venerdì 24 settembre 2010

Il Papa straniero


I punti essenziali del discorso tenuto da Obama ieri all’Onu non potevano che riguardare la strategia geopolitica degli Usa, la quale ha come base l'arrogante pretesa (a dir poco) di avere il diritto di intervenire ovunque nel pianeta.
Il punto cruciale di tale strategia riguarda il confronto con la Cina, quindi l’egemonia Usa in Asia centrale, così come nel Sudest asiatico e nel Pacifico, nel Corno d’Africa, ecc.. Non per nulla il New York Times ha pubblicato un articolo, chiaramente basato sulla prospettiva dell'amministrazione degli Stati Uniti, sul rapporto sempre più teso Usa-Cina, riferendo che "l'aumento di attriti tra la Cina e i suoi vicini in queste ultime settimane sulle questioni della sicurezza” ha consegnato agli Stati Uniti l'occasione per riaffermare la propria leadership nell’area. Infatti, tra le righe, ha rilevato che Washington si è inserita nelle dispute territoriali tra la Cina e i paesi del sud est asiatico, organizzando provocatorie esercitazioni militari congiunte con la Corea del Sud vicino alle acque cinesi e ha rinsaldato la sua alleanza con il Giappone, paese in contrasto con l'influenza della Cina per motivi commerciali, i quali assumono le specie di dispute territoriali.
Si tratta complessivamente di una strategia di “display determination” già largamente collaudata in Europa ai tempi della Guerra Fredda.
Su tale linea Obama ha richiamato l'attenzione sul suo prossimo viaggio in Asia, elencando i paesi in cui si recherà: India, Indonesia, Corea e Giappone, e lodando ciascuno di essi per aver promosso i “principi democratici”, mentre ha esplicitamente negato che tali principi ispirino la visione della dirigenza cinese: “Yet the appeal of such an idea [la democrazia] faces challenges at bodies like the UN. This is not, for example, the future world that Chinese leaders envision”. L’itinerario comprende i quattro maggiori paesi che gli strateghi statunitensi immaginano come baluardi contro l'espansione dell'influenza cinese.
In tale chiave vanno lette anche le presunte aperture verso l’Iran. Gli Usa hanno sempre più la necessità di stabilizzare in qualche modo, con le buone o con altri mezzi, i conflitti nel Vicino e Medio Oriente, in modo da avere mano libera in Asia e nel Pacifico. A questo serve tutta la retorica banale circa la "Terra Santa" e "la nostra comune umanità", mentre si inviano  84 aerei F15 all’Arabia Saudita. Non è da escludersi, in tal senso e nel prossimo futuro, anche tentativi di più marcata distensione verso la Russia, interessi dell'area permettendo.
Non si può escludere a priori che gli strateghi Usa abbiano compreso che l’epoca delle portaerei finirà presto e che pertanto sarebbe opportuno provocare i cinesi per poi reagire con un’azione preventiva. Insomma battere la Cina finché si è più forti e in grado di farlo, risolvendo al contempo anche importanti problemi in campo economico e finanziario.
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Ieri mattina, nel post qui sotto, ho messo in luce come la “notizia” della riduzione a meno di un miliardo del numero delle persone affamate nel mondo è in realtà una balla propagandistica, sia perché tale numero era già stimato sotto il miliardo, ma anche perché tale dato, poco meno di un miliardo appunto, invece di diminuire, tende ad aumentare.
Ieri sera su Repubblica è apparso questo articolo che vale la pena di leggere.

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