lunedì 31 gennaio 2011

La scienza marxista e i suoi patetici becchini



Il pensiero borghese, non potendo combinare in modo soddisfacente l’esigenza di un’ampia sintesi di "ordine filosofico" e una visione generale del mondo con l’assimilazione della molteplicità materiale e storica dei fenomeni ideologici, compito questo irrisolvibile sul terreno dell’idealismo, ha trovato un escamotage, al solito più furbo che intelligente, per uscire vittorioso da questa impasse.
I teorici della borghesia morente, negando di essere il prodotto dell’ordine economico e sociale capitalistico, quindi il fatto che la loro coscienza individuale, al pari di quella di tutti gli altri, diventa tale soltanto realizzandosi nelle forme ideologiche di un dato ambiente sociale, e approfittando della caduta dei sistemi sociali a matrice staliniana e maoista, hanno dichiarato la fine di tutte le ideologie.
Sedativo definitivo, negatività storicizzata, essi hanno ovviamente di mira soprattutto il marxismo, temendo il comunismo come uno spettro che, come sappiamo, non ha mai smesso di aggirarsi, non solo in Europa, ma nel mondo intero. La scienza marxista delle ideologie ha posto in chiaro la totale realtà oggettiva di tutta la creazione ideologica, perciò sappiamo bene che la reazione borghese contro il marxismo sarà tanto più dura quanto più si approfondirà la crisi economica e andranno a pallino le misure anticicliche, ossia tanto più diviene palese il fallimento di un capitalismo “dal volto umano” e il discredito per l’ideologia di accompagnamento.
Sia ben chiaro che il marxismo non è morto, per la semplice ragione che esso rappresenta la critica scientifica (non meramente etica, come si dà ad intendere) più rigorosa e pregnante dell’esistente. È il materialismo storico che concettualizza la categoria di formazione economico sociale, la struttura dinamica dei rapporti organicamente legati ed in continua interazione sulla base di un dato modo di produzione e secondo leggi specifiche; ed è sempre Marx a rilevare la natura e i meccanismi di sfruttamento della forza-lavoro, ad enunciare la legge fondamentale dell’accumulazione capitalistica che sola spiega le cause prime delle crisi. Il marxismo rappresenta quindi il fondamento epistemologico di qualunque movimento non velleitario, autenticamente rivoluzionario e alternativo al sistema.

Tra escort e tromboni



Tenterò di mettermi dal punto di vista di Eugenio Scalfari (si parva licet), un ricco e influente proprietario, giornalista di fama, preoccupato del buon nome dell’Italia all’estero, dell’imperante conflitto tra le “istituzioni”, del debito pubblico e delle quotazioni delle obbligazioni statali, eccetera. Pensieri gravosi che agitano il sonno e guastano il buon vivere, perciò li mette nero su bianco ogni domenica sulle pagine di Repubblica, foglio di dottrina della sinistra, qualunque cosa voglia ancora dire (e non dire) questo termine giudicato desueto soprattutto da chi ne abusa. Perciò i pensieri scalfariani meritano attenzione per il seguito che l’illuminato pifferaio, ex fascista “dissidente” e poi bancario, gode presso la gente di concetto oggi più rappresentativa. Difficile però credere si tratti dei milioni di salariati che questa mattina si consegnano spontaneamente per almeno otto ore ai loro datori di lavoro (espressione politicamente corretta che sta per: "predatori di lavoro altrui").
Quando Eugenio Scalfari, citando e alludendo a Napolitano, parla di “istituzioni imbarbarite” sa bene di cosa parla. I barbari non hanno occupato solo taluni dei più alti scranni della Repubblica, l’imbarbarimento germoglia diffuso e produce i suoi frutti in ogni luogo delle “istituzioni”. Le lotte di palazzo sono diventate virulente e palesi perché acerrima si è fatta tra camarille la contesa per il potere, tra visioni  antagonisticamente convergenti sul piano delle “riforme” e dei "federalismi", sempre urgenti, i quali consistono inevitabilmente in nuovi salassi per chi lavora ed è costretto a pagare fino all’ultimo centesimo, lasciando ai sociologi e giornalisti il compito di definire le coordinate del "nuovo" concetto di povertà.
Scalfari punta il dito contro “l'indecente spettacolo dei comportamenti viziosi e della paralisi istituzionale”. Che Berlusconi sia quel che è, mezz’Italia l’ha sempre detto e saputo, l'altra mezza tace per convenienza. È pure incontestabile però il fatto che del suo enorme conflitto d’interessi il centro-sinistra non ha mai voluto occuparsi concretamente in Parlamento, ma in televisione e sui giornali. La moglie del poveretto, riferendosi a vicende di natura sessuale, ha pure affermato pubblicamente che si tratta di un uomo malato (e questo, a ben considerare, sarebbe il male minore). Un padrone politico che però non vuole mollare il potere. D’altra parte gli è stato conferito sulla base del risultato elettorale, che dovrebbe essere sacro per Scalfari. E invece, ancora questa domenica, il filosofo di Civitavecchia suggerisce di mettere in scena un altro ribaltone. Oppure lo scioglimento delle Camere per motu proprio di Napolitano. Quest’ultimo (classe 1925), seppur più giovane di Scalfari (classe 1924), sa bene che nella pratica non può aderire all'incitamento perché con tale provvedimento certificherebbe una nuova e preventiva vittoria dell’odiato cavaliere.
Trascura però il fatto, Scalfari, che i vizi privati di Berlusconi e di moltissimi altri papaveri della politica sono il corollario dei “vizi” violenti e mafiosi dell’apparato politico e statale (non una semplice ipotesi: chiedere ragguagli, tra i viventi, alla dott.ssa Forleo o al dott. Scarpinato), di un potere incontrollato, contiguo e connivente. Non da ieri l’altro, da sempre. Berlusconi lo sa bene e peciò insiste per imporre la sua franchigia d’impunità, trovando ovviamente largo consenso tra quelli come lui, così come tra la cosiddetta gente comune che sente uscire dai palazzi della politica puzza di uova marce.
Scalfari richiama: “l'articolo 54 della nostra Costituzione esorta ed anzi impone al titolare di quella istituzione di comportarsi con decoro”. Perché si dimentica di citare gli artt. 9, 11, 36, 37, 38, 39, 40, ecc.? Non dovrebbero i "titolari" di istituzioni che si vorrebbero "decorose" impegnarsi al rispetto di questi dettati? Scardinando la scala mobile, legalizzando il caporalato, attuando la svendita truffaldina del patrimonio, mantenendo intatto il medioevo burocratico, aumentando la spesa militare, mettendosi in guerra in Europa e nel mondo, alimentando gli sprechi innumerevoli e le solite ruberie tariffarie dei monopolisti, pensa Scalfari che i suoi amici, quando sono stati al governo, abbiano a loro volta tributato miglior ossequio alla Costituzione di quanto hanno fatto i governi di Bossi, Fini, Casini e Berlusconi?
Attorno a queste vere questioni, i controllori dell’informazione e della cultura, destra e sinistra, in questo compito sono assai solidali e non sollevano più lo scandalo (se non occasionalmente, distorcendo i fatti per ragioni strumentali), ma tendono a organizzare saldamente il silenzio, obbedendo agli ordini e parlando d’altro.

domenica 30 gennaio 2011

Aperta la caccia alle allodole



Le comari incominciano a gridare al lupo al lupo affinché ognuno corra con il proprio secchiello d’acqua al seggio elettorale per spegnere l’immane rogo provocato dal PDL e della Lega nella comune “casa degli italiani”, ossia le “istituzioni”. Come se Berlusconi fosse l’unico piromane in circolazione e la “cosa pubblica” venisse in salvo in caso di elezioni. Tutta questa faccenda dimostra, ancora una volta, l’elevato livello di mistificazione ideologica di cui si serve la democrazia parlamentare borghese come richiamo per … le allodole (chiamiamole così).
È impossibile trovare nelle false rappresentazioni mediatiche dell’una e dell’altra parte un briciolo di onestà. Sono più di vent’anni che gli ex PCI sono diventati anche formalmente dei liberali, ma Berlusconi liberale lo è a maggior titolo e il “popolo” preferisce l’originale alla copia, come ben sappiamo. Questi veterani del trasformismo, da un lato rincorrono il “popolo delle partite IVA”, fino al punto di favorire l’evasione fiscale e il passaggio in Parlamento del relativo “scudo”, e dall’altro lato hanno venduto la causa del mondo dei salariati, pensando di goderne comunque l'usufrutto. E invece  nel nord i salariati votano massicciamente per la Lega e il Pdl. Il pensiero di questi liberali di "sinistra" ovviamente non ha mai messo in causa l’esistente, e nemmeno dichiara di volerlo moderare nei suoi aspetti più crudi e illegali (vedi vicenda Fiat), ma rivendica la pretesa di gestirlo, di governarlo, perché pensa di poter servire gli interessi della borghesia meglio degli altri. Ed effettivamente da questo punto di vista si sono visti dei buoni risultati tra il 1996 e il 2001 e tra il 2006 e il 2008.
Solo che c'è un tizio che pensa di fare servizio meglio di loro, quel Berlusconi  che si è frapposto ed è diventato il nuovo nemico da abbattere con ogni mezzo. Egli non è stato solo un incidente, ma la risposta colta al volo dai settori sociali più conservatori e reazionari, una risposta sempre più cosciente degli interessi in gioco e organizzata a difenderli. Non per nulla l'uomo più rappresentativo e prezioso, Giulio Tremonti, occupa il posto chiave nei governi di Berlusconi e Bossi, lo stesso gerarca con il quale i "capubastuni" della sinistra parlamentare sono disposti di venire a patti spianandogli la strada per palazzo Chigi. I tradimenti della “sinistra”, con un alibi o l’altro, sono all’ordine del giorno, così le tresche nei poteri locali (vedi Napoli e poi …..).

sabato 29 gennaio 2011

Un altro impiego della vita


Le dimostrazioni in Egitto hanno scosso il regime di Hosni Mubarak sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Europa. In centinaia di migliaia si sono riversati nelle strade per chiedere le dimissioni del dittatore, denunciando la disoccupazione di massa e la povertà, scontrandosi con la polizia e bruciando la sede del Partito Nazionale Democratico.
La protesta avviene appena due settimane dopo le manifestazioni che hanno costretto un altro dittatore, Zine El Abidine Ben Ali, a fuggire, carico d’oro, dalla Tunisia. Manifestazioni di rilievo si sono diffuse ad altri paesi della regione, compreso lo Yemen, la Giordania e l’Algeria.
Questi eventi stanno mettendo a rischio soprattutto il ruolo del governo degli Stati Uniti come asse centrale della reazione in tutto il Medio Oriente e Nord Africa. Fin dall'inizio dei disordini, l'amministrazione Obama ha espresso chiaramente la volontà di sostenere Mubarak e il regime egiziano, un alleato cruciale degli Stati Uniti.
Il presidente Obama ha dedicato le sue attenzioni, ieri sera, a difendere Mubarak di fronte della rivolta popolare. Dal momento che la polizia di Mubarak ha ucciso almeno un centinaio di persone, causato centinaia di feriti e arrestato un numero impressionante di manifestanti, cinicamente Obama ha proclamato che gli Stati Uniti "invitano le autorità egiziane ad astenersi da qualsiasi violenza contro i manifestanti pacifici". L’unico tipo di manifestazione tollerata dai padroni del pianeta sono le innocue passeggiate per la strada sotto stretta sorveglianza degli sgherri.
Inoltre, Obama ha parlato come se fosse un osservatore innocente, dimentico che manganelli, pistole, gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e blindati usati dal governo egiziano per reprimere il popolo, recano il timbro, in alcuni casi letteralmente, "Made in USA." Gli Stati Uniti finanziano l'Egitto con 1,5 miliardi di dollari l'anno per mantenere efficiente il suo apparato di repressione, diventando così il secondo più grande beneficiario degli aiuti americani dopo Israele.
L'intero approccio del governo americano agli eventi in Egitto è guidato dalla grande paura che la rinascita della lotta di classe nella regione possa infliggere un duro colpo ai suoi interessi geo-strategici. La caduta di Mubarak, venendo dopo la fuga dalla Tunisia di Ben Ali, minaccia di scatenare un'ondata di rivolte popolari che potrebbero spazzare l'intera regione.
Il vice presidente, Joseph Biden, ha detto giovedì che la decisione di Mubarak di spegnere Internet e schierare forze speciali "è stata molto responsabile ... rispetto agli interessi geopolitici nella regione". L’Egitto ha svolto un ruolo cruciale nel mantenimento della dominazione degli Stati Uniti, in particolare dopo Anwar Sadat, il predecessore di Mubarak, che ha firmato gli accordi di Camp David con Israele nel 1978. Nel 1979 gli Stati Uniti hanno perso un alleato chiave con la caduta dello Scià in Iran. Da quel momento, l'esercito egiziano e il suo apparato di intelligence collaborano strettamente con gli Stati Uniti e Israele nella soppressione delle masse in tutta la regione. Come ha dimostrato la documentazione pubblicata da Wikileaks, il Dipartimento di Stato americano era a conoscenza e si rendeva complice di Mubarak nell’uso della tortura e dell’eliminazione fisica dei suoi avversari politici.
Certamente l’amministrazione Usa starà prendendo in considerazione se si può fare a meno dello zio di Ruby, sostituendolo con i militari (che infatti evitano al momento di prendere in proprio l’iniziativa della repressione) o da uno o l’altro degli "oppositori" fidati, come Mohamed El Baradei, impegnati nella difesa del capitalismo egiziano e del suo rapporto con l’imperialismo. 
I lavoratori in Medio Oriente e del Maghreb hanno dimostrato immenso coraggio, ma coraggio e eroismo da soli non bastano. La lotta è ancora nelle sue fasi iniziali, ma l’assenza di un’organizzazione e di un programma rivoluzionario (l’islam dei cosiddetti Fratelli Musulmani è solo un’altra particolare forma del dominio di classe), porteranno le classi dirigenti della regione, in alleanza con l’imperialismo, a impegnarsi a parole per il cambiamento ma agiranno concretamente per la difesa dell’ordine esistente.
La velocità con cui si sono sviluppate queste rivolte di massa, è la prova dello stato esplosivo delle tensioni sociali e di classe che si vanno accumulando in tutto il mondo. Il sistema capitalistico non è ancora stato superato in nessun luogo (e non c’è luogo particolare dove possa essere stabilmente superato) ma ovunque continua esso stesso a produrre i propri nemici. Il programma rivendicativo delle nuove generazioni non potrà che radicalizzarsi sulla base delle sconfitte del passato, e quindi arricchirsi proporzionalmente ai poteri pratici delle nuove tecnologie, poteri che costituiscono virtualmente la base materiale su cui inventare e proporre un altro impiego della vita.

I funzionari del Reich globale



Al forum dei funzionari del capitalismo mondiale riuniti a Davos, il gerarca italiano Giulio Tremonti ha detto:
«Siamo abbastanza giovani per vedere il mondo del G20. Ma anche abbastanza vecchi per ricordare il mondo del G7». Un vecchio mondo - quello del G7 - «dominato dagli Stati-nazione» e incentrato sui principi rivoluzionari «libertè, egalitè, fraternitè». E uno nuovo, quello del G20, incentrato invece su «globalitè, marchè, monnaie».
Tanto per dire che va mantenuta la finzione giuridica del vecchio ordine che maschera la schiavitù moderna su cui si rafforza il dominio su scala planetaria dalla borghesia internazionale.
Tremonti ha anche citato l'enciclica Caritas in veritate, come «una fantastica mappa del nuovo mondo emergente» basata su «proprietà, integrità e trasparenza».
Il candidato ha così assolto positivamente all'esame di amissione per Palazzo Chigi.

venerdì 28 gennaio 2011

L'abbondanza di che?



Il Mediterraneo è in fiamme, l’Ungheria protesta e a Londra si decide di tornare in piazza. I metalmeccanici italiani scioperano e, come previsto, i media padronali minimizzano. Gli operai esistono solo quando si tratta di fare il tifo per i sindacati “gialli”. Che cosa ci dobbiamo aspettare da questo sistema economico, dai padroni delle ferriere che riportano l’orario di lavoro all’Ottocento, a dieci ore, la mensa dopo il turno di lavoro, riducono le pause per i bisogni più elementari? Alla fine è stato questo il risultato di tre decenni di profetiche chiacchiere sulla modernità, la robotizzazione, la qualità totale e le infinite stronzate sulla fine della fatica e la scomparsa dell’operaio. Questo sistema non solo ha svuotato di significato i gesti del lavoro in ogni angolo del pianeta, ma con la folle competizione planetaria ha ridotto ancor più al sottosviluppo le vite stesse dei suoi schiavi, affollati nei capannoni di periferie metropolitane grigie e anonime, costretti a produrre per alimentare l’ossessiva e illimitata bulimia del capitale.  
Scriveva ieri Marco Revelli sul il manifesto ieri:
«Hanno aggiunto che dappertutto i lavoratori fanno sacrifici, “per competere”, a cominciare dagli operai tedeschi. Non ci dicono che quelli della Wv, per prendere i più rappresentativi, hanno accettato sì, fin dal 2006, di sacrificarsi sull’orario, ma passando da una settimana lavorativa di quattro giorni a una di cinque (dalle 28 ore stabilite fin dal 1993 a 33, prima, e ultimamente a 35, non di più). Che hanno ceduto, certo, sulle pause, ma per scendere a una pausa di 5 minuti per ogni ora di lavoro. Che hanno fatto sacrifici salariali, ma per ottenere, dopo il “taglio”, remunerazioni lorde che vanno dai 2.800 ai 3.500 euro mensili (tra il 30 e il 50% superiori a quelle italiane, con un costo della vita del tutto paragonabile o addirittura più favorevole».
Va bene porre in luce i dati che ci vedono soccombenti anche in termini di confronto, ma non basta. La domanda che dobbiamo anzitutto porre è molto semplice: lo sviluppo di una società dell’abbondanza deve portare all’abbondanza di che? L’unico tipo di produzione che ci deve interessare è quella che ci libera dalla schiavitù di un sistema insaziabile di lavoro e di “sacrifici”, da un’organizzazione dominante che sequestra la nostra vita, censura i nostri bisogni più autentici e stimola quelli artificiali, adatti a consumatori isolati, incapaci di volere e di scegliere, ipnotizzati dallo spettacolo mediatico, ormai l’unica e surrogata realtà disponibile.

Grillo's List





Nel blog di Grillo un’altra puntata di allarmismo gratuito. Va bene sparare ad alzo zero contro un sistema marcio e corrotto, ma bisogna aver almeno un minimo di decenza riguardo ai fatti e all’intelligenza dei lettori. Del "metodo" ne avevo già parlato qui qualche giorno fa. Scrive il rag. Grillo (o chi per lui):

 

«I primi Paesi per esportazioni oltre alla Cina sono infatti Stati Uniti, Germania, Olanda e Giappone. Esportano innovazione e tecnologia, noi cosa esporteremmo?».

 

Eh già, noi cosa esporteremmo (la doppia “emme” è una licenza del rag. Grillo) ? La lista è palesemente sbagliata. Qual è la sua fonte? Mistero. Prima degli Usa c’è la Germania e dopo gli Usa il Giappone e la Francia. L’Olanda segue in classifica l’Italia. Insomma ne ha azzeccata una su cinque, direbbe il filologo Antonio Di Pietro.

 

Domanda: vogliamo dire al lettore del blog di Grillo il posto dell’Italia nella classifica? Forse, nel 2010, l’Italia sarà settima e non più sesta, superata, di pochissimo, dalla Corea (grazie al colosso Hyundai). Canada (9^), Regno Unito(10^), Russia (12^), Spagna (16^), Brasile (19°) ecc.. Per consultare la lista dei paesi esportatori  qui.

 

L’export italiano non è certamente merito dei governi (men che meno dell’attuale), bensì del lavoro italiano e della sua ancora valida competitività. Chi è interessato può leggersi il Rapporto ICE-ISTAT 2009-2010 (dal quale risulta che non esportiamo solo capitali mafiosi).

 

Grillo pensa che farebbe meglio degli attuali governanti? Peggio sicuramente no, ma meglio è difficile, visto che non riesce nemmeno a copiare una lista (da cui omette l’Italia per fare il gioco suo).

giovedì 27 gennaio 2011

Ausmerzen


Con Marco Paolini non ci si annoia mai, tutt’altro. Anche nel caso di Ausmerzen, trasmesso ieri sera in Tv, la propedeutica svolge un ruolo importante perché illustra nel dettaglio quello che di solito e altrimenti è ignorato (ne accennerò nei prossimi giorni in una serie di post dedicati a Filippo d’Assia, al secolo Philipp von Hessen-Kassel und Hessen-Rumpenheim, marito di Mafalda di Savoia, che con la vicenda narrata da Marco Paolini non è del tutto estraneo). Ancora una volta siamo testimoni di una realtà storica agghiacciante in cui le responsabilità non possono essere spiegate semplicemente con le categorie dell'assurdo e della follia.
Con poche parole l’Attore illustra come la selezione “biologica” della popolazione umana agli inizi del XX secolo abbia interessato dapprima gli Stati uniti, i paesi scandinavi e poi anche altri, con sterilizzazioni di massa ecc.. Perciò la teoria e la pratica della selezione precede Hitler e la sua cricca, anche se nel nazismo, nei suoi volenterosi e numerosissimi carnefici, i metodi di selezione raggiungono il climax dell’efficienza e dell’orrore.
L’eugenetica nel XX secolo, che ha risentito molto del darwinismo sociale teorizzato nel secolo precedente, si è basata su un semplice principio: se alla maggior parte dei cittadini disabili non è impedito di riprodurre i loro difetti genetici, la società nel suo complesso deve farsene carico. Se invece lo Stato interviene sterilizzando tali “malati”, ciò potrà migliorare il contesto sociale della parte “sana”, evitando le spese sanitarie per quegli individui che avevano bisogno di essere curati e ricoverati a spese della collettività. In tal modo negli Stati Uniti furono sterilizzate 250mila persone, 60mila in Svezia.
Anche nel caso tedesco, Marco richiama giustamente e opportunamente la relazione comunque esistente, almeno in ultima analisi, tra l’ideologia e l’economia. Ed infatti la crisi economica degli anni Venti e Trenta favorì il diffondersi e la presa dell’ideologia della “selezione” anche in Germania. Quando alla povertà subentra la miseria e il cibo, anche i viveri più comuni, diventa una dura conquista quotidiana per decine di milioni di persone, non è difficile per le classi dirigenti nazionali far passare un’idea di buon senso, ovvero che le inutili bocche dei portatori di handicap sono un peso insostenibile per la società. Che è necessario quindi che lo Stato se ne occupi direttamente, seppur discretamente per non suscitare la reazione dei soliti rompicoglioni rossi e assimilati.
Ad essere coinvolti, a vari livelli, nell’operazione di “trattamento” dei bambini e degli adulti ”inutili”, dei mangiatori a sbaffo, furono migliaia di medici, infermieri, religiosi, semplici “operatori”. E naturalmente la dirigenza del Reich. Gli esseri umani “trattati” furono centinaia di migliaia, tra essi migliaia di bambini. La “gente”, i benpensanti, sapeva e taceva. La pratica, paradossalmente e come Paolini rileva, continuò addirittura per oltre un mese dopo l’arrivo delle truppe alleate!
In ogni epoca furono attuate pratiche di “selezione”, ma solo in tempi relativamente recenti tali pratiche hanno cominciato ad avere l’avvallo di una teorizzazione parascientifica (l’eugenetica), degli “specialisti”, quindi di un’organizzazione burocratica che provvede ad un sistematico e massivo “trattamento” degli indesiderati. Il modo di chinarsi sul popolo, alla ricerca di tare e turbe, da parte di certa élite medica, psichiatrica, sociologica (non solo nel caso di trattamenti eugenetici), è la palese dimostrazione dell’orgoglio con il quale gli specialisti della borghesia, in ogni campo, partecipano di una cultura di cui essi non sospettano il fallimento e la radicale criminalità.

mercoledì 26 gennaio 2011

Il podestà di Sondrio

Il 18 gennaio ho scritto questo post dal titolo eloquente: “Never let a good crisis go to waste”, nel quale parlo di Jamie Dimon, A.D. della banca JPMorgan, e di altre cosette. Il 22 gennaio il Sole 24ore dedica allo stesso Jamie Dimon e alle scelte di Obama un articolo davvero illuminante.

* * *

Il più grande riformatore delle indulgenze dopo Lutero, cioè Giulio Tremonti, a proposito delle indulgenze comunali ha detto: «Le addizionali [Tremonti le chiama così, ndr] non sono un obbligo ma una facoltà e la scelta dipenderà dai cittadini. Il cittadino potrà dire all'ente locale: non mettere le addizionali, non abusare con le imposte, perchè puoi dare servizi migliori a costi minori. Per gli amministratori quello delle addizionali non è più un meccanismo obbligatorio».

 

Ora come possa un comune, un ente locale, magari pieno di debiti, affrontare spese (e sprechi) senza aumentare le tasse resta un mistero. Che poi i cosiddetti cittadini abbiano voce in capitolo è una boutade degna del nostro Fregoli da Sondrio. Il quale senza vergogna o tema del ridicolo aggiunge:


«L'Italia era più federalista ai tempi del fascismo che oggi. Allora c'erano tanti tributi locali e funzionavano da criterio di controllo democratico sugli amministratori da parte dei cittadini».
Che l’Italia ai tempi del fascismo fosse più federalista che oggi, è cosa tutta da dimostrare. Che i “tanti tributi locali” funzionassero “da criterio di controllo democratico” sugli amministratori fascisti da parte dei cittadini può passare inosservato solo in un paese di Tremonti &C. come l’Italia. Questo guitto di provincia forse non sa che con la legislazione del 1926 furono cancellate pure le libertà municipali e l’intero potere decisionale  fu concentrato nelle mani dei podestà e dei prefetti di nomina politica, cioè fascista?
Immaginiamo il ministro dell’economia tedesco che dichiara alla stampa:
«La Germania era più federalista ai tempi del nazismo che oggi. Allora c'erano tanti tributi locali e funzionavano da criterio di controllo democratico sugli amministratori da parte dei cittadini».
Sarebbe dimissionato ancora prima di finire la frase. In Germania.

Francia o Spagna purché se magna!


Nel primo scorcio degli anni Novanta la sinistra parlamentare (ex PCI) per andare al governo ha tentato di approfittare della congiuntura favorevole, cioè dell’azione giudiziaria in corso contro un sistema partitico largamente e profondamente corrotto. Nel 1994 la gioiosa macchina da guerra occhettiana aveva tutto a favore, e invece s’infranse contro un ostacolo imprevisto ma non imprevedibile (da un anno comparivano grandi manifesti pubblicitari apparentemente senza senso con scritte due parole: foza italia, ovviamente dei test utili per i sondaggi). Ed infatti alla gioia postcomunista si oppose, occupando la scena politica, un palazzinaro brianzolo proprietario di una larga fetta dei media (TV e stampa), pieno di debiti ma deciso a riscattarsi fondando un partito, grazie ovviamente alla propria forza mediatica, ma anche con l’appoggio di personaggi siciliani (rispettabili solo nell’Isola), i quali forse non hanno potuto raccontare tutti i retroscena della loro azione allo stesso Berlusconi. Il personaggio fu allora preso di mira, a sua volta, dalla magistratura milanese. Un soggetto come lui, aduso alla parte del mugnaio e contiguo a Craxi, non poteva che trovarsi ben infarinato (anche in questo caso volendo usare uno schema critico assai prudente). Ovvio che egli abbia frapposto ogni resistenza alle imputazioni e tentati tutti i modi per sottrarsi al giudizio dei tribunali. Ma è altrettanto indubbio che uno scavo così profondo ed occhiuto, con ampio impiego di mezzi, è stato realizzato dalla magistratura in ragione del ruolo politico assunto da Silvio Berlusconi in contrapposizione alla sinistra, cioè quello di padrone del maggior partito italiano e presidente del consiglio.
Ad aggiungersi alle fatiche quanto mai attente e inesauste della magistratura venne il noto ribaltone della Lega (forse suggerito da forze non autoctone) alla quale il centrosinistra dell’Ulivo promise quell’appoggio programmatico che invece l’architrave meridionale della destra non poteva in quel momento offrire. La cosa durò poco; tuttavia è proprio durante il governo di quella volpe di D’Alema che Berlusconi gioca la sua carta migliore, recitando nella commedia della bicamerale e ottenendo la blindatura legale del suo impero televisivo.
Alle successive elezioni del 2001 gli statisti del centro-sinistra persero per ciò che avevano fatto (anche la guerra) e anche non realizzato nella legislatura precedente. La questione della proprietà mediatica di Berlusconi non fu determinante per l’esito elettorale, come amano invece farci credere, pur se l’azione mediatica non fu certamente trascurabile nel convogliare consenso dalla parte del padrone di Mediaset e di Forza Italia. Ed infatti, nel 2006, dopo cinque anni di governo, Berlusconi perse nuovamente le elezioni, seppur di poco, contro il solito Romano Prodi. Il resto è noto, così come il fatto che ancora una volta il centro-sinistra non approfittò della propria posizione di vantaggio per mettere fuori ruolo Berlusconi, con due righe in gazzetta ufficiale, a causa del suo enorme conflitto d’interessi.
Tutto questo dimostra a sufficienza che se c’è una parte della sinistra e perfino della destra che vuole morto politicamente Berlusconi, vi sono settori che pensano di poterlo battere per altre vie: con la forza delle loro “idee” (per esempio il vanesio Veltroni); altri perseverano nell’ottenere tale risultato per via giudiziaria (non solo Di Pietro), mentre ad altri ancora non dispiace servirsi dell’antiberlusconismo di facciata per continuare a farsi gli affari propri (e delle relative consorterie) sfruttando il solito metodo del trasformismo all’italiana (diniani, mastelliani, ma anche piddini e via via elencando). Francia o Spagna purché se magna!
Anche prescindendo da un giudizio da un punto di vista di classe su questo sistema politico roso dalle tarme, un fatto va comunque sottolineato, e cioè che esso procede irresponsabile e disinvolto, estraneo dalla vita quotidiana dalle stragrande maggioranza delle persone, e troppo in alto nella scala dei poteri umani.  

martedì 25 gennaio 2011

I teorici della competitività


Il capitalista, il Marchionne di turno, ovvero i suoi interpreti teorici – l’economista, il deputato e il giornalista – quando puntano sulla questione della produttività del lavoro, essi offuscano con un elevato livello di mistificazione un fatto basilare del rapporto tra capitale e lavoro, è cioè che tale rapporto si giova di una finzione giuridica, il contratto, che cela una realtà molto cruda, ovvero l’ineguaglianza radicale del rapporto tra capitale e lavoro nel processo di produzione. Infatti, solo formalmente l’operaio è libero di agire nel rapporto, ma in realtà è spinto dal bisogno a vendersi come forza-lavoro. La mediazione del contratto, le pattuizioni in esso contenute, possono più o meno temperare le condizioni alle quali  la forza-lavoro viene ceduta al capitalista (a questo servono i contratti collettivi), ma non eliminano l’ineguaglianza di base del rapporto di compra-vendita e l’utilizzo dell’operaio, ovvero della sua forza-lavoro, come merce produttiva di valore. Ciò riflette bene, tra l’altro, la separazione tra l’economico e il politico, fra la proprietà e il potere.

Inoltre, l’uso della forza lavorativa e il depredamento di essa, sono cose del tutto differenti. Il plusvalavoro non l’ha inventato il capitale, tuttavia il bisogno illimitato di pluslavoro sorge dal carattere stesso della produzione capitalistica. L’orrore civilizzato del sovraccarico di lavoro per estrarre una quota maggiore di plusvalore diviene fattore di un sistema calcolato e calcolatore con il capitalismo. Non si tratta più di trarre – come avveniva prevalentemente nelle epoche passate – dalla produzione una certa quantità di prodotti socialmente necessari o anche destinati al lusso delle classi padronali, ma della produzione del plusvalore stesso, in quanto tale.

* * *

LAVORATRICI.
Giorgia Meloni, 34 anni appena compiuti, diploma di liceo linguistico. Nel 1996 diviene responsabile nazionale di Azione studentesca, il movimento studentesco di AN. Nel 1998 viene eletta consigliere della provincia di Roma per AN, rimanendo in carica fino al 2002. Nel 2000 diviene dirigente nazionale di Azione giovani. Nel febbraio 2001 è coordinatrice del comitato nazionale di reggenza di Azione giovani. Nel 2004 viene eletta presidente, sempre di Azione giovani. Dal 2006 giornalista e parlamentare, dal 2008 ministra della gioventù.
Insomma la Giorgia è una che ha conosciuto abbastanza le contrade del mondo giovanile, soprattutto quello neofascista. Ed infatti oggi non si è lasciata sfuggire l'occasione per descriverci il mondo giovanile che ha conosciuto con una certa profondità: «i giovani italiani soffrono di inattitudine all'umiltà».

Tarantella


In una società dove anche le notizie delle previsioni del tempo assumono il tenore dello spettacolo e l’interesse del business, e dove invece regna sovrano l’omissis sulle stragi di Stato e prevale in generale il torbido sulla trasparenza, non deve meravigliare che le notizie attinenti ai licenziamenti di massa, la cassa integrazione e il lavoro precario, i bassi salari e le pensioni da fame, la situazione nelle carceri e così via, non assumano rilievo se non meramente statistico.
Nel mio piccolo (molto piccolo, d’accordo) registro la cosa anche per quanto riguarda il numero di visite a questo blog. Esse sono in aumento solo quando tratto argomenti che nel dato momento hanno grande rilievo mediatico. Ad ogni buon conto, devo confessare molto francamente due cose: 1) la dozzina di lettori non occasionali che ogni giorno buttano l’occhio nel blog, appagano a sufficienza la mia vanità; 2) avrei grande sorpresa se vi fosse un maggior riscontro quando tratto argomenti tipo la caduta del saggio del profitto oppure del TransAtlantic Business Dialogue (Tabd), ovvero del gruppo d’affari “influente” che periodicamente si riunisce per “suggerire” a premier e ministri l’agenda dei temi da trattare quando si riuniscono in consessi come l’Organizzazione mondiale del commericio o il Transatlantic Economic Council, eccetera.

lunedì 24 gennaio 2011

Italian 1.0


Atmosfera mitteleuropea a Palazzo Spinola, a Milano, per il "Gran ballo viennese" che per una sera ha riportato nel capoluogo lombardo l'atmosfera dorata della Vienna ottocentesca. Le coppie di debuttanti - le ragazze rigorosamente in abito bianco e accompagnate dai loro cavalieri, gli allievi della Scuola militare Teulié in alta uniforme - hanno danzato sulle note dell'Orchestra Wien Ball diretta dal maestro Franz Bileck. Grande novità di quest’anno: nel cortile è stata esposta una magnifica vettura di Formula 1 della scuderia Red Bull Racing, la casa austriaca che quest’anno si è aggiudicata il titolo mondiale piloti e costruttori (La Repubblica, 23-1-2011).
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Gennaio 2010 – Ecco una delle prime classifiche dei libri più venduti per il mese di dicembre (Fonte Tuttolibri), che vede in testa Luciana Littizzetto con “La Jolanda Furiosa”, comica analisi dei rapporti uomo/donna e uomo/jolanda (curioso appellativo utilizzato dalla Littizzetto nel libro per indicare l’organo femminile).
In termini numerici il primo posto in questa classifica si traduce in oltre 60.000 copie vendute per la Jolanda Furiosa. Evidentemente in tempo di crisi si ha più voglia di ridere.
Gennaio 2011 – Ed eccoci alla prima classifica dei libri più venduti nel 2011: una graduatoria che riserva qualche (piacevolissima) sopresa!
Posizione n. 2 - “Benvenuti nella mia cucina”, di Parodi, Vallardi editore.
Nel suo nuovo libro, oltre alle nuove ricette, racconta spontaneamente anche i suoi gesti e le sue esperienze in cucina, pensieri, ricordi, piccoli fatti, emozioni e preoccupazioni familiari della vita di tutti i giorni. La vita vera di una donna che lavora, che ha un marito e dei figli, nella quale facilmente si possono riconoscere tutte le persone che la seguono con simpatia da anni.
Sempre vendutissimo, il nuovo libro di ricette della Parodi cede la prima posizione a...
Posizione n. 1 - “I dolori del giovane Walter”, di Littizzetto, Mondadori editore. Lucianina sul gradino più alto del podio.

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Ha vinto Andrea Cozzolino, il delfino di Antonio Bassolino. Ha vinto l’erede di una discussa stagione politico-amministrativa, che promette discontinuità con gli ultimi 18 anni di governo di centrosinistra a Napoli dopo esserne stato uno dei principali dirigenti, prima da segretario napoletano dei Ds e poi da assessore regionale all’Agricoltura e alle Attività Produttive nell’ultima giunta Bassolino.

domenica 23 gennaio 2011

Il gioco delle tre carte: Pds, Ds, Pd


«Un uomo che non ha compreso le condizioni presenti della società
può ancora meno comprendere il movimento che tende a rovesciarle».

Valter Veltroni, nel suo intervento di ieri al Lingotto, ha detto tra l’altro: "Non ci potrà mai essere una forza più radicale della nostra perché più radicale del nostro riformismo non ci sarà nulla e nessuno".
Questi incantatori di lucertole sono decenni che prendono in giro le coscienze ingenue con la storiella che questo sistema si può riformare, migliorare. La crisi generale, storica, del processo di valorizzazione del capitale potrà fare ancora danni per qualche decennio, ma le contraddizioni che attanagliano questo sistema non possono essere riformate né parzialmente e tantomeno radicalmente. Perfino gli economisti borghesi più lucidi e meno pavidi prendono atto di questo stato di cose. L’economista Joseph Stiglitz, nel suo ultimo lavoro, Bancarotta, l'economia globale in caduta libera, edito da Einaudi, a pagina 316 scrive che il 15 settembre 2008, cioè il giorno del crollo della Lehman Brothers, è stato per il capitalismo come il crollo del Muro di Berlino per il comunismo (sedicente).
Ma facciamo un po’ di storia di questi cultori del riformismo “più radicale”. Il PCI un progetto alternativo di società non l’aveva più da molto tempo e del resto la via elettorale e parlamentare non poteva essere la strada per un radicale cambiamento dei rapporti di classe, anche per motivi di collocazione internazionale (Berlinguer, negli anni Settanta, a tale riguardo, scrisse alcuni articoli su Rinascita prendendo a riferimento il caso cileno e i timori di un’involuzione autoritaria del sistema). Negli anni Settanta il PCI aspirava al “compromesso storico”, cioè a creare un’alleanza di governo tra cattolici e laici di sinistra (qualunque cosa voglia dire). Il massimo risultato che raggiunse tale progetto fu l’appoggio esterno del PCI al governo Andreotti. Lo stesso Andreotti, a tale riguardo, liquidò tale prospettiva politica con queste parole: "secondo me, il compromesso storico è il frutto di una profonda confusione ideologica, culturale, programmatica, storica. E, all’atto pratico, risulterebbe la somma di due guai: il clericalismo e il collettivismo comunista."
Respinto dalla DC il tentativo di compromesso, dopo ben otto anni, il PCI si decise alla “svolta”, sposando la strategia della “alternativa democratica”, ovvero orientandosi verso la formazione di coalizioni di governo che escludessero la DC. Non vi fu esito, anche perché fu Craxi l’interlocutore privilegiato della DC.
Dopo il fatidico 1989, il pensatoio del PCI, col congresso di Rimini del 1991, liquidò il partito e partorì il PDS, ovvero il partito democratico della sinistra, entrando in tal modo, anche formalmente, nel grande circo del riformismo liberale. Alle elezioni del 1992 il PDS ottenne il 16,1% dei voti, cioè il 10% in meno rispetto all’ultimo PCI. Al successivo referendum per l’adozione del sistema elettorale maggioritario, il PDS fu per il Sì, che prevalse. Alle elezioni politiche del 1994 si coalizzò con tutti i partitini del variegato trasformismo borghese. Vinse la destra, con un partito nuovo di zecca capeggiato da un affarista lombardo proprietario di metà del monopolio televisivo e con l’appoggio della Lega (definita da D’Alema una “costola della sinistra”).        
Dopo il famoso “ribaltone” della Lega, nel 1996, il PDS assuse il governo con il cattolico Romano Prodi [*] (a capo della coalizione dell’Ulivo e con Valter Veltroni vicepresidente del consiglio che riteneva di dettare la linea kennediana), ma i contrasti interni alla coalizione, la brama di potere personale e la difesa ad oltranza degli interessi più smaccati della borghesia compradora, portarono a ben tre governi nella legislatura, in perfetto stile democristiano.
Ad ogni buon conto, il PDS nel 1998 si ribattezza DS, cioè Democratici di sinistra, per coalizzarsi con altre forze parlamentari della sinistra, dai Comunisti unitari ai Cristiano sociali, ai Laburisti (!). Tutti uniti, a parole, per rendere questo paese più moderno, più democratico, più europeo e chissà cos’altro.
Il segretario dei DS, dal 1998 al 2001, è stato il carismatico leader Valter Veltroni, diplomato cine-operatore. Alle elezioni del 2001 i DS sono sconfitti dal tenebroso tycoon televisivo Berlusconi, che si prende la rivincita in alleanza con la Lega (quella della Padania, della secessione, del federalismo duro e puro, del federalismo centralista, del qualche cosa purché si tiri a campare). Per farla breve, nel 2007 i DS, non avendo più nulla a che fare, nemmeno nominalmente, con la “sinistra”, si trasformano in PD, cioè Partito democratico. Valter Veltroni, dopo aver manovrato per far cadere il secondo governo Prodi, aprendo così la strada a nuove elezioni, si propose come nuovo leader della coalizione elettorale che avrebbe dovuto battere Berlusconi. Com’è miseramente fallito il suo tentativo è ben noto.
E veniamo all’oggi, anzi al discorsetto di ieri. Come si ricorderà, Veltroni, il leader che aveva dichiarato urbi et orbi di non essere «mai stato ideologicamente comunista», ma di aver aderito al «Pci come scelta morale», nel 2003, intervistato da una tv francese, spiegava che puntava alla rielezione a sindaco di Roma e poi, nel 2011, sperava di partire «a 56 anni e con mia moglie» per l' Africa[qui]. Ed invece, nel gennaio 2011, i liberali di “sinistra” se lo ritrovano candidato segretario del partito e leader di coalizione in caso di elezioni. Al Lingotto, dopo aver reso doverosamente omaggio a Roosevelt e Luther King e all’immancabile nuova (?) frontiera kennedyana ha richiamato più volte la necessità di “uscire dal Novecento”. Giammai dal capitalismo, ma dal Novecento, sottolineando che "il successo dell'operazione Fiat-Chrysler è di importanza strategica per il futuro del paese". Ecco dove vorrebbe portarci Veltroni e il Pd, a braccetto con Marchionne e Bonanni, ad una nuova edizione  del “compromesso storico” riveduta e corretta con dentro gli ex fascisti (peraltro riluttanti). Non capiscono, non possono capire, che ogni antagonismo sociale deriva, in ultima analisi, dalla contraddizione tra il carattere sociale della produzione e la forma privata della appropriazione del prodotto del lavoro. Ma sanno benissimo da che parte stare.

[*] Romano Prodi, è stato inviaschiato in tante faccende, come uomo e ministro di Andreotti e come  presidente dell'IRI. Come presidente della Commissione europea (1999-2004) è stato referente delle multinazionali (vedi alla voce: TransAtlantic business dialogue, anche qui e qui ).

sabato 22 gennaio 2011

Rapporti reali e finzione politica


L’attuale crisi economica nei suoi meccanismi interni è una crisi classica di sovrapproduzione di capitale, ma le forme che essa ha assunto la differenziano per molti aspetti da quelle precedenti e ha molto a che vedere con la speculazione dei commercianti di valuta e di titoli che scommettono contro le valute e obbligazioni dei paesi indebitati. Tra questi le banche giocano un ruolo di primo piano.
L'intero processo di salvataggio del debito sovrano, in combinazione con i tassi d’interesse ridotti quasi a zero, ha aperto opportunità del tutto nuove agli speculatori per realizzare superprofitti.  Secondo gli ultimi dati, in cima alla lista dei primi dieci gruppi finanziari per le vendite europee del debito pubblico nel 2010 c’è la Barclays Capital, il braccio di investimento di Barclays Bank, seguita dalla Deutsche Bank che ha superato la statunitense JP Morgan Chase. Più di un terzo delle entrate europee per la Deutsche Bank, derivava dal commercio in titoli di società e di governo.
L'ultima riunione dell'Unione europea dei ministri delle finanze tenuta all'inizio di questa settimana, ancora una volta ha evidenziato la completa sottomissione dell’establishment politico europeo ai cartelli bancario e finanziario europei e internazionali. L'Unione europea ostinatamente rifiuta di intraprendere ogni azione contro la speculazione criminale che sta conducendo una campagna sistematica in tutto il continente e minaccia di far precipitare l'Europa nel caos economico e finanziario.
Il capitale, l’aristocrazia del denaro, usa gli organismi economici sovranazionali, i partiti politici e i sindacati per imporre senza condizioni e mediazioni la propria dittatura che chiama “leggi di mercato”, a riprova che la stagione del riformismo, l’apparente riduzione delle differenze di classe, è finita nel momento in cui prevale la dura realtà dell’accumulazione capitalistica e dei reali rapporti di classe.

venerdì 21 gennaio 2011

Anniversari



(Ansa - Roma, 21 gennaio 2011). La segreteria del Partito democratico, riunita nel pomeriggio per esaminare le questioni relative al cosiddetto “collegato lavoro”, con il quale ancora una volta il governo inasprisce le condizioni dei lavoratori precari e limita ulteriormente i loro fondamentali diritti, ha dedicato la prima parte della seduta ad una sobria ma commossa celebrazione del 90° anniversario della nascita del P.C.d’I., partito dal quale trae origine e del quale rivendica la storia e gli ideali. Ribadendo il proprio impegno alla realizzazione del punto fondamentale del programma e della strategia del partito, ovvero l’alternativa al modello sociale ed economico del capitalismo, il segretario Pierluigi Bersani ha lumeggiato con commozione le figure dei padri fondatori del P.C.d’I.: Bordiga, Fortichiari, Gramsci, Polano, Scocimarro, Terracini, Togliatti. Nell’occasione, il presidente del partito, Bindi, non ha mancato di ricordare l’anniversario della scomparsa di Lenin.
Sono seguiti prolungati e calorosi applausi accompagnati dal canto dell’Internazionale.

La preghiera dei sindaci



Come se vivessimo ad Arcore, la televisione (unico imbuto informativo per il 70% e oltre della popolazione adulta) e i giornali (altro referente ideologico per chi li legge) continuano ad occuparsi prevalentemente di cosa accade nelle stanze della villa e dei palazzi di Sua Proprietà. Ma proprio ad Arcore s’è deciso, tra Bossi e Berlusconi, il via libera al cosiddetto federalismo municipale, una cosa che riguarda tutti molto da vicino, le nostre tasche anzitutto, ma anche la qualità (già scarsa) dei servizi.
Anche dal punto di vista politico, è questo il terreno sul quale concretamente può cadere il governo. Ma possiamo essere certi, nonostante la levata di scudi dell’associazione dei comuni italiani (i quali “pregano il Governo di apportare gli opportuni chiarimenti quanto prima”), cioè dei sindaci, che il provvedimento passerà. Se non altro per la paura fottuta di andare alle elezioni (cosa che la Lega non teme e che alla fine favorirebbe, ancora una volta, Berlusconi). Del resto, Bossi ha detto: “passa al 100 per cento”.
Dal canto suo il ministro dell’economia ha osservato: «Il federalismo è una straordinaria riforma che in progressione riporterà dritto l'albero storto della finanza pubblica». Secondo Tremonti «l'Italia era un paese molto più federalista ai tempi di Mussolini».
Alla fine questo tipo di federalismo, basato essenzialmente e indubitabilmente su un innalzamento di tasse ed imposte, graverà soprattutto sul lavoro dipendente e sulle pensioni, sui redditi più bassi, cioè su quelli che le tasse le devono pagare tutte e subito, alla fonte. I Comuni chiedono, tra l’altro, lo sblocco dell’addizionale Irpef, avere mano libera sulla Tarsu/Tia sui rifiuti, reintrodurre l'Ici (che si chiamerà Imu) per tutti e altri balzelli. Sulla carta si tratta di un’effettiva autonomia impositiva che non guarda in faccia a nessuno, povero o ricco ch'egli sia. Solo che i salariati non possono né evadere e nemmeno "eludere", e alla fine saremo noi a pagare, come sempre.
Il tutto dato in mano a uno scienziato leghista, certo Calderoli, ovvero l'autore della legge elettorale incostituzionale, della "semplificazione" che taglia le leggi contro le frodi alimentari, e di altre simpatiche iniziative. Ma posto che tali richieste in linea teorica siano giuste, dovrebbero anche essere, di contro, contemperate con altri provvedimenti soprattutto riguardo la riduzione della spesa: eliminare le province, accorpare amministrativamente i piccoli comuni, ridurre le pletoriche rappresentanze e gli stipendi, gli uffici sovradimensionati e gli incarichi inutili, ecc. ecc..
Chi pensa che questi provvedimenti possano portare ristoro al “non elevato grado di moralità nella cosa pubblica”, mente sapendo di mentire. Il ladrocinio continuerà come prima e forse peggio; anzi, garantirà agli amministratori locali un’ulteriore scusa per tagliare ancor di più con una mano i servizi e l’assistenza, con l’altra aumentare le tasse e conferire incarichi milionari, assumere amici e parenti nelle società partecipate, privatizzare e partire in comitiva per l’estero, con famigliari e famigli.

Tanto per dire: niente Imu (Imposta Municipale Unica) per la Chiesa. Con la legge sul federalismo fiscale non si applicherà sui beni ecclesiastici. Un'esenzione che non riguarderà solo gli immobili sede di culto e di proprietà della Santa Sede, ma ospedali e cliniche legate alla Chiesa, scuole private, residence e alberghi del bussines cattolico. Le eventuali sanzioni da parte di Bruxelles, che lo scorso ottobre aveva avviato un'indagine volta a stabilire se gli «aiuti alla Chiesa» fossero illegittimi o meno,vanno così a farsi fottere. Ma poi, a chi interessano 'ste cose?
* * *
A proposito di famiglie, per fortuna che c'è la Ferrari che pensa a loro [*] .

giovedì 20 gennaio 2011

Todos caballeros



Dov’è finito il “dopo Cristo”? Povero cristo, non se ne sente più parlare. Il chiacchiericcio mediatico e in rete ha ben altro di cui occuparsi. E la famiglia Agnelli? A godersi i profitti (le perdite le socializza), zitta zitta. Aveva lasciato l’incarico a caballeros come Marchionne, Eugenio Scalfari e Fassino di convincere gli operai che devono “competere” con i salariati cinesi e polacchi, giammai con i colleghi tedeschi o francesi, i quali evidentemente non devono competere con gli italiani che, com’è noto, sono dei fannulloni nati!
Intanto il generalissimo Bananni (non si chiama così?) “tratta” la resa incondizionata del contratto nazionale a favore di quello aziendale con Federmeccanica. Tranquilli, il chiacchiericcio sui nostri Cipputi ritornerà ad alzarsi di volume non appena si stancheranno di correre dietro alle mutande di politicanti, ruffiani e signore in carriera. Ci sentiremo tutti solidali, incazzati. Torneremo a parlare senz’altro di Termini Imerese, ma non di Pratola Serra (AV), dove si producono, alla FMA, motori per la Fiat e dove da lustri è praticato quello che oggi si chiama modello Marchionne. Anche lì tante promesse (investimenti, "fabbrica integrata", finanziamenti governativi, bla bla) ma ora si lavora solo 8 giorni al mese. Per i 1647 lavoratori c’è la cassa integrazione e per gli altri 594 dell’indotto va anche peggio.

La flotta subacquea cinese


La marina da guerra cinese, People’s Liberation Army Navy (PLAN), è composta da tre flotte: del Mare del Nord, dell’Est e del Sud; sembra che ci siano due flottiglie di sommergibili in ogni flotta, con alcuni 033s, 035s, 039s, 039As e dodici esemplari della classe Kilo (fabbricaz. sovietica su mod. UBoat XXI). Gli 033 sono sommergibili della vecchia classe Romeo, estremamente vecchi sono in gran parte stati ritirati dal servizio o servono a qualche flottiglia in ruoli di formazione. Gli 035 sono sommergibili classe Ming, il primo sottomarino progettato internamente dai cinesi sulla base della classe Romeo, presentavano non pochi problemi nella fase iniziale. La variante originale del 035s è stata ritirata dal servizio a partire dagli anni 1980. In seguito è stata sviluppata una variante 035G. Questa variante ha iniziato la produzione nel 1987, ben 18 anni dopo i primi 035. Lo 035G e la variante successiva 035G1 hanno continuato ad essere prodotti fino al 1996. Lo 035B (noto anche come 035G2) è stato prodotto tra il 1997 e il 2001. Sono stati prodotti circa 8  di questi battelli, attualmente in servizio.

Il tipo 039 (classe Song) è il nome con la quale è conosciuta una classe di sottomarini d’attacco attualmente in servizio e largamante utilizzato dalla PLAN. Ha avuto non pochi problemi e anche qualche incidente clamoroso. Attualmente siamo alle versioni 039A e 039G1 (questa di circa 12 esemplari). I motori dei quali sono dotate le unità sono di costruzione dell’azienda tedesca MTU (ex EQT-Tognum, ora Daimler). La classe Song è la più moderna classe di sottomarini convenzionali in dotazione alla PLAN. Sono state fatte prove per lanciare missili antinaveYJ-82, ma i test effettuati negli anni 90 – dicono gli specialisti occidentali – non hanno dato risultati soddisfacenti. Uno sviluppo attuale dello 039 è lo 041 classe Yuan lanciato nei cantieri Wuchang e Jiangnan. È prevista una dozzina di esemplari. È in corso di realizzazione anche un altro sottomarino, di notevoli dimensioni, sul tipo giapponese della classe Soryu.

Il sottomarino da 5.000 t tipo 091 (classe Han) è il primo battello a propulsione nucleare usato dalla Marina cinese, ed il primo SSN progettato e costruito in Asia. Da esso è derivato lo 092, il primo SSBN (lanciatore missili balistici) della classe Xia, con lo scafo aumentato per alloggiare i tubi per i missili SLBM tipo Julang-1 e 2.

Lo 093, classe Shang, è una classe di sottomarini nucleari d'attacco (SSN) sviluppato dalla PLAN. Queste unità andranno a rimpiazzare la precedente classe Han. L'unità capoclasse venne varata, nei primi anni del decennio scorso. Si ritiene abbia una lunghezza di 110 metri, un dislocamento in immersione di 7000 tonnellate e una velocità di 30-35 nodi, caratteristiche comparabili a quelle dei Los Angeles. L’armamento è probabilmente costituito da 2 tubi lanciasiluri da 650 mm e da 4-6 tubi da 533 mm. Può essere anche usato per lanciare missili anti nave YJ-82. Due battelli di questa classe sono già in servizio e saranno seguiti da altri 4 nei prossimi anni. Anche se rappresenta un importante passo avanti nella capacità di guerra subacquea cinese, non può competere sul piano degli omologhi occidentali.

Dalla classe 093 deriva anche il sottomarino lanciamissili 094 Jin, mentre è già in sviluppo battello denominato 095, sviluppo della classe Xia (lento, rumoroso e con reattore inaffidabile, sembra ne siano stati costruiti solo due esemplari di cui uno è andato perso), in risposta alle scarse prestazioni dei precedenti 093. Dotato di tecnologia russa, avrà tubi lanciamissili da crociera con gittata di 3.000 km.

mercoledì 19 gennaio 2011

La terza guerra mondiale di Grillo



Ogni tanto mi diverte leggere cosa scrive il blog di Grillo (ovviamente quasi mai è lui a scrivere). Ricordo quando già alla fine del 2007 e poi ancora nel 2008 e 2009, quindi anche all’inizio dell’anno scorso dava l’Italia in default, non più in grado di piazzare i suoi titoli di Stato. Naturalmente la situazione del debito è gravissima, ma le fosche e allarmistiche previsioni per un ravvicinato default non si sono avverate, può darsi che succeda qualcosa tra quest’anno e il prossimo, ma negli anni scorsi non è successo nulla di quanto paventato.
Oggi c’è nel sito un post dal titolo La Terza guerra mondiale. A supporto una mappa tratta dal Financial Time (si può scaricare da questo sito) che mette a confronto, dal mero punto di vista quantitativo, le forze aeronavali delle due potenze Usa e Cina.
Le considerazioni espresse sono queste:
«La Cina è ancora lontana dal gigantesco apparato militare USA che conta, ad esempio, 11 portaerei verso nessuna cinese, 900 aerei da combattimento vs 290 e 56 cacciatorpedinieri vs 28. Il tempo è dalla parte della Cina se non viene interrotta prima la sua espansione militare e economica».
Esatto, ma più in là il blog di Grillo non si spinge. Il tempo è dalla parte della Cina, ma la tecnologia e il potenziale produttivo sono ancora e continueranno ad essere dalla parte degli Usa e della Nato. A preoccupare gli Usa semmai sono i missili intercontinentali, la capacità cinese di intervenire nello spettro elettromagnetico e contro-spaziale, nonché nell’àmbito informatico. Altra incognita riguarda il sistema missilistico BF-21B, ovvero la capacità cinese di colpire unità in movimento con una salva di questi missili (data un tempo per altamente improbabile). Ciò che è certo è l’impegno cinese a tutti i livelli per dotarsi di una forza navale d’avanguardia.
Curioso il fatto che uno dei programmi televisivi più popolari in Cina negli ultimi anni è stato, nel dicembre 2006, il documentario a puntate "L'ascesa delle grandi potenze". Ha stimolato e diffuso un dibattito pubblico sulle lezioni della storia e l’attuale emergere della Cina come grande potenza. Secondo il documentario, tutte le grandi potenze di successo hanno posseduto una grande flotta navale (anche il Giappone aveva una grande flotta, ma conosciamo l’esito …).
I leader cinesi hanno sempre usato i media controllati dallo Stato per promuovere l'orgoglio popolare, per rafforzare il loro prestigio con programmi di alto profilo che servono diversi interessi nazionali, ma che sono anche simboli di status di grande potenza. Basti pensare alla realizzazione della diga più grande del mondo (nonostante i numerosi danni ambientali e problemi demografici), il completamento del terminal di Pechino, il più grande del mondo, lo sviluppo della rete ferroviaria ad alta velocità (ne ho parlato in un precedente post), quindi il progetto di un jumbo jet che rivaleggi con il Boeing 747 e l’A380, ecc. Inoltre, il programma spaziale cinese è molto ambizioso, esso comprende piani per una stazione spaziale orbitante e l'esplorazione di Marte.
La Cina invece non ha e non avrà per molto tempo una capacità d’intervento congiunta a livello di scacchiere complessivo. Per quanto riguarda la forza aerea, nonostante il recente J20 cinese, gli F-22 e F-35 sono di un altro pianeta. Insomma, la capacità operativa delle forze cinesi è ancora assai modesta e comunque non bastano le armi per fare una guerra.
(Ho già scritto alcuni post riguardo all'argomento, segnalo questo perché è il più curioso).

No upgrade, please


«Elaborare una teologia per il nostro tempo, che risponda alle attese del mondo, che ne assuma il linguaggio e le aspirazioni: è l'incombenza abitualmente assegnata a quanti fanno di professione il teologo.
[…] La teologia fissa lo sguardo sulle cose invisibili, e perciò la sua materia, a cominciare dalla Trinità, rappresenta la realtà più concreta che si possa immaginare. Secondo quanto dichiara Paolo:  "Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne" (2 Corinzi, 4, 18) per cui non hanno bisogno di aggiornarsi (Quelli che riflettono sull'invisibile, di Inos Biffi, L'Osservatore Romano - 19 gennaio 2011)».

Le possibilità dell’assurdo sono inesauribili, tuttavia non esiste nessuna giustificazione per spingere le persone a credere tutte nelle stesse assurdità se non la volontà di asservirle.  E chi meglio dei briganti che dominano la società ha interesse al mantenimento e diffusione di queste assurdità organizzate che sono chiamate religioni?
La chiesa cattolica, per esempio, sa bene che le chiese sono vuote e i confessionali deserti, l’eucaristia è diventata un optional e il matrimonio semplicemente un atto civile; ma sa anche che nei santuari c’è ressa di chi cerca nell’invisibile qualcosa in cui credere e sperare: ecco uno dei due motivi principali per i quali la fabbricazione di beatitudini e santini procede con ritmi stacanovisti. Cos’altro aspettarsi da una società che produce cancro e sindromi psicosomatiche, paure spettacolari e coazione al consumo, dove l’unico visibile ammesso è quello mediatico? Non resta altro che asservirsi a Dio, lasciando il diritto alle anime di fango dei commedianti di far parlare il suo fantasma. E fondamentalmente senza alcun bisogno di aggiornarlo!

martedì 18 gennaio 2011

Quella ciofeca del caporale di Mirafiori


Non ha digerito il risultato, sorprendente, del bluff. Si aspettava il piatto pieno di Sì ed invece ha dovuto ingoiare una dose di No davvero indigesta. Dopo decine di alka selzer, il dott. Sergio Marchionne si è sdraiato sul lettino di Ezio Mauro:
"Noi, che siamo presenti in tutto il mondo, dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca, e la colpa è soltanto mia”.
Un’autocritica? Ma va, gente con quel pelo sullo stomaco non è abituata a perdere. Non gli bastavano le nuove “regole”, ha voluto stravincere cancellando con il voto del ricatto la dignità di chi lavora in fabbrica. Invece, lo sa bene, ha perso la faccia e con essa anche la maschera buonista. Ecco il significato della frase: “dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca”. Brucia molto il culo a quest’uomo che fa mostra di voler essere estremamente frugale, nonostante guadagni decine di milioni di euro, di essere stato surclassato proprio sul piano mediatico, dell’immagine, come un Veltroni qualsiasi. Ammette insomma di aver perso questo round, ma si rifarà. Ed infatti precisa, distillando odio di classe in gocce di saggezza obiettiva alla quale la stampa padronale ci ha abituato:
“Ho sottovalutato l'impatto mediatico di questa partita, ho sottovalutato un sindacato che aveva obiettivi politici e non di rappresentanza di un interesse specifico, come invece accade negli Usa. La Fiom ha costruito un capolavoro mediatico, mistificando la realtà, ma ci è riuscita”.
La frase, oltre che ingiuriosa, è minacciosa, disseminata di cattivi pensieri più di una battuta di Berlusconi. Dice: dal punto di vista culturale, alias mediatico, non dal lato della sostanza. Questa resta incisa nell’accordo imposto con la violenza: o mangi ‘sta minestra, oppure ti metto per strada e poi lo spieghi tu alla tua famiglia il perché e il percome.
Nel mondo costruito dai ricchi e governato dai grandi satrapi globali, non c’è più posto per i riti sindacali e i miti legali, l’equivalenza sociale e dei diritti. Basta con i figli di puttana, sia quelli che non firmano i contratti e vanno a declinare il loro cahier de doléances in televisione, così come per gli operai che non vogliono leccare il bastone, gli schiavi che piagnucolano per la tendinite e le cervicobrachialgie. Se non avete voglia di lavorare statevene a casa, morti di fame. Questo mandava a dire in soldoni il dott. Marchionne, ma ha ammesso che ha sbagliato stile; e anche l’appello reiterato del dott. Eugenio Scalfari alle motivazioni spirituali della fede moderna e universale, cioè la crisi e la “competizione” mondiale, non hanno fruttato granché. La prossima volta, c’è da scommetterci, faranno meglio.