Il primo pensiero è stato di disgusto. L’uso delle parole ormai sfugge a chi le pronuncia; le contraddizioni e le incertezze superficiali di questa cultura approfittano di un contesto di incoerenza. Quando uno come Eugenio Scalfari parla della “opulenza” degli operai, dichiarando di rinunciare all’ideologia a favore del “buon senso”, rivela tutta la sua schizofrenia, la perdita della comprensione dialettica del reale. Con la scusa dei morti di fame cinesi ed indiani, ci racconta che dobbiamo adeguarci all'economia della decadenza, farci fare ancora di più il culo dai padroni e senza fiatare.
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In una domenica di nebbia ti aggrappi a quello che trovi, magari all’esercito di riserva dello spettacolo. E ti trovi davanti Gianfranco Fini che dice, nella sostanza, le stesse cose di 35 anni fa. E a seguire Antonio Albanese, il quale, non potendo raccontarci in televisione di che plasma è fatto il potere, quello vero, della meticolosità di cui è capace l’intrigo dei grandi padroni, ci serve ribollito cinematograficamente l’intrallazzo di provincia.
A Scalfari, una vita nell'élite - dal "Biancone" del Ventennio alle sere in Via Veneto alla venerata reliquia di oggi - non rimane molto da vivere. In sede di bilanci, ha trovato l'ultima parola - chissà perché è la solita broda, la solita vulgata liberista, un altro credere obbedire combattere dopo quelli della sua gioventù e della sua maturità - in fatto di economia. E con la fissità un po' allucinata di certi anziani ripeterà quella parola fino alla bara. Del resto quel che accadrà al mondo dopo la sua non lontana dipartita non lo riguarda.
RispondiEliminaIMMAGINO CHE IL COMMENTO SI RIFERISSE AD UN ALTRO POST, CMQ CONDIVIDO: un voyeur
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