Secondo un articolo di Rachel Donadio del NYT [qui], che cita fonti della Banca d'Italia, i cinesi che lavorano a Prato rimpatriano capitali in Cina per una cifra stimata di 1,5 milioni di dollari al giorno, principalmente guadagni dal commercio dei tessili e abbigliamento, i cui profitti di tale entità non appaiono nei documenti fiscali.
Secondo il Sole 24ore, “nel settore dell'abbigliamento, il numero di imprese italiane registrate a Prato si è dimezzato dal 2001 ora sono poco meno di 3.000. Duecento in meno di quelle di proprietà di cinesi. Prato, che un tempo era un importante produttore ed esportatore di tessuti, ora rappresenta il 27% delle importazioni tessili italiane dalla Cina. Su una popolazione totale di 187mila persone, Prato conta 11.500 immigrati cinesi legali, ma secondo le stime la città ha altri 25mila immigrati clandestini, in maggioranza cinesi”.
Sempre secondo il quotidiano economico italiano, il sindaco di Prato ha intensificato i raid verso le imprese cinesi. Nella prima metà di quest'anno, le autorità hanno fatto blitz in 154 imprese di proprietà cinese. Vari funzionari dell'ufficio immigrazione della polizia di Prato sono stati arrestati con l'accusa di avere preso tangenti in cambio di permessi di soggiorno.
Naturalmente di quest’ultimo aspetto i telegiornali si guardano bene dal dare notizia.
Per vent’anni la Confindustria ha rotto i coglioni decantando le virtù del mercato, della deregulation, della globalizzazione … Ora hanno tutto questo, ma rompono la minchia perché c’è la concorrenza. Mai contenti i padroni.
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