "sia vittima della tendenziosa vulgata anglosassone tesa ad attribuire la spietata colonizzazione delle americhe ai soli "biechi papisti""?

      non è vero che nessuno conosce le cifre di quanti fossero allora i nativi, nella nota cito della bibliografia

      "oggi con marcata origine amerinda ci sono 200 milioni di ispano americani "

      questa frase non ha senso

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