martedì 4 gennaio 2011

Pataccari

Immaginiamo Marx ed Engels in viaggio nell’Urss. Chi conosce i loro scritti di prima mano non può onestamente affermare che essi avrebbero il minimo dubbio sull’effettiva natura del cosiddetto “socialismo reale”.

Se ieri come oggi essi si spostassero nelle grigissime periferie dell’estremo occidente, non necessariamente nelle 700 favelas di Rio de Janeiro, ma anche solo nelle banlieues parigine, nei numerosi bronx americani, i loro giudizio sull’odierna società capitalista non cambierebbe molto rispetto a quello dei loro tempi. La loro analisi troverebbe riscontro esatto anche se visitassero la Brianza o il vicentino, riguardo ai livelli di sfruttamento e alienazione, all’opulenza finta e alla vera povertà morale in cui versa il proletariato diventato ceto medio. Per tacere sul saccheggio delle risorse e il generale depauperamento, delle enormi spese militari o del gigantesco spreco a sostegno del consumo, cioè dell’accumulazione e del profitto che tale dissipazione va ad alimentare.
Eppure c’è ancora chi sostiene che questo rappresenti il migliore dei mondi possibili; certo, con i suoi limiti e i suoi difetti, ma comunque senza reale alternativa possibile, fino ad arrivare al punto di tracciare un parallelismo tra l’esperienza storica e tragica del sovietismo con il “sogno” marxiano. Eccone uno scampolo:
«Marx ha alimentato a lungo un sogno sul futuro: la classe operaia un giorno avrebbe vinto il capitalismo e avrebbe governato come classe egemone in un sistema più equo. Quel sogno è fallito» [qui].
Bisogna essere troppo ingenui o in mala fede (Mario Draghi, se non altro come presidente della Banca d’Italia e presidente del consiglio in pectore di un eventuale governo “tecnico”, ingenuo non è di sicuro) per ignorare che la critica dell’economia politica marxiana è un’analisi attenta, scientifica e sistematica dello sviluppo storico del capitalismo, delle sue contraddizioni immanenti e quindi della sua crisi generale e storica e non già un manuale in compendio sul futuro paradiso comunista. Oltre tutto, in Marx non è dato alcun vincolo morale per quanto riguarda le sorti del capitalismo, fermo restando che tale sistema si dimostra nei fatti gravemente iniquo e violento. Perciò imputargli il fallimento del supposto “sogno” con la fine del “socialismo reale”, è un po’ come dire che le crisi del capitalismo dimostrano la fallacia delle dottrine smithiana e ricardiana, o di quella keynesiana in rapporto alla crisi fiscale dello Stato.
Ma non si tratta solo di un errore “metodologico”, tutto questo serve a Draghi per riaffermare la preminenza del dominio formale e reale del capitale sul lavoro: «in quasi tutti i Paesi le rappresentanze della classe operaia e delle nuove fasce deboli hanno modificato le loro azioni e rivendicazioni, ispirandole all' esigenza di tutelare al meglio e pragmaticamente tali interessi nel contesto di economie di mercato che devono affermarsi nella competizione internazionale».
Ecco dispiegata tutta la “pragmatica” dei corifei del capitale: i salariati, i cassaintegrati, i precari a vita, i disoccupati, gli sfruttati in generale, avrebbero cambiato strategia, tramite le proprie rappresentanze sindacali, facendo propria quella del capitale e dei suoi miserabili apologeti, rinunciano di propria sponte ai diritti e alle conquiste di tante lotte del passato per poter “meglio e pragmaticamente” tutelare i propri interessi di classe mettendosi in concorrenza con i livelli di sfruttamento bestiale di paesi quali la Cina, l’India, il Sudamerica, l’Africa e l’Est europeo.
Insomma, come salariati non potremmo mai aspirare di poter decidere cosa, quanto e come produrre, ci viene precluso d’emanciparci non solo dalla schiavitù attuale, diventando padroni della nostra realtà e destino, ma anzi dovremmo piegarci alle condizioni della “competizione internazionale”, vale a dire alle condizioni del peggior sfruttamento. Agli occhi dei dirigenti dell’industria, del commercio e della finanza, così come a quelli del mondo accademico e giornalistico, non interessa nulla della condizione dei salariati, si tratta solo di questioni di “compatibilità”, cioè di sottomissione assoluta al diktat padronale, e di “competitività”, cioè di livelli di sfruttamento della manodopera; in ultima analisi un problema di costi e controlli, giammai di salvaguardia e di umanizzazione del lavoro. L’essere umano ottiene la loro attenzione solo nell’ottica dell’interesse capitalistico, che guarda ai livelli produttivi, assenteismo, pause, turni, avvicendamenti, cioè all’utilizzazione della manodopera conforme ai calcoli e previsioni, ai parametri del saggio di profitto.
Nelle loro quotidiane esortazioni, trascurano il fatto che produrre a livelli e nelle condizioni dei salariati cinesi o polacchi, non è una nostra necessità, ma quella di valorizzazione del capitale, in definitiva la convenienza della loro classe sociale di rapaci mantenuti. O ci adeguiamo, oppure, è detto a chiare lettere, ci tagliano i viveri, il necessario per vivere. Questa non è vista come violenza, ma come adesione alle “regole” del mercato.
Questi dirigenti, esperti e propagandisti della “competizione internazionale” rivelano nella loro concreta ansia di disperazione per le sorti del loro sistema economico, la totale e violenta avversità per ogni cambiamento autentico, per un’umanità nuova e davvero affrancata dal bisogno e dal terrorismo dei padroni. Da parte nostra non abbiamo nessuna necessità di accettare tale stato di cose, e nemmeno di scendere a compromessi con questo genere di pataccari dell’ideologia del “libero mercato”. Anzi, i salariati diventano la parte più avanzata dell’umanità quando capiscono che le cose per loro vanno peggio se stanno fermi.

2 commenti:

  1. La costellazione dei pataccari vaselina, dei conigli mannari, di quegli untuosi corrimano di ministero e caveau, di quei self-made men alla schiena di caucciù, ha perso di recente la star Padoa Schioppa.

    I superstiti proseguono piamente l'indefessa opera di rimbambimento dei rimbambiti.

    Nel post abbiamo visto in azione, e opportunamente commentato, il divino Draghi. Ma non è sfuggito, ai cronisti della lenta discesa all'inferno, il contributo di Marietto Monti. Il quale sul solito giornale della solita borghesia milanese operosa e ripugnante ci ha raccontato che grazie al ricatto di Marchionne si faranno finalmente più automobili in Italia. E grazie alle meraviglie della Gelmini finalmente quei fannulloni degli studenti si metteranno a studiare - zitti, allineati e coperti - a studiare per diventare carne di precariato, anziché fare casino in piazza e disturbare la digestione dei cannibali.

    Perle elargite agli operosi lettori con dignità di editoriale.
    Che io sappia nessuno, finora, ha riso.

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  2. ah già, le tasse son bellissime x quel 81% a reddito fisso che le paga

    erano cento amici alla cena: 300 euro a cranio!

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