venerdì 8 luglio 2011

Il venditore di epigrafi



Di Renato Brunetta in questo post non dirò tutto quanto possa acquistargli simpatie o biasimo, per il motivo che non c'è bisogno di farlo migliore o peggiore di quanto egli non sia. E del resto, i suoi difetti e i suoi pregi sono quelli prevalenti della sua epoca e del suo ambiente. Riferirò quindi solo quanto egli sostiene, e cioè anzitutto che vendeva «Gondole di plastica nera. Vetri di Murano. Souvenir». Precisa: «Avevamo una bancarella in lista di Spagna, accanto alla stazione». Sarà senz’altro così, anche se ricordo che i suoi genitori avevano un banco di frutti e erbe in campo san Geremia, adiacente Lista di Spagna, quando Venezia esisteva ancora. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno sarebbe stato candidato a sindaco, anche se poi trombato. E se avessero detto che sarebbe diventato ministro non avrebbero riso solo nei bacari di Venezia ma anche in quelli della Terraferma. E invece ha saputo tener duro, lottare e infine salire sul carro giusto. Un carro alla sua altezza, d’accordo, però adesso che vi è sopra incassa lo stipendio da parlamentare, quello da ministro e una pensioncina di tremila euro nette al mese, in attesa del congruo vitalizio. E del Nobel per l’economia, anche se i colleghi di governo, invidiosi, sghignazzano vedendo in lui solo la metà dei loro difetti.

Era già tutto scritto, fin da quando faceva le magistrali (“maestro abilitato”), poi una “giovane supplente” gli aprì gli occhi dicendogli: "Lei non si rende conto di essere diverso?". "In che senso?", rispose Renatino. Eh già, anche ora che Tremonti gli dà del cretino, lui chiede sempre: "In che senso?". Disse la supplente: "Non capisce che la sua mente è diversa?”. Peccato, si duole Renatino, non aver più rivisto l’oracolo. E sarebbe interessante anche per noi sapere chi era questa Cassandra. “Mi cambiò la vita”, soggiunge patetico il quasi Nobel, “Tornai a casa, parlai con la mamma. Lei capì”. Ah cosa non farebbero le mamme italiane per assecondare il genio nascosto dei loro pargoli.

Quindi cosa fece? S’inscrisse all’università sulla base del diploma delle magistrali per completare il suo ciclo di studi? Ma no, nessun scopo di retaggio poteva moderare la sua ambizione: «Cominciai a studiare il greco la notte, di nascosto [??]. Fino a quando un professore, che aveva intuito, non mi fece tradurre l’epigrafe in greco dei Sepolcri di Foscolo [*]. I compagni compresero. E si schierarono con me: il mio successo era il loro riscatto sociale. Mi amavano, anche perché finivo i compiti in un quarto d’ora e li passavo a tutti. Così ho dato l’esame per passare al Foscarini. Il figlio dell’ambulante, il piccolino, al liceo dei siori. Alla maturità fui il primo della classe». Ecco come la sua intelligenza potè appagare le esigenze del liceo classico senza doversi affaticare troppo, instaurando una consuetudine alla leggerezza che prolungherà anche dopo.

Il tutto deve essere avvenuto assai celermente, poiché nel 1968, appena diciottenne, diplomato sia alle magistrali sia al liceo (così sostiene) era già a dare lezioni all’università, dispregiatore di quel mondo di giovanile fannullaggine: «Fui cacciato dall’assemblea dei figli di papà che chiedevano il 30 politico. Capii subito l’inganno: "Voi siete ricchi, io povero. Ma io ho la testa; voi no. Così voi chiedete voti uguali per tutti, per restare voi ricchi e io povero. Ma così mi fottete!". Ho sempre votato Psi. Oggi sono un socialista di Forza Italia. Lib-lab: liberalsocialista ».

C’è sempre un perché nelle fortune di un uomo e nella disperazione degli altri.

[*] L’epigrafe è in latino, tratta dal de Legibus di Cicerone: «Deorum Manium iura sancta sunto».

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