venerdì 11 dicembre 2020

Cataloghi e mostre

 

Oggi, nel ricevere il catalogo relativo alla mostra dedicata a Raffaello presso le scuderie del Quirinale, ho avuto un prevedibile travaso di bile. Uso questaggettivo a ragion veduta e sperimentata: come sempre i cataloghi di Skira (con l’accento sull’ultima vocale) sono ben lontani da quelli prestigiosi pubblicati alle origini da questo editore (Albert Skira muore prematuramente nel 1973).

Non fa eccezione quest’ultimo dedicato all’urbinate. Pur ricco di monografie, disegni, carte e fronzoli, ma per quanto riguarda la riproduzione dei dipinti è la solita tragedia: Skira, a mio non modesto avviso, non è in grado di produrre un solo catalogo decente.

Essendo del mestiere, non so decidermi se si deve dare maggiore responsabilità alla fotografia (non penso, posto che ogni catalogo non va oltre unaurea mediocritas), alla selezione CMYK, oppure alla stampa (che mi pare in genere buona).

Massimo Vitta Zelman, che di Skira è l’azionista di riferimento, ha lavorato per Electa, che qualche buon catalogo ha pur pubblicato. Pertanto, dicevo, non so decidermi, ma ho una mia idea sul “perché” di questa pessima qualità.

Il fatto è che mostre e cataloghi fanno parte del grande business che non ha riguardo per la qualità ma solo per la quantità di biglietti staccati e numero di cataloghi venduti. Tutto ciò è in perfetto accordo col fatto che la maggior parte delle mostre e i relativi cataloghi hanno per target un pubblico prevalentemente abitato da ignoranti.

Vi sarebbe anche un altro motivo, legato al ricambio generazionale per quanto riguarda la professionalità degli addetti ai lavori. E ciò nonostante le meraviglie tecnologiche disponibili oggi. Discorso lungo, questo, vexata qæstio. 

Se il mio giudizio può sembrare troppo tranchant, allora si prenda in mano un catalogo, che so, della Taschen, e si confronti la qualità di stampa dei dipinti. E non si venga a raccontare che Skira ha curato dei catalogues raisonnés di alcuni impressionisti francesi e altri artisti. Soprassediamo, come diceva quel tale.


4 commenti:

  1. ...cara Olympe concordo pienamente e devo dirti che son anni che combatto con questi signori, (o meglio, a chi affida loro il lavoro per risparmiare qualche euro) che fanno dei cataloghi un business senza alcun rispetto per il fruitore finale. La pochezza del catalogo in questione è data da un mix fra immagini acquistate da archivi che nel corso del tempo non si sono rinnovati, nessun intervento di fotolito (perché costa), quindi il grafico di turno fa due svelini con Photoshop tanto chissenefrega e last but not list la stampa, spesso fatta all'ultimo secondo o ancora peggio subappaltata a qualche tipografia alla canna del gas. e tutto ciò ormai vale per Skira, Electa, Silvana, Treccani ecc.
    A tutto ciò aggiungici che la maggior parte dei cataloghi viene gestita esternamente, con grafici e redattori costretti a lavorar di notte a 8 euro alla pagina, quando va bene...
    Il catalogo di Raffaello (46 euro) è inguardabile!

    Baci
    maurix

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  2. "Mai la merce sfamerà l'uomo"

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