L’età riserva alcuni privilegi, pur se piuttosto discutibili. Come chiedersi, quando si vedono dei giovani d’oggi in certi comuni atteggiamenti o attività, quali siano le loro idee politiche, se sono presenti in loro delle motivazioni per porli contro questa società, e, nel caso, se in rapporto a ciò avvertono sentimenti di rabbia, di frustrazione e impotenza.
Bisognerebbe anzitutto distinguere, perché il “giovane” ha significato scientifico solo in biologia. Nella realtà sociale esiste un inventario di tipologie di “giovani”, secondo la loro condizione di classe, la regione in cui vivono, il grado d’istruzione, ecc.. Dunque generalizzare è sbagliato, ma è pur necessaria una certa “astrazione” nella comprensione dei fenomeni.
A me pare che sono questi giovani indignati e arrabbiati, più che contro il sistema, contro le generazioni precedenti, dei padri e dei nonni, che non avrebbe fatto niente contro l’ingiustizia sociale, il riscaldamento globale, il liberalismo, e altri topoi del genere. Hanno ragione?
Mi chiedo: chi ero e cosa pensavo a quell’età? La società non era meno ineguale o più allegra di quanto non sia oggi, e il peso del potere si faceva sentire certamente, tanto è vero che i miei ricordi degli anni Settanta, ancor più di quelli riferibili al decennio precedente, sono prevalentemente in bianco e nero, oppure un feedback a colori ma sgranato e in bassa definizione come la tv d’allora.
Ci penso spesso, ma chi ero non lo so, la mia persona sembra essere scomparsa con il tempo in cui visse.
Le nuove generazioni vogliono risposte più che lezioni, e anche se le domande sono datate, perché alla fine non possono essere sostanzialmente molto diverse da quelle che ci ponevamo noi, le risposte non possono esserlo.
Queste risposte personalmente non le ho, e questa mia franchezza non è sempre apprezzata, anzi. Mi sento responsabile di quello che dico in questo blog. Penso però una cosa precisa: una buona parte di noi non accettò e adottò il mondo degli anziani di allora, i loro compromessi, le ipocrisie e l’opprimente conformismo. E pagammo, in varia misura, per questo nostro rifiuto. Questa osservazione, senza dubbio banale, ha un suo fondamento storico oggettivo.
Per trovare la risposta alla domanda che viene formulata nel ‘post’ – “Hanno ragione?” - può essere utile individuare le basi materiali dell’odierna questione giovanile. Secondo il sociologo Luca Ricolfi, la parte strettamente finanziaria della ricchezza patrimoniale accumulata dai nonni nel nostro paese (soldi liquidi o liquidabili) assomma a 4.500 miliardi. Una cifra enorme, soprattutto se confrontata con la spesa pubblica annua dello Stato, che è di circa 800 miliardi. Questo significa, in buona sostanza, che i giovani italiani hanno “l’aspettativa di eredità” più alta del mondo, poiché ogni anno 250 miliardi del patrimonio vengono ereditati: una ricchezza enorme in case, denaro e titoli, che i nipoti ricevono senza averla guadagnata. Già questo solo dato dovrebbe mostrare la falsità della spiegazione secondo cui sono i giovani che mantengono i vecchi, i quali prendono pensioni eccessive e quindi “rubano il futuro” ai nipoti. Il che sarebbe vero se i giovani avessero veri lavori, ossia pagassero i contributi previdenziali sui loro salari e stipendi. Ma, secondo i dati ISTAT aggiornati allo scorso mese di novembre, la disoccupazione giovanile si attesta al 23% e il tasso di inattività al 34,5%. Ciò significa che il numero di coloro che lavorano è una minoranza, la maggioranza “non fa niente” e spende da gran signori (a ragione Ricolfi ha coniato la categoria di “società signorile di massa”, il cui corrispettivo nel linguaggio leniniano è quello di “putrefazione imperialistica e parassitismo”). La domanda allora è la seguente: perché questo ceto politico, questa società, questo paese tollerano un fenomeno del genere senza allarmarsi e senza preoccuparsi di progettare ed imporre adeguate politiche di sviluppo?
RispondiEliminahttps://comune-info.net/contro-la-riforma-delle-pensioni-e-lideologia-del-lavoro/
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