martedì 4 aprile 2023

Indifferenti e opportunisti

 

“Il faut avoir beaucoup de forces derrière soi pour ne pas avoir à s’en server”, diceva il maresciallo ed ex ministro della guerra francese Hubert Lyautey (*).

Per una grande potenza è meno tragico pagare il prezzo dei propri errori, soprattutto se quel prezzo lo fa pagare ad altri.

La terza guerra mondiale è iniziata molto tempo fa, non appena finì la precedente. Da allora, oltre alla guerra fredda in cui russi e americani hanno combattuto per quattro decenni (e oltre), le cose non hanno smesso di esplodere ovunque: Corea, Vietnam, Algeria, Israele, Iraq, Libano, Balcani, Ruanda, Afghanistan, l’elenco è inesauribile. Quindi le guerre civili, genocidi, scontri religiosi, dittature, quante ne volete.

D’ora in poi, la Terra è pronta per la conflagrazione generale. Le fabbriche di armamenti funzionano a pieno regime e tutti i progressi tecnologici si stanno trasformando in armi da guerra. Non frega un cazzo a nessuno. Questo fatto mi ricorda quanto scrisse l’ex capo dell’Ovra, la polizia politica durante il fascismo.

«Le masse, nei mesi che precedettero lo scoppio della guerra mondiale, istintivamente, avvertivano il grande pericolo che si profilava l’orizzonte e non sentivano affatto il desiderio di buttarsi in una fornace anche perché in larghi strati della popolazione si sapeva che la nostra preparazione militare lasciava molto a desiderare per non dire che era inesistente e si poggiava molto sul bluff; situazione pericolosissima perché le guerre non si combattono e tanto meno si vincono bluffando».

Dunque si avvertiva, a quel tempo, la guerra come una grave minaccia e se ne voleva restare fuori. L’Ovra fu incaricata dal capo della polizia di intraprendere con la massima spregiudicatezza un’indagine su tutto il territorio nazionale sullo stato della pubblica opinione nei confronti del fattore guerra.

«Ed i rapporti e giunsero con sollecitudine: analitici, sereni, brutalmente franchi. Avevano compreso la grande importanza del rilevamento della pubblica opinione che si effettuava e tutti erano compenetrati del dovere di rispondere con assoluta lealtà, per il bene del paese, alle richieste del loro capo [Bocchini, capo della polizia]».

Scriveva ancora Guido Leto: «Fra le circostanze a me ignote che determinarono la dichiarazione di non belligeranza dell’Italia non è azzardato affermare che vi si possono includere anche le ragioni che Bocchini – coraggiosamente – per iscritto e a voce, espose a Mussolini e credo di non esagerare rivendicando alla polizia questo piccolo o grande merito».

Sennonché in maggioranza gli italiani molto presto mutarono di opinione: «La sonnecchiante seppur vigile opinione pubblica ricevette una sferzata con l’inizio della campagna tedesca in Francia, nella primavera del 1940. La stupefacente marcia dell’esercito tedesco, effettuata in pochissime settimane, la liquefazione dell’esercito francese, dopo la sparizione di quelli olandesi e belga, la precipitosa ritirata degli inglesi a Dunkirk determinarono un senso di sbigottimento e dettero inizio ad un curioso stato d’animo che da cronista fedele raccolsi e che ho il dovere di riferire».

Gli informatori dell’Ovra, dapprima sporadicamente, poi con maggior frequenza ed ampiezza, segnalarono uno stato di timore che andava diffondendosi rapidamente. Si temeva che la «Germania fosse sul punto di riuscire a chiudere assai brillantemente e da sola la tremenda partita e che, di conseguenza, noi – seppur ideologicamente alleati – saremmo rimasti privi di ogni beneficio [...]. Che, a causa della nostra prudenza di cui veniva attribuita la responsabilità a Mussolini – saremo stati, forse anche puniti dal tedesco e che, quindi, se ancora in tempo, bisognava bruciare le tappe ed entrare subito in guerra».

Entro breve si segnalò «il dilagare pauroso di questo sentimento materiato dalla preoccupazione di “arrivare tardi”» (OVRA, Fascismo – Antifascismo, Cappelli editore, 1952 (II ed.), p. 203 e segg.)

(*) Lyautey in Marocco si vide revocare il comando delle truppe impegnate nel Rif contro la ribellione dei berberi anticolonialisti guidati da ʿAbd el-Krm, che pochi anni prima avevano sconfitto più volte gli spagnoli. Il comando fu assegnato a Philippe Pétain, nel 1925-1926, a capo di una coalizione franco-spagnola composta da circa 350.000 uomini. La vittoria fu ottenuta grazie anche all’impiego di armi chimiche (iprite).

Lyautey ebbe come collaboratrice Isabelle Eberhardt, figura quasi leggendaria di esploratrice e scrittrice, la quale morì giovanissima per annegamento nel deserto del Sahara. Nell’omonimo film dedicato a Isabelle Eberhardt, un anziano Peter O’Toole veste i panni di Lyautey .

4 commenti:

  1. "per annegamento nel deserto del Sahara" andrebbe spiegato meglio.
    Pietro

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    1. caro Pietro, confido sempre nella curiosità del lettore. vedi alla voce: Isabelle Eberhardt.

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  2. Quindi in definitiva si va in guerra more solito, colle pantofole di feltro, senza armi e senza testa per seguire il capo branco come insegnava Lorenz......annamo bene.

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