sabato 29 gennaio 2011

Un altro impiego della vita


Le dimostrazioni in Egitto hanno scosso il regime di Hosni Mubarak sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Europa. In centinaia di migliaia si sono riversati nelle strade per chiedere le dimissioni del dittatore, denunciando la disoccupazione di massa e la povertà, scontrandosi con la polizia e bruciando la sede del Partito Nazionale Democratico.
La protesta avviene appena due settimane dopo le manifestazioni che hanno costretto un altro dittatore, Zine El Abidine Ben Ali, a fuggire, carico d’oro, dalla Tunisia. Manifestazioni di rilievo si sono diffuse ad altri paesi della regione, compreso lo Yemen, la Giordania e l’Algeria.
Questi eventi stanno mettendo a rischio soprattutto il ruolo del governo degli Stati Uniti come asse centrale della reazione in tutto il Medio Oriente e Nord Africa. Fin dall'inizio dei disordini, l'amministrazione Obama ha espresso chiaramente la volontà di sostenere Mubarak e il regime egiziano, un alleato cruciale degli Stati Uniti.
Il presidente Obama ha dedicato le sue attenzioni, ieri sera, a difendere Mubarak di fronte della rivolta popolare. Dal momento che la polizia di Mubarak ha ucciso almeno un centinaio di persone, causato centinaia di feriti e arrestato un numero impressionante di manifestanti, cinicamente Obama ha proclamato che gli Stati Uniti "invitano le autorità egiziane ad astenersi da qualsiasi violenza contro i manifestanti pacifici". L’unico tipo di manifestazione tollerata dai padroni del pianeta sono le innocue passeggiate per la strada sotto stretta sorveglianza degli sgherri.
Inoltre, Obama ha parlato come se fosse un osservatore innocente, dimentico che manganelli, pistole, gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e blindati usati dal governo egiziano per reprimere il popolo, recano il timbro, in alcuni casi letteralmente, "Made in USA." Gli Stati Uniti finanziano l'Egitto con 1,5 miliardi di dollari l'anno per mantenere efficiente il suo apparato di repressione, diventando così il secondo più grande beneficiario degli aiuti americani dopo Israele.
L'intero approccio del governo americano agli eventi in Egitto è guidato dalla grande paura che la rinascita della lotta di classe nella regione possa infliggere un duro colpo ai suoi interessi geo-strategici. La caduta di Mubarak, venendo dopo la fuga dalla Tunisia di Ben Ali, minaccia di scatenare un'ondata di rivolte popolari che potrebbero spazzare l'intera regione.
Il vice presidente, Joseph Biden, ha detto giovedì che la decisione di Mubarak di spegnere Internet e schierare forze speciali "è stata molto responsabile ... rispetto agli interessi geopolitici nella regione". L’Egitto ha svolto un ruolo cruciale nel mantenimento della dominazione degli Stati Uniti, in particolare dopo Anwar Sadat, il predecessore di Mubarak, che ha firmato gli accordi di Camp David con Israele nel 1978. Nel 1979 gli Stati Uniti hanno perso un alleato chiave con la caduta dello Scià in Iran. Da quel momento, l'esercito egiziano e il suo apparato di intelligence collaborano strettamente con gli Stati Uniti e Israele nella soppressione delle masse in tutta la regione. Come ha dimostrato la documentazione pubblicata da Wikileaks, il Dipartimento di Stato americano era a conoscenza e si rendeva complice di Mubarak nell’uso della tortura e dell’eliminazione fisica dei suoi avversari politici.
Certamente l’amministrazione Usa starà prendendo in considerazione se si può fare a meno dello zio di Ruby, sostituendolo con i militari (che infatti evitano al momento di prendere in proprio l’iniziativa della repressione) o da uno o l’altro degli "oppositori" fidati, come Mohamed El Baradei, impegnati nella difesa del capitalismo egiziano e del suo rapporto con l’imperialismo. 
I lavoratori in Medio Oriente e del Maghreb hanno dimostrato immenso coraggio, ma coraggio e eroismo da soli non bastano. La lotta è ancora nelle sue fasi iniziali, ma l’assenza di un’organizzazione e di un programma rivoluzionario (l’islam dei cosiddetti Fratelli Musulmani è solo un’altra particolare forma del dominio di classe), porteranno le classi dirigenti della regione, in alleanza con l’imperialismo, a impegnarsi a parole per il cambiamento ma agiranno concretamente per la difesa dell’ordine esistente.
La velocità con cui si sono sviluppate queste rivolte di massa, è la prova dello stato esplosivo delle tensioni sociali e di classe che si vanno accumulando in tutto il mondo. Il sistema capitalistico non è ancora stato superato in nessun luogo (e non c’è luogo particolare dove possa essere stabilmente superato) ma ovunque continua esso stesso a produrre i propri nemici. Il programma rivendicativo delle nuove generazioni non potrà che radicalizzarsi sulla base delle sconfitte del passato, e quindi arricchirsi proporzionalmente ai poteri pratici delle nuove tecnologie, poteri che costituiscono virtualmente la base materiale su cui inventare e proporre un altro impiego della vita.

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