Oggi vorrei dire un paio di cose sulla riunione di Bruxelles tra i rappresentanti politici delle diverse borghesie nazionali europee. Ma prima un cenno a quei cinque lavoratori che ieri sono morti vendendo “liberamente” la propria forza-lavoro ai loro padroni. Si dirà: in ogni modo ci saranno sempre delle vittime d’incidenti sul lavoro. È vero che l’attività lavorativa umana comporta sempre dei rischi, ma questi si aggravano enormemente a causa delle condizioni nelle quali avviene il lavoro. Prendiamo il caso di un salariato che lavori a una pressa; la macchina è dotata di una serie di dispositivi di sicurezza grazie ai quali è quasi impossibile che si verifichi un grave incidente. E invece le gravi mutilazioni sono frequenti e qualche volta la morte del poveraccio che è costretto a lavorarci. Perché? Per il semplice motivo che l’attivazione di tutte le misure di sicurezza comporta un “rallentamento” del lavoro, cioè un minor livello di sfruttamento e quindi di profitto. E allora il padrone fa disattivare alcuni dispositivi di sicurezza e in tal modo il lavoro s’intensifica così come il rischio. Rispetto all’anno scorso siamo già a oltre 650 (345 sul lavoro, gli altri in itinere) morti con un aumento del 14,8%.
Ma veniamo alla sceneggiata di Bruxelles. Ne dirò alla buona ma senza alterare la sostanza. Bisogna anzitutto tener conto che il Pil della Grecia incide per il 2% (330.000) sul totale europeo (16.414.000), cioè quanto la Lombardia e il Piemonte insieme. Il suo debito pubblico è a 350mld. Una cifra cospicua ma alla portata di un salvataggio europeo con il fondo di salvataggio europeo (Efsf) portato recentemente a una capacità di prestito di 440 miliardi di euro con garanzie complessive (Fmi) pari a 780. Quindi la questione è politica. E infatti la Grecia riceve complessivamente ben oltre 200mld di euro in cambio dei suoi pezzi di carta, allungando le scadenze del prestito e riducendo gli interessi. L’EFSF, cioè la Ue, acquisterà dalle banche europee, soprattutto francesi e tedesche (maggiormente esposte al debito ellenico, con rispettivamente 25 e 39 miliardi di euro di titoli di stato ellenici) i titoli di debito in scadenza di un Paese fallito. Non si tratta dunque di un piano Marshall per la Grecia ma per le banche, le quali festeggiano (*).
Non potrà essere così per la Spagna e soprattutto per l’Italia. L’Italia ha un Pil che è quasi quattro volte quello della Grecia ma anche un debito statale quasi sei volte superiore. Le potenzialità italiane sono sulla carta notevolmente maggiori di quelle della Grecia e anche della Spagna. Però non abbiamo crescita economica e lo Stato spende più di ciò che incassa ed è costretto, essendo controllato dalla borghesia, ad inasprire la fiscalità contro le classi povere e medie per restare entro il 3% del deficit di bilancio, operando con ciò la grande operazione di trasferimento di ricchezza – cioè di sfruttamento – dal basso verso l’alto. Tuttavia il debito statale continua ad aumentare ed è il doppio (120%) rispetto ai parametri stabiliti dal trattato europeo (60% del pil). Perciò l’Italia non sarà in grado di far fronte alla riduzione del debito, né alla sua stabilizzazione. Ciò significa che a breve gli “investitori” chiederanno maggiori garanzie per comprare i nostri titoli di debito. La speculazione (i dark pool) andrà a nozze e l’Europa potrà fare poco o forse non vorrà fare nulla.
Ancora una volta i conglomerati finanziari, i pescicani della speculazione più opaca, posso brindare a questa e alle future vittorie, i loro media cantarne le gesta, mentre la classe dei salariati, mai così ampia nel mondo come oggi, può solo contare i propri morti in attesa di ulteriori e più aspri tagli alla spesa sociale, di più pesanti fardelli, mentre i suoi pur risicati diritti civili e sindacali sono in via di marcata estinzione. Sorgerà da questa situazione di attacco feroce del capitale un movimento sociale generalizzato che sappia realmente opporsi con successo al liberismo, oppure ancora una volta le forze della reazione avranno la meglio portandoci alla catastrofe come già avvenne negli anni Venti e Trenta?
(*) Secondo la banca d’affari JP Morgan alla fine dello scorso febbraio l’esposizione di Francoforte, cioè della banca europea, sul debito greco era pari a 194 miliardi di euro rispetto a prestiti per 131 miliardi di euro, ovvero il 68% del nominale. Con un taglio maggiore del 32% del debito greco in caso di ristrutturazione, cioè del 50%, la perdita per la Bce sarebbe di 35 miliardi di euro, ma secondo indiscrezioni odierne la cifra potrebbe salire a 50 miliardi. I prestiti di Francoforte, inoltre, rappresentano l’unica fonte di finanziamento per le banche nazionali greche. Lo scorso maggio, per la prima volta in cinque mesi il volume dei prestiti ha sfiorato i 100 miliardi di euro (97,5) rispetto agli 86,8 di aprile 2011.
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