giovedì 13 aprile 2023

La lista nera

 

“Papà, sai cosa è successo oggi a scuola? Hanno portato via tutti i libri! Quando sua figlia di 8 anni gli racconta questo episodio, Brian Covey va nella sua scuola, la Greenland Pines Elementary in Florida, e scopre, stupito, che le biblioteche di tutte le aule sono vuote. Alcuni libri sono ancora sparsi qua e là, sugli scaffali, ricoperti di rotoli di carta per nasconderli, come mostra il video che posta su Twitter. Il video, visto milioni di volte, gli è valso il licenziamento dal liceo in cui insegnava, il giorno dopo che Ron DeSantis, il governatore dello stato, l’ha definito un “falso”. Quanto a sua figlia e ai suoi compagni di classe, finora hanno trovato solo un terzo dei libri nella loro biblioteca, gli altri sono ancora “valutati” da una commissione per verificare che non contengano “materiale inappropriato o pornografico”.

Questo è un brano tratto da un reportage di Yann Perreau, pubblicato su Liberation, nel quale si esamina un rapporto di PEN America, l’associazione che difende la libertà di espressione e i diritti degli scrittori. Elenca, per il 2022, 2.532 decisioni prese da distretti scolastici, funzionari eletti o istituzioni, per rimuovere i libri dalla loro circoscrizione. In totale, 1.648 titoli sarebbero stati inseriti nella lista nera. Questi sono chiamati book bans: libri proibiti.

In ogni momento qualcuno si sente offeso e chiede vendetta. I risentimenti sono diffusi sui social network e le microfatwa vengono costantemente promulgate in tutte le occasioni: condanniamo, vietiamo, bandiamo. Un mosaico di settarismo morale la cui aggressività puritana cerca di imporre censure e divieti di ogni tipo, accusando di “eresia diabolica” tutto ciò che non rientra nel loro orizzonte mentale (c’è un umorismo involontario nel puritanesimo).

Nella lista nera, in almeno 32 Stati della “libera America”, trovano posto, tra gli altri, Mark Twain, Toni Morrison, John Steinbeck, Philip Roth, Shakespeare e persino un adattamento comico del Diario di Anna Frank, che “è stato rimosso da una scuola del Texas a causa dei riferimenti alla sessualità”. Esiste un libro, compresi quelli di entomologia o di giardinaggio, che non faccia riferimento alla sessualità?

Questo terrorismo morale dalla “destra”, che sfocia nella misoginia, nel rifiuto del matrimonio omosessuale, aborto, procreazione assistita, eccetera, fa da contraltare alle correnti cosiddette progressiste, che, credendo di lottare contro il pregiudizio, cadono nel delirio opposto, per esempio femminilizzando titoli, mestieri e funzioni secondo logiche linguistiche spesso ridicole.

Poi, a forza di separare il sesso dal genere, i collettivi sono arrivati a sostenere la completa dissoluzione dei confini. Il fenomeno queer (cancellazione delle differenze). Si è arrivati al punto che dei genitori attivisti hanno immaginato di crescere i propri figli facendogli credere che fossero sessualmente neutri (o theybies). Alcuni hanno così ottenuto, nello Stato di New York, la cancellazione del sesso dai registri dello stato civile, affermando che un giorno i bambini sarebbero stati liberi di scegliere il proprio genere.

Un discorso a parte meritano certi altri movimenti, tipo il movimento Me Too (*), che partendo da validi presupposti di denuncia, accusa artisti e registi di sessismo perché rappresentano o filmano con uno “sguardo maschile” che erotizza i corpi delle donne. Film, libri e dipinti devono quindi essere sottoposti a una rilettura inquisitoria: Balthus, Antonioni, John Ford, Albert Cohen, Alfred Hitchcock, le opere liriche di Verdi ma anche Mozart e chissà chi altri ancora. Come scrivere libri, fare film e altri prodotti dell’arte tagliati fuori dal proprio contesto sociale, dal desiderio e dai suoi complessi percorsi?

Insomma, che libertà è? Perché dei movimenti di emancipazione si sono trasformati nel suo contrario, fino a far nascere un tale delirio? Non è casuale che tutto ciò abbia origine negli Stati Uniti, ed è anche questo un modo per porre sotto stress il corpo sociale, per dividerlo, ossia per sviarne le pulsioni e reazioni da ben altre questioni politiche e sociali. Una strategia della tensione usando bombe mediatiche.

(*) Prima di degenerare, il movimento Me Too era nato nel 2006, quando Tarana Burke, un’assistente sociale di Harlem, promosse una campagna per sostenere le vittime di violenza sessuale nei quartieri “svantaggiati”, vale a dire nei ghetti statunitensi dove vivono milioni di persone. Per sottolineare l’empatia e la solidarietà, scelse un nome molto breve: “Me too” (“anche io”). Se il movimento MeToo ha permesso alle donne di uscire dalla vergogna e dal silenzio, ciò è dovuto in gran parte al fatto che le vittime fossero molto famose presso il grande pubblico (attrici, giornaliste, attiviste), senza però cambiare di molto la situazione di abusi, molestie e maltrattamenti subiti quotidianamente dalle donne. In seguito, preso in carico dai grandi media, il movimento è degenerato fino a diventare un fenomeno d’isteria collettiva, di delirio contro tutto ciò che ha un’attinenza maschile.


3 commenti:

  1. Tu dici che questo fenomeno è manovrato dall'alto. Potrebbe però essere la spia del fatto che la gente (uso questa parola per comodità) sente di essere oppressa e sfruttata ma, come scrivevi qualche giorno fa, non potendo immaginare nessuna via fuori dal capitalismo indirizza la propria reazione verso bersagli a portata di mano. Poi però chi può approfittarne lo fa alimentando la tensione perché l'impulso a lottare sfoci in bacini endoreici.
    Pietro

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    1. Hai ragione. Ma non sostengo che sia manovrato, fa comodo e viene veicolato

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  2. Sì, rileggendo il post vedo che ho riscritto sostanzialmente le tue parole, pardon.
    Pietro

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