Come Clemente Mastella e Pierluigi Bersani anche Massimo Cacciari è laureato in filosofia; anzi, per certi versi è considerato il “filosofo” per antonomasia, ovvero “la coscienza critica del Pd”, così come l’ha definito la signora Gruber ieri sera.
E anche in tale circostanza mediatica Massimo Cacciari non ha mancato di offrirci uno scampolo della sua saggezza filosofica, della sua elaborazione monotematica: la destra e la sinistra sono concetti superati e che non hanno più alcuna ragione di esistere.
Dichiarazioni come questa, ribadite e sottolineate in ogni occasione, hanno l’effetto dell’intimidazione (ipse dixit!), ma il loro scopo è altro, evidente forse un tempo ma ormai non più. Ed è quello di marcare la sconfitta, morale e storica prima ancora che politica, della “sinistra” e di ciò che essa, non solo come concetto, tradizionalmente e pure in modo assai contradditorio, ha rappresentato e significato per oltre un secolo nella realtà italiana e non solo.
L’esperienza del socialismo reale, un lager a cielo aperto, è stata subito identificata come la crisi, storica e irreversibile, del marxismo (da molti intellettuali nostrani superficialmente accolto) e delle “ragioni” del movimento antagonista e comunista. Di quale “marxismo” si trattasse dovrebbe essere ben noto, ma chi ha tempo e voglia ormai per disquisire e dare a Marx solo ciò che gli appartiene? Del resto chi può seriamente immaginare un Veltroni o un D’Alema chiosare i “sacri testi”? È questo il compito dei “filosofi”, e i Bersani e i Cacciari hanno detto che si tratta di roba vecchia e inutilizzabile. Conseguentemente si presenta l’altro aspetto della faccenda, e cioè l’aver considerato il marxismo come una "filosofia" della prassi compiuta, definitivamente svolta e perciò, nel giudizio anzitutto dei "marxisti" approssimati e ora pentiti, un “tentativo” fallito nei fatti.
Incombe una realtà diversa, quella del padroncino e dell’operaio leghista. La lotta è per la conquista del loro consenso, del voto per poi agire in alleanza con i cattolici e procedere alle necessarie “riforme”. Sulla base delle idee e dei programmi del liberismo che la sinistra parlamentare ha fatto propri (con l'inclusione di elementi di dottrina sociale cattolica). Partendo dal presupposto che tutto ciò che ancora non sta sotto il sigillo della proprietà privata, si deve svendere al miglior offerente, al meglio realizzando delle public company. Come la Telecom, per esempio!
Eccoci quindi nella trappola del liberalismo, o liberismo, che poi nella sostanza delle cose non sono tra loro diversi. E quindi non c’è da meravigliarsi se hanno preso piede, per accettazione convinta o per rassegnazione, le teorizzazioni come quelle del premio Nobel per l’economia Fredrich Hayek: “dobbiamo abbandonare il pregiudizio secondo cui ogni uomo che nasce ha diritto alla vita”.
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