Quello che sarà il XIII emendamento della costituzione degli Stati Uniti, che aboliva la schiavitù, fu presentato il 1° febbraio 1865 al Congresso e ratificato il 18 dicembre successivo. Consta di due brevi commi, il secondo così: «Il congresso è incaricato di emanare le norme necessarie per imporre l’osservanza di questo articolo».
Dei 36 Stati di allora, 27 di essi ratificarono quasi subito, per altri nove Stati (non solo del Sud ma anche per esempio il New Jersey) ci vollero anni.
Del resto perché stupirsi, questo accadeva dopo una sanguinosissima guerra civile durata quattro anni, e tra l’altro nel periodo in cui le ultime popolazioni dei nativi americani, dopo essere state decimate, furono cacciate dai propri territori e concentrate in zone dalle quali non potevano uscire.
Marx, in un articolo del 7 novembre 1861 per il New York Daily Tribune, scriveva: «La prima grande guerra della storia contemporanea è la guerra civile americana».
Non v’è dubbio che per muovere gli uomini alla guerra c’è bisogno anzitutto di forti motivazioni ideologiche, ed è senz’altro fuori discussione che la causa abolizionista svolse un ruolo importante e contribuì a suscitare in centinaia di migliaia di persone un forte sentimento di rifiuto della “peculiare istituzione”. Tuttavia se si adotta tale schema interpretativo, tendente a rinvenire nel fenomeno della schiavitù la causa fondamentale della guerra civile americana, si elude la realtà alla base del conflitto.
Marx, già in un precedente articolo del 18 settembre, riportava quanto scriveva l’Economist, ossia: «In primo luogo l’ipotesi che il conflitto fra Nord e Sud sia un conflitto fra la libertà dei negri da una parte e la schiavitù dei negri dall’altra, è imprudente per quanto falsa».
Si trattava stabilire quale delle due distinte nazioni, se il Sud o il Nord, avrebbe prevalso sull’altra. A quel tempo il contrasto era giunto al culmine: i proprietari del Nord e in particolare i self-working farmers, non erano più disposti a sopportare lo strapotere politico di quelli del Sud, ma esigevano di affermare la propria egemonia in corrispondenza con il raggiunto potere economico (*).
D’altro canto, i proprietari di schiavi non avrebbero potuto rinunciare al loro mondo, che essi identificavano con la schiavitù stessa, senza opporre un’estrema resistenza, che andò ben oltre e fino all’ultimo di ciò che comunemente si racconta. Bisogna anche dire che il Sud, dopo aver espresso uomini come Patrick Henry, Jefferson, Madison, Calhoun, mancarono paurosamente di capi che fossero all’altezza della situazione.
Ad ogni modo, nel 1994, un impiegato della amministrazione del Texas, Gregory Watson, scoprì che il Mississippi non aveva ancora ratificato il tredicesimo emendamento. Si pose rimedio a ciò il 16 marzo del 1995, ben 130 anni dopo la promulgazione dell’emendamento, e ciò la dice lunga sulle resistenze che l’abolizione della schiavitù incontrò negli Stati del Sud.
Storici non sospetti d’idiosincrasie antiamericane, quali Morrison e Commager, scrivono nella loro monumentale Storia degli Stati Uniti d’America:
«In alcuni Stati, dove i bianchi vantavano una preponderante maggioranza, come il Tennessee e la Nord Carolina, i democratici riuscirono a riconquistarsi il controllo dello stato con una regolare azione politica; altrove, invece, sembrò necessario far ricorso con metodi francamente terroristici» (vol. II, p. 72).
Uno di questi Stati terroristici, a maggioranza nera, era appunto il Mississippi, dove, per esempio, la bandiera secessionista è rimasta fino al 2020 il vessillo ufficiale. Per quanto riguarda la segregazione razziale, negli Stati Uniti non è cosa che riguarda solo le leggi (in gran parte modificate solo nel 1965), ma, come del resto ci ricordano in modo molto edulcorato anche alcuni film hollywoodiani, è questione che riguarda la vita di tutti i giorni di milioni di persone.
Ranjan Batra, professore associato presso l’Università del Mississippi Medical Center, dopo aver visto il film Lincoln diretto da Steven Spielberg, aveva deciso di fare alcune ricerche sul XIII Emendamento, scoprendo che il Mississippi, nonostante avesse votato la ratifica nel 1995, non aveva mai trasmesso la ratifica all’Office of the Federal Register, ossia non era mai divenuta ufficiale. Il 7 febbraio 2013 la ratifica è finalmente avvenuta.
(*) «[...] è fatto chiaro che il conflitto fra il sud e il nord – dopo che quest’ultimo s’era abbassato da 50 anni in qua con una concessione dopo l’altra – finalmente è esploso (prescindendo dalla svergognata pretesa della “chivalry” [“cavalleria”, ossia i proprietari delle piantagioni] a cagione del peso gettato sulla bilancia dallo straordinario sviluppo degli Stati del nord-ovest. Questa popolazione, abbondantemente mescolata con freschi elementi tedeschi ed inglesi, ed inoltre formata essenzialmente da self-working farmers, naturalmente non era così disposta ad accettare intimidazioni quanto i gentlemen di Wall Street e i quaccheri di Boston. [...] E fu proprio questa parte del nord a decidere per prima contro ogni riconoscimento d’indipendenza d’una Southern Confederacy. È naturale che essi non possano cedere a Stati stranieri la vallata inferiore e le foci del Mississipi [il corso fluviale era fondamentale per le esportazioni dei farmers del nord]» (Karl Marx, lettera a Engels del 1° luglio 1861, MEOC, XLI).
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