La posizione dei maggiori esponenti del marxismo nei riguardi della religione è stata grossomodo univoca. Per Marx ed Engels la questione da un punto di vista della critica teorica del cristianesimo era stata riassunta e risolta sostanzialmente da Feuerbach (*). Marx ed Engels hanno scritto molto, spesso incidentalmente, sul tema. La propaganda borghese, come solito, ha ignorato o strumentalizzato la loro posizione (ne ho fatto accenno nel post dal titolo: Je ne suis pas marxiste, a proposito della celebre metafora marxiana che vede la religione come l’oppio dei popoli).
Dal punto di vista pratico, Marx e Engels ritengono che il problema religioso dovrà affrontarsi, come quasi tutto il resto, al momento in cui le condizioni storiche consentiranno lo sviluppo di quel movimento che porta al cambiamento dello stato di cose presenti. Insomma, la religione è un fenomeno che si accompagna alle condizioni di sfruttamento morale e materiale del proletariato e “Si liquida, semmai, solo quando se ne sappia spiegare l’origine e lo sviluppo delle condizioni storiche nelle quali è sorta ed è giunta a dominare”, scrive Engels nell’articolo dal titolo Bruno Bauer e il cristianesimo primitivo (1882).
Lenin, richiamandosi a Marx ed Engels, considera la religione uno “strumento della reazione borghese”. Tuttavia anche “un affare privato nei confronti dello Stato, ma non possiamo considerarla un affare privato nei confronti del nostro partito”. Lo Stato e la religione non devono avere alcun legame e “ognuno dev’essere assolutamente libero di professare qualunque religione o di non riconoscerne alcuna”. E quindi “Nessuna differenza nei diritti dei cittadini, motivata da credenze religiose, può essere tollerata”. Anzi, Lenin auspicava l’appoggio del clero russo “sottomesso e ignorante”, almeno di quelle componenti “oneste e sincere”, che protestano contro l’arbitrio zarista (Socialismo e religione, articolo del 1905).
«Nella società libera non ci sarà nessun culto; infatti ognuno dei suoi membri supera la fanciullesca fantasia primitiva secondo cui al di là o al di sopra della natura ci sarebbero degli esseri sui quali si possa influire mediante sacrifici o preghiere. Un sistema socialitario rettamente inteso deve perciò (...) abolire tutte le apparecchiature della magia scolastica e conseguentemente tutti gli elementi essenziali del culto».
La religione, quindi, è proibita, secondo queste parole che però non sono scritte da un marxista: non da Marx, Engels e, come abbiamo visto, nemmeno da Lenin. A scriverle è Karl Eugen Dühring, filosofo ed economista tedesco (1833-1921), sostenitore di un positivismo evoluzionistico e di un “socialismo naturale”, cioè di un materialismo antidialettico come va di moda anche oggi tra gli atei devoti, ma soprattutto Dühring si distingue per il suo anti-marxismo.
Engels dedica a Dühring e alla sua critica del marxismo un’opera dal titolo Anti Dühring. Nella terza sezione, in riferimento al brano dühringiano sopra riportato egli scrive:
«Ma ogni religione non è altro che il fantastico riflesso nella testa degli uomini di quelle potenze esterne che dominano la sua esistenza quotidiana, riflesso nel quale le potenze terrene assumono la forma di potenze sovraterrene. […] quando la società, mediante la presa di possesso e l'uso pianificato di tutti i mezzi di produzione, avrà liberato se stessa e tutti i suoi membri dall'asservimento in cui essi sono mantenuti al presente da questi mezzi di produzione prodotti da loro stessi, ma che si ergono di fronte a loro come una prepotente forza estranea, quando dunque l'uomo non più semplicemente proporrà, ma anche disporrà, allora soltanto sparirà l'ultima forza estranea che ancora oggi ha il suo riflesso nella religione e conseguentemente sparirà anche lo stesso riflesso religioso, per la semplice ragione che non ci sarà più niente da rispecchiare.
Dühring non può aspettare che la religione muoia di questa morte naturale. Egli procede più radicalmente. Fa il Bismarck più di Bismarck; decreta leggi di maggio inasprite non solo contro il cattolicesimo, ma contro tutta la religione in generale; aizza i suoi gendarmi dell'avvenire e così l'aiuta ad acquistarsi il martirio e un prolungamento di esistenza».
Lenin ricorda come proprio in queste parole nell’AntiDühring, Engels condanni “non meno esplicitamente l’idea pseudo-rivoluzinaria di Dühring circa l’interdizione della religione nella società socialista" (L’atteggiamento del partito operaio verso la religione, 1909).
Tutta questa tirata per una breve osservazione. Il marxismo, cioè il materialismo dialettico, che non può avere altra posizione in materia di credenze religiose che l’ateismo, non si propone quindi di proibire la religione, di sopprimere la libertà personale di credere o non credere nel trascendente. È chiaro che però la religione, in quanto istituzione non mai neutrale, in quanto “strumento della reazione borghese”, deve essere combattuta per il ruolo e le funzioni che essa assolve nell’ambito politico e sociale del sistema. Soprattutto in un paese come l’Italia dove l’ingerenza del Vaticano, ovvero della gerarchia ecclesiastica cattolica, nella vita politica e sociale della nazione è esiziale a qualunque progresso civile, come testimonia sia la storia del Novecento (l’appoggio aperto al fascismo e la decisiva opposizione alla costituzione di un governo Giolitti, quindi la fattiva collaborazione degli elementi più reazionari del partito popolare, tra i quali De Gasperi, ai primi governi Mussolini), fino agli ultimi fatti che vedono il Vaticano attivo fautore di una legislazione di stampo medioevale in tema di procreazione assistita e testamento biologico.
(*) Engels, nel suo scritto su Ludwig Feuerbach e l’approdo della filosofia tedesca, rimprovera a questi il suo idealismo che “salta agli occhi non appena si arriva alla sua filosofia della religione e alla sua etica. Egli non vuole affatto sopprimere la religione, egli vuole completarla”. […] La sola religione che Feuerbach indaga seriamente è il cristianesimo, la religione mondiale dell’Occidente, che è fondata sul monoteismo. Egli dimostra che il dio cristiano non è che il riflesso fantastico, l’immagine riflessa dell’uomo. Ma questo stesso dio è il prodotto di un lungo processo di astrazione, è la quintessenza concentrata di una moltitudine di precedenti dèi di tribù e nazionali. E conforme a ciò anche l’uomo, di cui quel dio è l’immagine, non è un uomo reale, ma è a sua volta la quintessenza di molti uomini reali, è l’uomo astratto, quindi è esso pure una immagine ideale. Lo stesso Feuerbach, che predica ad ogni pagina la supremazia dei sensi, l’immersione nel concreto, nella realtà, diventa completamente astratto non appena viene a parlare di un rapporto tra gli uomini che vada al di là del rapporto puramente sessuale. [...] Nella forma egli è realistico, egli parte dall’uomo; ma non dice assolutamente nulla del mondo in cui quest’uomo vive, e perciò l’uomo rimane sempre lo stesso uomo astratto che era il protagonista della filosofia della religione. Quest’uomo però non è nato dal seno materno, ma è sbocciato dal dio delle religioni monoteistiche, e perciò non vive nemmeno in un mondo reale, formatosi storicamente e storicamente determinato. Egli è sì in rapporto con altri uomini, ma ognuno di questi è altrettanto astratto quanto lui. Nella filosofia della religione avevamo per lo meno ancora degli uomini e delle donne, ma nell’etica scompare anche quest’ultima distinzione”. […] In una parola, succede alla dottrina morale di Feuerbach lo stesso che a tutte quelle che l’hanno preceduta. Essa è adatta a tutti i tempi, a tutti i popoli, a tutte le circostanze, e appunto per questo non è applicabile in nessun tempo e in nessun luogo, ed è, rispetto al mondo reale, altrettanto impotente quanto l’imperativo categorico di Kant. In realtà ogni classe, anzi, persino ogni professione ha la sua propria morale, e spezza anche questa quando può farlo impunemente; e l’amore che deve unire tutto si manifesta nelle guerre, nei conflitti, nei processi, nelle liti domestiche, nei divorzi e nello sfruttamento più intenso possibile degli uni da parte degli altri. [...] il passo che Feuerbach non ha fatto doveva però essere fatto; il culto dell’uomo astratto, che costituiva il nocciolo della nuova religione di Feuerbach, doveva essere sostituito dalla scienza dell’uomo reale e della sua evoluzione storica.
Ho letto tre volumi, di Diego Fusaro.
RispondiEliminaPerchè, lei sostiene che, come approccio light, non va bene?
E in generale, cosa ne pensa di intellettuali come il Fusaro?
Grazie per le eventuali risposte.
1) perché è sempre meglio un approccio con i testi originali che con gli interpreti specie se
RispondiElimina2) gli interpresti sono degli idealisti e sostanzialmente degli antimarxisti
spero di avere tempo e occasione di occuparmi di qualche specifico truismo di questo giovane e irritante affabulatore che con la scusa di marx vuole solo fare carriera e vendere libri
grazie a te
ah, dimenticavo. fusaro è anche quello che ha sottolineato come marx si sarebbe opposto al marxismo con la famosa frase "io non sono marxista".
RispondiEliminane ho scritto qualcosa qui:
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2011/01/je-ne-suis-pas-marxiste.html
ma la frase che più farebbe incazzare marx è che secondo fusaro non sarebbe stato uno scienziato sociale, un critico dell'economia borghese, o, per dirla sbrigativamente con fusaro, un economista, bensì un filosofo ...
non so se vale la pena di occuparsi ancora di questo saputello, vedremo
Ho letto il post da lei segnalato.
RispondiEliminahttp://diciottobrumaio.blogspot.com/2011/01/je-ne-suis-pas-marxiste.html
Bene, a questo punto, spero proprio che lei si occuperà, di qualche specifico truismo, del giovane Fusaro.
Grazie mille.
penso proprio che mi occuperò di questo reazionario che ha fatto di marx una caricatura
RispondiEliminaciao