venerdì 11 luglio 2025

Un nemico implacabile li accomuna

 

Ci fu un tempo in cui tutto ciò che nuoceva alla sinistra era considerato di destra e reazionario; oggi, al contrario, tutto ciò che non s’inquadra nella dimensione paesana del sentimento di destra, gode del sospetto nevrotico di essere di “sinistra”.

Eccoci dunque alla polemica sulla cosiddetta egemonia culturale della sinistra. È una delle tante birbonate che ci sta giocando l’odierna realtà, personificata da degli stracciaroli che non si curano nemmeno di simulare un ragionamento. Del resto, il pensiero astratto è il loro debole, mentre la cialtroneria concreta è il loro forte. Importa a costoro solo la conclusione.

Usano l’espressione egemonia culturale di sinistra per descrivere l’influenza della sinistra su cultura, media e istruzione. Potrei dimostrare ampiamente che l’egemonia culturale che prevale in ogni ambito sociale e in sequenza storica è sempre e comunque quella delle classi e dei ceti dominanti. Quello che è prevalso per qualche decennio è un progressismo medio borghese imposto dallo sviluppo economico e dalla fuoriuscita delle masse da un lungo letargo, con qualche momentaneo inserto vagamente marxisteggiante e anticapitalista (*).

L’egemonia culturale di stampo cattolico, per esempio, ha avuto e in parte continua ad avere un ruolo preminente e spazio mediatico più che adeguato. Quanto alla destra fascista (si chiama così, basta con l’ipocrisia), nel frattempo non ha saputo elaborare altro che il proprio risentimento per l’emarginazione in cui si era cacciata in quanto incapace di scrollarsi di dosso il passato missino e darsi una autentica e profonda ripulita ideologica (ci provarono a Fiuggi, ma il risultato è quello riassunto dall’Italico Lecchino in tivvù).

Ciò mi ricorda il giudizio di Galeazzo Ciano a riguardo della gioventù fascista, specie quella del mondo dei GUF (Gruppi universitari fascisti), laddove in un appunto del 24 gennaio del 1942 la definì icasticamente “mutilata, ignorante e scema” (Diario 1937-1943, Rizzoli 1998, p. 583). Chissà cosa direbbe vedendoli e ascoltandoli oggi.

Dunque qual è il senso di questa polemica? Un nemico implacabile accomuna gli infelici reazionari di oggi: l’antipatia per la cultura. I più scafati fascisti del ventennio, oltre che di opportunisti ignoranti e scemi, seppero circondarsi e valorizzare anche dei veri professionisti, personalità di origine o tendenza monarchica, nazionalista o liberale. Costoro, seppur tiepidi nei riguardi del fascismo, raramente si mostrarono ostili al regime, e in buona parte trovarono poi adeguata collocazione nella nomenclatura del dopoguerra grazie al loro talento.

Metti un Moravia, considerato di sinistra. A me non importa, ma riporto ciò che il supplice signor Pincherle scriveva proprio a Galeazzo Ciano:

«Il suo esempio mi ha deciso a compiere un atto che è doveroso da parte mia. Sono stato riformato recentemente al servizio di leva per anchilosi dell’anca destra, e non mi è possibile, perciò, di arruolarmi volontario, come avrei voluto, nel corpo di spedizione per l’Africa Orientale. Resta, tuttavia, vivissimo in me il desiderio di partecipare, in qualche modo, all’impresa africana. [...] ora io vorrei scrivere un libro organico, il quale potesse rimanere documento e testimonianza dell’eroismo della gioventù fascista in guerra». Eccetera.

E questo basterebbe per fare di Moravia un fascista, e come lui altri futuri idoli di sinistra? In tal caso, etichettare serve solo ad assicurare la falsa coscienza di chi si sente inquieto riguardo a sé stesso.

Che senso avrebbe considerare di destra Cèline, Nietzsche, Burke o Tucidide? Oppure Bernanos, Guareschi o anche un Testori? Come se fosse la cultura ad essere ontologicamente reazionaria o progressista, e non l’uso che se ne fa! Basterebbe essere intelligenti per comprenderlo, ma non esageriamo con tale pretesa.

Era necessario un clima becero e oscurantista perché individui come Andreotti e il famigerato procuratore Carmelo Spagnulo potessero perseguire e censurare l’Arialda o Rocco e i suoi fratelli. In mano a tale genìa, e a quella facinorosa di oggi, persino i Manoscritti del ’44 diventerebbero un’opera “sovversiva”, e Ragazzi di vita un libro “osceno”.

Qualcosa è cambiato dal ventennio fascista e dal cinquantennio democristiano, ma è rimasta la medesima impronta: quella di propugnare libertà a Mosca e limitare la libertà a Roma.

(*) Rossana Rossanda, che il PCI lo conobbe bene dell’interno, nella sua autobiografia (La ragazza del secolo scorso) ebbe a scrivere a p. 301: «Il marxismo era, sicuro, una filosofia e se si vuole un umanesimo, ma non si poteva tirare in tutte le direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella crudele estraneazione del modo di vivere e produrre nel capitale: né si poteva giocare allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista.» Scriveva ancora Rossanda, Marx “nessuno lo leggeva”

2 commenti:

  1. È soprattutto fame di poltrone, la meritocrazia come la chiamano. Se sei chiaramente non all'altezza (come i ministri della cultura di questa legislatura) allora ti basta invocare la crociata contro l'egemonia della sinistra per farti posto.
    Pietro

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    1. è bulimia di tutto, dovuta a una lunghissima astinenza e a una grande presunzione

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