Scrive Alberto Bagnai:
La crisi europea trae
origine dalle rigidità proprie alla moneta unica. L’euro ha falsato il mercato
(portando all’accumulo di ingenti crediti/debiti esteri), e ingessato le
economie (impedendo alle più deboli di reagire con una fisiologica svalutazione
allo choc determinato dalla crisi americana). Il ripristino di un rapporto di
cambio meno artificiale fra Nord e Sud è quindi uno snodo necessario, anche se
certo non sufficiente, nel percorso di soluzione della crisi.
Le rigidità proprie della moneta unica sono
un fatto politico, non economico. La crisi europea – che non è solo continentale – trae origine da
un processo d’internazionalizzazione economico finanziario che coincide con
l’introduzione della moneta unica europea.
Quando si parla di “crisi”, si deve dire che cosa s’intende
con tale termine, poiché gli effetti della “crisi” non sono uguali per tutti. Le
multinazionali, per esempio, stanno facendo grandi profitti. Coloro che partecipano
di questi profitti, la grande borghesia e i manager, non se la passano davvero
male. Se c’è un settore merceologico che tiene è quello dei beni di lusso e
extra lusso.
Del resto, esprimendosi in termini economici più generali, non
mi pare che la condizione economica del Regno Unito o quella di Ungheria,
Romania e Bulgaria sia più favorevole, sicuramente non per la classe dei
salariati. E non splende nemmeno in Polonia, Lettonia e Lituania.
Ecco perché insisto a dire che il problema non è l’euro in sé,
ma l’uso politico che ne è fatto. L’uso politico delle sue “rigidità”. E deve
essere anche tenuta in conto, inoltre, la nota “indolenza” dei sistemi
politico-sociali di paesi quali l’Italia, Grecia, Spagna, Portogallo. In altri
tempi, tali rigidità nazionali si sarebbero definite come “interessi di
classe”.
Edward Luttwak sostiene la stessa tesi di Bagnai. Se questi
può essere in buona fede, il vecchio marpione americano non lo è mai, anzitutto
perché egli alla buona fede negli affari e in politica non ci crede. Ciò non significa che Luttwak non colga un aspetto reale della faccenda.
In queste condizioni, date le richiamate e reali rigidità
dell’euro, dato il suo uso politico,
la moneta unica non favorisce di certo le esportazioni italiane che malgrado
tutto non sono cattive. Vi sono altre cause di aggravamento della situazione
economica italiana, a tutti ben note. A cominciare dal sistema fiscale che
colpisce solo i soliti noti, un sistema di spesa statale sperequato e con
scandalosi sprechi e una distribuzione sociale della ricchezza che penalizza i
redditi più bassi, quindi i consumi interni. E tutta questa litania di motivi
ha inevitabili conseguenze sul debito pubblico, sui relativi interessi che
vanno poi a ingrassare le rendite. Eccetera.
Nell’euro non si doveva entrare se non fossero state
realizzate anche altre condizioni di garanzia ed equilibrio, perciò entrarci a
quel modo è stato quasi un suicidio, quanto evitabile non saprei dire. Per
contro, uscire dall’euro in questo
momento servirebbe solo a scaricare la crisi e le note deficienze del
sistema, ben più di quanto già non avvenga, su salariati e pensionati.
Nella foto: Ostia antica, interno di insulæ.
Bagnai è un tecnico, e per la mentalità tecnica sono problemi solo quelli che possono trovare una soluzione eminentemente tecnica. Ecco perché di politica, che tecnica non è, non capiscono un fico.
RispondiEliminaLe antenne e il bucato intorno al tempio di Vesta, con tutta la loro sfacciata cialtroneria, sono icone della cinica e distratta, ma secolare, familiarità degli italiani con le rovine del loro passato. Ancora poco prima di Porta Pia greggi e mandrie con tanto di pastori in costume ciociaro transitavano tranquillamente per i Fori, per la gioia dei turisti d'oltralpe e dei primi fotografi. Oggi, senza più poesia del rovinismo, abbiamo le orride antenne al posto delle pecore.
RispondiEliminaVa detto però che negli anni scorsi il FAI ha rilevato dal Comune di Tivoli Villa Gregoriana - ridotta a una mefitica discarica da amministrazioni che al confronto il Burundi è la Svezia - e ha fatto un notevole restauro, ancora in corso.
Fermo restando che sono condivisibili i brevi appunti qui scritti, la questione della cessione di sovranità in Europa sta passando per uffici dove è assente il ruolo popolare pubblico e collegiale del processo decisionale.
RispondiEliminaQuindi, se uscire dall'euro diventa condizione sine qua non, allora meglio morire di propria mano che di mano altrui. Se, come dice il timido Ferrero a Padova, bisogna riconsiderare i trattati europei (riconoscendo oltretutto con me e da me interpellato sulla faccenda che l'Italia non ha nessuna forza per "battere i pugni sul tavolo", come tal'altro ci raccontano i farfuglioni al comando), tale riconsiderazione passa solo ed unicamente attraverso il porre la questione sul tavolo del consenso democratico e quindi dell'agenda politica. Altrimenti si fa fatica a farsi capire, come accade al buon Ferrero e compagnia bella.
Ecco perchè sosteniamo che a questa questione deve essere data molta attenzione, come su marx21 danno.
il punto è proprio quello: dipende da chi batte i pugni. chiaro che non può farlo una classe dirigente ridicola di un paese sbrindellato
Eliminaquindi è una questione politica, come scrivi. E quindi, anche di politica economica.
EliminaChe poi Bagnai sia arretrato e primitivo nelle sue analisi è un altro punto della questione. Tant'è che resta solo con i suoi fans dello studentato.
Ci sono modi e modi di uscire dall' euro. E non necessariamente l' uscita vuol dire scaricare i costi sui lavoratori. Quest' ultima anzi è una certezza se si è un' economia periferica che resta nell' euro. Non si svaluta la moneta nazionali si svalutano i salari nazionali ( leggi: riforme del mercato del lavoro). Questo non vuol dire che il medesimo meccanismo non possa ripetersi con il ritorno alla valuta nazionale. Con le attuali forze politiche sicuramente. Il punto è che ad oggi abbiamo più certezze sul fatto che l' euro come moneta unica di francia, italia e germania finirà e allora una forza politica che voglia difendere gli interessi dei ceti medio bassi non è chiedersi se restare o uscire nell' euro, bensì preparare una strategia di uscita che difenda queste categorie. Anche perché oggi non è possibile pensare ad una strategia europea di difesa dei lavoratori. Lafontaine lo ha capito, i comunisti portoghesi, spagnoli, greci e ciprioti anche. Syriza e le sinistre del " spostiamo l' euro a sinistra" o sono opportuniste o vogliono suicidarsi.
RispondiEliminaIl dato certo è un altro comunque ed è il contrario della conclusione di questo articolo: restare nell' euro in questo momento vuol dire perdere totalmente quel poco di paese " industriale" che è rimasto in questa penisola.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/15/ritorno-alla-lira-for-dummies/627339/
Elimina" fallimento e inflazione sono identici". ma come si fa a dire una cosa del genere.
EliminaMa poi scusa, un blog che mette in guarda la classe lavoratrice mi pubblica Scacciavillani? Dai su...
Ma per favore... Scacciavillani si contraddice e contraddice la logica ogni tre parole. Non saprebbe nemmeno gestire un banco di frutta e verdura. Sta bene con i cammelli. Non si capisce perchè il FQ continua a pubblicare le sue fandonie basate sul nulla.
EliminaMa per favore... Scacciavillani si contraddice e contraddice la logica ogni tre parole. Non saprebbe nemmeno gestire un banco di frutta e verdura. Sta bene con i cammelli. Non si capisce perchè il FQ continua a pubblicare le sue fandonie basate sul nulla.
EliminaA proposito di debito pubblico ...
RispondiEliminaVe l'hanno mai raccontata questa storia?
Nel 2010 due cervelloni dell’Università di Harvard e del Maryland, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, hanno pubblicato un lavoro sulla prestigiosissima American Economic Review con la quale dimostravano che rapporti debito/PIL superiori al 90% sono associati a tassi di crescita economica significativamente più bassi, e in media nulli o negativi.
E così il carissimo Olli Rehn, commissario UE per l’Economia, ha tuonato:
«È ampiamente riconosciuto, sulla base di seria ricerca scientifica, che quando i livelli del debito pubblico salgono oltre il 90% tendono a presentare una dinamica economica negativa, la quale si trasforma in bassa crescita per molti anni.»
E così il via al Fiscal Compact e alle politiche di austerità dell'eurozona.
Dettaglio ... non trascurabile per noi, ma trascurabilissimo per Nostri Euroburocrati.
Altri econoministi hanno recentemente rivisitato il lavoro di Reinhart e Rogoff (R-R) e si sono accorti della presenza di errori metodologici e, addirittura, di un errore grossolano nei calcoli statistici effettuati tramite il foglio di calcolo Excel, al punto che la vicenda ha preso ironicamente il nome di EXCELGATE.
I cari R-R hanno cercato di giustificarsi ma il premio nobel Paul Krugman li ha, e continua a farlo dalle pagine del NYTimes, letteralmente, ridicolizzati.
Viene da chiedersi: quanta disoccupazione è stata “causata” da errori aritmetici e di utilizzo del foglio di calcolo? Quanti posti di lavoro persi?
Il bello è che coloro che hanno rivisitato il modello di R-R non hanno trovato nessun indicatore negativo alla crescita in relazione all'entità del debito pubblico; e, preciso, non esiste niente del genere nella letteratura scientifica economica.
E pensate che ci hanno obbligato a inserire il pareggio di bilancio in Costituzione; ma lo capite cosa vuol dire? significa impossibilità per il Nostro Paese di affrontare la situazione e poter attivare una qualsiasi forma di leva fiscale (men che meno monetaria, grazie all'euro).
Ma mi volete dire in che mondo viviamo? E' una condanna kafkiana !!!