“Intendami chi po’, ch’i’ m’intend’io” (Petrarca).
Non ancora sessantacinquenne, 139 anni fa moriva Karl Marx. Tracciarne un ritratto, pur succinto, non serve poiché è stato uno dei personaggi di cui s’è scritto di più, molto spesso a sproposito e con superficialità (non è solo un modo di dire). Perciò dico qualcosa a riguardo del suo rapporto con la Russia, posto che di quest’ultima in questi giorni c’è tanto interesse.
Va subito detto che sia Marx e sia Engels non ebbero particolare empatia né per la Russia né per il panslavismo, ma ciò va colto, di là di un rigido motivo ideologico, come reazione al dispotismo zarista. Tanto è vero l’interesse di Marx per la Russia che egli se ne occupò assiduamente negli anni Cinquanta, data l’imperiosa necessità di un lavoro per guadagnarsi una stentata sopravvivenza nell’esilio londinese, che lo obbligò ad accettare il posto di redattore europeo della New York Tribune. Londra non era solo il punto d’osservazione più favorevole per lo studio dei rapporti economici del mercato mondiale, ma anche per lo studio della politica estera. Anche per tale motivo lo studio dei rapporti diplomatici internazionali prese il primo posto, per un certo periodo, rispetto ai suoi studi principali di carattere economico.
Marx, nei Libri Azzurri diplomatici inglesi del periodo dal 1807 al 1850, trovò del materiale che lo indusse a fare un excursus nel campo della storia del XVIII secolo: “Esaminado i manoscritti diplomatici inglesi e russi che si trovavano nel Britisch Museum, scoprii una serie di documenti inglesi che andavano dall’epoca di Pietro il Grande alla fine del XVIII secolo, e rivelavano la continua collaborazione tra i ministeri di Pietroburgo e di Londra, mostrando come l’epoca di Pietro il Grande sia stata il luogo di nascita di questa collaborazione”.
Non soltanto la scoperta di quella corrispondenza diplomatica gli fornì del materiale del tutto nuovo per quel tempo, che egli ritenne non essere stato ancora utilizzato da nessuno, ma gli consentì di porre alla luce anche dei documenti completamente nuovi della letteratura pamphlettistica del XVIII secolo, nella conoscenza della quale egli non aveva eguali. Con la passione che gli era propria procedette alla elaborazione scientifica di questo materiale.
Bisogna anche dire che purtroppo di un lavoro particolareggiato su tale argomento, Marx pubblicò, come rende noto nel suo scritto Herr Vogt, solo l’introduzione col titolo Revelations of the diplomatic history of the 18th century. Questo lavoro apparve prima nella Free Press di Sheffield, poi in quella di Londra. In seguito la figlia Eleanor preparò una nuova edizione dopo la morte di Engels, ma che, come The story of the life of Palmerston, apparve solo dopo la sua tragica morte col titolo di Secret diplomatic of the 18th century.
Marx nella New York Daily Tribune indicava lo Stato zarista come una “occupazione militare”, “in cui autorità civili e la gerarchia giudiziaria sono organizzati secondo criteri militari e in cui è il popolo a dover pagare tutto”. In un altro passo approfondiva la dipendenza della Russia dal punto di vista storico, sociale e culturale, caratterizzando la sua origine “bizantina” e la necessità politica di espandersi verso Occidente, conquistare le porte sul mare aperto al commercio internazionale, ottenere conservare il predominio dell’Europa, per legarsi, con questa espansione, allo sviluppo capitalistico dell’Europa occidentale e, reprimendo le riproduzioni europee, impedire lo sviluppo delle spinte rivoluzionarie e degli sconvolgimenti sociali nel proprio Paese.
Come dicevo all’inizio, tracciare parallelismi con l’oggi sarebbe una forzatura ideologica, tuttavia resta che la Russia odierna, così come quella del passato, ha la necessità vitale di avere uno sbocco al mare a nord e a sud, così come, sulla base anche delle tristi esperienze del secolo scorso, quella di avere sui propri confini europei Paesi che non rappresentino una minaccia diretta immediata o anche solo potenziale.
Per quanto riguarda la celebre lettera (tanto famosa che Wikipedia neanche la cita) che Vera Ivanovna Zasulič (1849-1919), una rivoluzionaria russa, aveva scritto nel 1881 a Marx, in cui gli chiedeva una risposta sul possibile destino della comune rurale, sulla “teoria della necessità storica per tutti i paesi del mondo di passare attraverso tutte le fasi della produzione capitalista”, è necessario sottolineare, checché ne possa dire la vulgata, che Marx non manifestò mai alcuna volontà di prefigurare come dovesse essere il socialismo. Ciò nonostante, egli si trovò a dover fare i conti con la tesi, erroneamente attribuitagli, della fatalità storica del modo di produzione borghese. La controversia sulla prospettiva dello sviluppo del capitalismo in Russia ne è una chiara testimonianza.
Nell’autunno del 1877, il critico letterario e sociologo Nikolaj Michajlovskij (1842-1904), aveva scritto per la rivista Otečestvennye Zapiski (Memorie patrie) un saggio dal titolo: “Karl Marx davanti al tribunale del signor Zukovskij”. Il saggio verteva sul futuro della comune (obščina) agricola russa (*).
Come scrive Marcello Musto nel suo libro L’ultimo Marx (1881-1883), “La missiva fu rielaborata un paio di volte, ma, alla fine, essa fu lasciata in minuta, con i segni di alcune cancellature. La lettera non fu mai spedita, ma conteneva interessanti anticipazioni delle argomentazioni che Marx usò, successivamente, nella risposta a Vera Zasulič”.
Dunque, ben prima di ricevere la famosa lettera di Vera Zasulič, Marx ebbe a occuparsi della questione dell’obščina.
Marx, nella lettera dell’8 marzo 1881 (**) di risposta a Zasulič, si era detto possibilista circa il passaggio dalla comune rurale russa ad un ordine sociale superiore, si trattava però di cogliere “l’occasione storica” di “appropriarsi le conquiste positive del sistema capitalistico senza passare per le sue forche caudine”. E tuttavia rilevava come ciò potesse avvenire solo con “la maggior somma di potere produttivo sociale che assicuri il più integrale sviluppo dell’uomo”.
Nella lettera minuta che quattro anni prima aveva preparato come risposta all’articolo di Michajlovskij, Marx iniziava con questa frase, poi cancellata nel manoscritto: “se la Russia continua sulla strada imboccata nel 1861, perderà la più bella occasione che la storia abbia mai offerto a un popolo, per subire, invece, tutte le fatali peripezie del regime capitalista”.
Insomma, non di solo pane e fantasia vive l’uomo. Abbiamo bisogno, oltre al grano per il pane, anche del gas e del petrolio per un’infinità di altre cose, senza le quali il più integrale sviluppo dell’uomo resta una chimera.
(*) Karl Marx pered sudom g.Ju.. Zhukovsky's, sta in: Otečestvennye Zapiski, Note domestiche, Nr. 10, ottobre 1877. La rivista letteraria russa, molto prestigiosa (vi scrissero tra gli altri Gončarov, Saltykov, Dostoevskij, Herzen, Nekrasov, Turgenev), pubblicata a Pietroburgo, dal 1868 acquisì un orientamento populista. Fu soppressa nel 1884 a causa della vicinanza di alcuni suoi redattori a organizzazioni rivoluzionarie clandestine. Nei numeri della rivista del 1877, a nome di M.K. Mikhailovsky ho rilevato un solo articolo, concernente però un romanzo di Iv. S. Turgenev. Occuperebbe troppo spazio e penso non interesserebbe l’analisi della bozza predisposta da Marx, rilevo solo che egli definisce Zukovskij come “un bizzarro sedicente enciclopedista” (v. lettera a Nikolaj Daniel’son del 15 nov. 1878).
(**) Marx, prima di arrivare alla stesura definitiva della lettera di risposta a Vera Zasulič, vergò pagine e pagine di quattro abbozzi successivi, molto più lunghi della lettera definitiva, in cui si ricollega alle analisi che aveva condotto nei Grundrisse, incentrate sulle diverse forme comunitarie che precedono l’affermarsi del modo di produzione capitalistico.
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