mercoledì 9 dicembre 2020

Uno dei miti


Nel senso comune il racconto storico vive più di miti che di fatti reali, ovunque e da sempre. Del resto è noto l’adagio secondo cui la storia la scrivono i vincitori. Tra pochi giorni celebreremo e festeggeremo il più fantastico di questi miti, una fiaba che ricalca altre più antiche.

Anche il racconto degli avvenimenti a noi più vicini non è rimasto immune da fantasie e vere e proprie falsificazioni. Tanto più in un paese culturalmente e storicamente disinvolto come l’Italia, dove la divulgazione, non solo presso il grande pubblico, è in mano a degli impostori di cui non è il caso di citare il nome.

*

Uno dei miti che riguarda la seconda guerra mondiale attiene alla presunta forza e potenza dell’esercito hitleriano e dell’industria bellica germanica. Significativo tra molti è l’aura che circonda quella che è considerata unanimemente l’arma d’eccellenza della Wehrmacht, il carro armato.

Se per esempio dicessi che i modelli di carro francesi Char B1-bis e Somua S-35 furono tecnicamente superiori ai modelli tedeschi, molti resterebbero stupiti e perfino increduli. Se dicessi che i carri armati tedeschi del 1940 erano ridicoli, si griderebbe allo scandalo. Perfino il carro medio italiano M.13/40 fu per certi aspetti superiore a quelli tedeschi impiegati in Francia.

L’arma principale del carro francese B1-bis era l’obice da 75 mm., in grado di mettere fuori gioco qualunque carro tedesco del 1939-‘40; quella secondaria il cannone anticarro 47 mm e due mitragliatrici 7,5 mm. La corazzatura del modello più evoluto fu incrementata fino a 60 mm frontali e 55 mm laterali; questi spessori lo rendevano virtualmente immune alle principali armi anticarro tedesche del 1940. Il Somua S-35 era addirittura superiore come maneggevolezza al B1-bis benché un po’ meno corazzato e armato da un cannone di soli 47 mm e da una mitragliatrice 7.5 mm..

I mitici Panzer tedeschi di allora erano dotati di un armamento nettamente inferiore. La stragrande maggioranza dei 2.500 carri armati che attaccarono erano di tipo leggero I e II, equipaggiati solo con mitragliatrici di cui una da 20 mm. Anche il Panzer III, di peso medio, aveva un calibro di soli 37 mm., con il quale il Char B-1bis poteva stare tranquillo. Meno di 300 Panzer IV avevano invece un cannone da 75 mm., dunque un calibro adeguato, ma la loro canna cortissima (come si vede nei filmati d’epoca) offriva solo una bassa potenza di penetrazione.

La differenza la fece l’artiglieria corazzata, con i suoi cannoni d’assalto da 75 mm. montati su un semovente con equipaggio di quattro uomini. Erich von Manstein, colonnello e capo sezione del dipartimento delle operazioni dello stato maggiore, spinse per lo sviluppo di quest’arma di supporto per la fanteria nel 1936.

Ciò avvenne poiché i comandanti dei reparti corazzati avevano fatto pressioni affinché fossero costituite delle unità indipendenti e non collegate direttamente con la fanteria (fatto che si rivelerà decisivo nella campagna di Francia), e però quest’ultima aveva bisogno dell’appoggio di reparti d’artiglieria mobile dotati di un cannone d’assalto che potesse fornire supporto di fuoco in prima linea, ad esempio contro i bunker.

I cannoni d’assalto si rivelarono estremamente efficaci contro i carri armati avversari e ciò aveva a che fare con la loro costruzione. Montati sul telaio del Panzer III, potevano raggiungere una velocità di 40 chilometri orari con un’autonomia di 155 chilometri. Poiché mancava la struttura della torretta, l’altezza era di poco più di due metri, che consentiva facile difesa e riparo. Inoltre l’ottica di puntamento era superiore alla maggior parte di quelle in uso presso gli alleati. Dal 1941 in poi, i cannoni d’assalto si sarebbero affermati come efficienti cacciacarri anche nella guerra contro l’Unione Sovietica, dotata di carri con spesse corazze e armati con 75 e anche 88 mm..

Però nella versione del 1940 questi cannoni d’assalto tedeschi presentavano anche delle vulnerabilità e dei limiti d’impiego. Avanzando contro i bunker, la loro corazza anteriore offriva una buona protezione fino a ottanta mm., ma posteriormente potevano essere penetrati da proiettili di modesto calibro. Inoltre il cannone doveva essere allineato sul bersaglio (come nei caccia dell’aviazione) e ciò rappresentava uno svantaggio, così come la bassa velocità della volata della canna corta del pezzo.

Queste deficienze potevano essere rimediate in modo relativamente semplice e permettere quindi a quest’arma di mostrare i suoi punti di forza. Già a metà del 1940 era possibile la produzione semplificata e in gran numero di un veicolo cingolato dotato di un cannone d’assalto da 75 mm., con un costo di solo 82.000 Reichsmark, mentre un Panzer III ne costava 105.000 e, successivamente, un carro Tiger 260.000. Vari motivi hanno impedito che allora ciò accadesse.

Dopo la vittoria inaspettatamente rapida nel 1940, i vertici politici del Reich e quelli della Wehrmacht giunsero alla conclusione che l’esercito sarebbe stato all’altezza di tutti i potenziali nemici. Poiché la guerra contro l’ultimo nemico rimasto, il Regno Unito, veniva combattuta in aria e in mare, per il momento le risorse industriali furono principalmente destinate all’aviazione e alla marina.

Convertire le forze di terra a nuovi sistemi d’arma e modernizzarli in modo completo non fu considerato un compito particolarmente urgente. Il pieno equipaggiamento delle unità dell’esercito fu classificato come un obiettivo a lungo termine e che non sarebbe stato raggiunto prima di tre anni.

La compiaciuta certezza che la Blitzkrieg sulla potenza militare francese avesse sufficientemente dimostrato la superiorità della Wehrmacht, diede luogo alla stupefacente serenità con cui il regime nazista lasciò passare il tempo. Vi furono anche motivi d’ordine economico e di concorrenza tra i vari poteri decisionali. Le compagini preposte agli armamenti dell’esercito, dell’aeronautica e della marina, nonché Hermann Göring come rappresentante per il piano quadriennale e Fritz Todt come ministro degli armamenti e delle munizioni del Reich, competevano per i fondi e gareggiavano per gli ordini e i materiali.

Con quello che poi diverrà lo Sturmgeschütz III, la Wehrmacht avrebbe avuto già nel 1940 un potente veicolo blindato (montato sullo scafo del Panzer III) che poteva essere prodotto in serie in catena di montaggio. Però c’era il timore dei comandanti delle unità carri che l’aumento della produzione di cannoni d’assalto sarebbe andata a discapito dei loro carri armati. Solo quando gli alti tassi di perdite nella seconda metà della guerra paralizzarono

sempre più le unità corazzate, le lacune furono colmate con la produzione in massa dei cannoni d’assalto (Sturmgeschütz). Alla fine della guerra, i cannoni d’assalto nelle loro varie versioni erano stati prodotti in 9.230 esemplari (i Panzer IV: 8.861, VI Tiger: 1.835) ed erano diventati i veicoli a cingoli maggiormente prodotti dall’industria e più largamente impiegati dalla Wehrmacht.

In sintesi: la Wehrmacht si trovò largamente impreparata sul piano degli armamenti e delle dotazioni, soprattutto di autoveicoli, per la guerra contro l’Armata Rossa. Il numero di divisioni corazzate fu aumentato semplicemente riducendo il numero dei loro veicoli (così come avvenne per le divisioni dell’esercito italiano, che prima della guerra passarono da 40 a 60 portando i reggimento da ternari a binari, cioè da 3 a 2 battaglioni).

La Wehrmacht aprì l’Operazione Barbarossa con appena 2.000 carri armati di Tipo III e IV, contro un numero notevolmente superiore di T-34 sovietici. Per il Panzer III non ci fu partita, e anche successivamente per il IV non vi fu vita facile.

Nel conflitto gli Usa produssero 50.000 esemplari dello Sherman e i sovietici 80.000 del solo T-34; la produzione tedesca rimase allo stato di un artigianato di alta qualità. L’industria rinunciò alla variante “fordista” della produzione perché i requisiti in rapida evoluzione degli armamenti rendevano non redditizia la costruzione dei corrispondenti impianti di produzione.

Di là del mito, nei primi anni di guerra vi fu la rinuncia tedesca ad una conseguente conversione dell’economia alle esigenze di guerra, e ciò costituì uno dei motivi decisivi per la sconfitta sui campi di battaglia dell’Est. Fin dall’inizio, rassicurando Hitler, il comando dell’esercito aveva rinunciato ad aprire una campagna con unità completamente equipaggiate e una produzione di rifornimenti in pieno sviluppo (la logistica, imparò Napoleone nelle sterminate distese russe, non segue).

È vero che alcune piccole unità dell’esercito tedesco arrivarono a poche decine di chilometri da Mosca, tuttavia il grosso dell’esercito rimase attestato più lontano, ed è tutto da dimostrare che sarebbe riuscito a superare il trinceramento e gli sbarramenti realizzati a difesa della capitale sovietica. Per esempio e come prova, l’esercito tedesco in oltre due anni di assedio non riuscì ad occupare Leningrado, pur ridotta allo stremo da un’eroica resistenza della sua popolazione che costò circa un milione di vite, alle quali noi tutti non saremo mai abbastanza riconoscenti per tale sacrificio. 

16 commenti:

  1. grazie per l'interessante articolo che presenta argomenti raramente discussi al di fuori di ristrettissimi circoli di appassionati.
    il mito è la potenza dell'industria germanica, la realtà quanto essa fosse in realtà disorganizzata e come lo sforzo bellico non fu mai coerente. o meglio, fu coerente con le aspirazioni di un giocatore d'azzardo non quelle di uno stratega.
    interessante vedere anche quanto le prescrizioni del trattato di versailles (limitazioni nel numero di militari addestrabili e quindi in ultima analisi sulle riserve) e soprattutto la logistica contraddicano il mito dell'efficienza della wermacht e dell'industria tedesca nel 2 conflitto mondiale. a questo proposito sono sicuro troverà interessante questo articolo:
    https://www.hgwdavie.com/blog/2018/3/9/the-influence-of-railways-on-military-operations-in-the-russo-german-war-19411945
    saluti

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  2. Che differenza c'è tra Carro armato e Carro d'assalto? Grazie
    GS

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    1. il carro d'assalto (come dico nel post) è costituito da un pezzo di artiglieria montato su uno scafo di carraoarmato. dunque è un carro armato senza torretta, un semovente di artiglieria

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  3. Articolo estramente interessante! Un altro aspetto quasi sempre taciuto nella pubblicistica volgare in auge attualmente è quale strategia Hitler perseguisse per la conquista della supremazia in Europa! Bene leggendo Hillgruber Andreas , “La strategia militare di Hitler”, si comprende appieno come il piccolo caporale ambisse raggiungere la supremazia in Europa non sullo strumento militare, usato tutt'al più come minaccia diplomatica, ma attraverso intese diplomatiche con L'Inghilterra e con la Francia a scapito della Russia. In questo contesto l'esercito tedesco e la logistica conseguente erano preparati per guerre brevi e rapide, dopo un periodo di tensione diplomatica e di battage pubblicitario! La Wehrmacht anche nella campagna di Francia, tranne le forze corazzate viaggiava alla stessa velocita dell'esercito del 1914, cioè a piedi quando era lontana dalle linee ferroviarie. Solo l’assoluta insipienza militare strategica dei francesi spiega il crollo del maggio 1940, l’aver fatto assorbire un’enorme quantità di effettivi dalla linea Maginot e aver bocciato le idee di De Gaulle sull’uso dei mezzi corazzati.
    Altro elemento sempre omesso dalla pubblicistica è che i tedeschi pur disponendo una delle migliori industrie chimiche producevano delle benzine avio inferiori a quelle inglesi e quindi le prestazioni degli aerei tedeschi, anche quelli dell’ultima generazione erano inferiori a quelle inglesi.

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    1. Mi permetto dissentire su due punti: 1) anche quello di de Gaulle è in gran parte un mito costruito ex post; 2) la caccia tedesca era inferiore qualitativamente, punto. Grazie del bel commento

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  4. Gentile Olympe, ancora una volta devo vivamente congratularmi con Lei. Questo articolo, come sempre peraltro, dimostra delle competenze decisamente fuori dal comune, esibite nella sintetica ma al tempo stesso particolareggiata esposizione di tematiche non certo di facile approccio. Da parte mia, ho solo voluto contribuire con degli approfondimenti e degli ulteriori spunti di riflessione sull’argomento.

    -I modelli di carro francesi Char B1-bis e Somua S-35 furono tecnicamente superiori ai modelli tedeschi.-
    Quando nel Novembre 1939 Hitler comunica all’OberKommando der Heer (OKH – Stato Maggiore dell’Esercito) l’intenzione di attaccare a ovest, gli ufficiali superiori che lo ascoltano non appaiono per niente entusiasti di questa decisione. Nonostante la eclatante vittoria appena ottenuta a est contro l’esercito polacco, numeroso ed agguerrito ma organizzato all’antica, fronteggiare l’Armee Francaise costituiva un affare alquanto diverso, e l’OKH di Halder ne era consapevole: quattro anni di guerra non erano stati sufficienti, alle armate del Kaiser, per piegare i “poilus” francesi, e la Wehrmacht non sembrava meglio armata dell’esercito di Guglielmo II. In particolare, le limitazioni imposte dai vincitori nel trattato di Versailles, prevedendo limiti al tonnellaggio complessivo della flotta e vietando di approntare un’aviazione da guerra e di progettare e costruire mezzi corazzati, giusto per fare alcuni esempi, avevano pesantemente inciso sullo sviluppo dei sistemi d’arma, con tutti i ritardi conseguenti rispetto alle forze armate degli altri paesi. Hitler denuncerà nel 1935 il trattato di Versailles, reintroducendo il servizio militare obbligatorio (il bene più caro ai tedeschi secondo Brecht…) e dando parimenti il semaforo verde all’industria bellica del suo paese. Ma diciassette anni di costrizioni determinano un gap tecnologico che non è certo possibile colmare nello spazio di uno schiocco di dita. Ciò spiega il persistere, al 10 maggio 1940, di un evidente divario tecnologico tra la gran parte dei carri armati schierati dall’esercito francese ed il fulcro delle forze corazzate della Wehrmacht, all’epoca costituito ancora dal Panzer II, una scatola di sardine armata con un cannoncino da 20 mm ed una mitragliatrice coassiale da 7,92 mm, quando lo Char B1 costituiva per l’appunto uno dei mezzi meglio armati e protetti in circolazione [1].
    Ma il superiore livello tecnologico dei propri sistemi d’arma, di per sé, non è sufficiente a garantire la vittoria in un conflitto. Nel Dicembre 1944 ad esempio, quando per volere di Hitler la Wehrmacht lancia Unternehme Herbstnebel (Operazione Foschia d’autunno) tentando l’ultima scommessa ad ovest per respingere gli Alleati, l’attacco verrà sferrato da tre Panzer Armee che dispongono di mezzi corazzati al cui confronto i tank angloamericani sono fermi al livello di spazzatura meccanizzata [2]. Ma nel Dicembre del ’44 la Wehrmacht fronteggia un avversario che ha ormai imparato la lezione. Nel 1940, invece, i supercarri francesi venivano impiegati “per fare ombra alla fanteria”, distribuiti tra le unità dei fanti in ossequio al vecchio concetto per cui il carro serviva ad appoggiare l’azione delle fanterie nella conquista di una trincea. Ma Heinz Guderian, che negli anni trenta aveva compreso, leggendo gli articoli del maggiore Hobart, il ruolo strategico del panzer nelle guerre del futuro, era riuscito ad ottenere la costituzione di unità corazzate indipendenti dalle divisioni di fanteria, dotate di reparti dedicati di fanteria corazzata autotrasportata (Panzergrenadieren) che seguivano e appoggiavano i carri nella loro azione di sfondamento, ed assistite dall’azione di copertura assicurata dall’aviazione di attacco al suolo (i famosi Ju 87 Stuka).
    Una rivoluzione assoluta nel modo di intendere le operazioni militari, che rende ragione di come la superiorità tecnologica, per quanto molto utile, sia semplicemente impotente di fronte alla superiorità delle idee [3].

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  5. -La differenza la fece l’artiglieria corazzata, con i suoi cannoni d’assalto.-
    Il 12 luglio 1941, nei dintorni di Zhitomir, una località situata sulla strada per Smolensk, l’allora Unterscharfuhrer Michael Wittmann, che sarebbe poi divenuto celebre con il soprannome di Barone Nero in analogia con il mitico Barone Rosso della Prima Guerra Mondiale [4], si trovava in solitaria ricognizione al comando del suo Sturmgeschutz III quando individuò una formazione di sei T-34 che si dirigevano verso di lui seguita a breve distanza da altri sei T-34. Ignorando le istruzioni correnti, che raccomandavano di non ingaggiare il combattimento contro formazioni corazzate di entità superiore Wittmann, contando sul basso profilo del suo mezzo, iniziò un mortale gioco a rimpiattino contro i suoi letali avversari, colpendo e nascondendosi nella bassa vegetazione della steppa. Al termine della mattinata, avrebbe messo sei T-34 fuori combattimento, volgendo in fuga gli altri.
    I cannoni d’assalto, ossia gli Sturmgeschutz III e IV, costruiti sugli chassis dei rispettivi Panzer III e IV, erano stati inizialmente pensati per fornire appoggio e copertura alla fanteria, svolgendo un ruolo che i panzer avevano abbandonato nel momento in cui erano stati raggruppati in reparti corazzati autonomi con compiti strategici di sfondamento e di avanzata in profondità alle spalle delle formazioni nemiche, per tagliarne i collegamenti logistici ed accerchiarle in sacche destinate ad essere liquidate dalle unità di fanteria mentre i corazzati riprendevano subito ad avanzare, come previsto dai dettami del Blitzkrieg.
    L’utilizzo dei cannoni d’assalto in funzione controcarro nascerà da un’intuizione di Guderian nel tentativo di tamponare il problema nato dalla sorpresa costituita dai carri pesanti sovietici che le forza corazzate della Wehrmacht si troveranno, inaspettatamente, dinanzi durante Unternehme Barbarossa. Come già ricordato in un altro post, Guderian narra sul suo diario di un gustoso misunderstanding nella primavera del 1940 tra ufficiali sovietici in visita nelle installazioni militari e nelle fabbriche belliche tedesche e gli ufficiali germanici che li accompagnavano. Dopo aver visionato il Panzer IV, presentato come il carro pesante della Wehrmacht, i sovietici ne commentarono positivamente le caratteristiche per poi chiedere di … vedere i carri pesanti! Già questo episodio avrebbe dovuto dare da pensare, invece neanche i servizi di informazione dell’esercito avrebbero avuto sentore fino all’ultimo delle disponibilità quantitative e qualitative dell’Armata Rossa in termini di mezzi corazzati, per cui da questo punto di vista la sorpresa, da parte tedesca, fu completa, anche se ciò non pregiudicò l’andamento delle operazioni: la ricetta del Blitzkrieg era talmente vincente che Barbarossa si risolvette comunque in un successo strepitoso, almeno finchè il caporale Hitler non decise di cambiare i piani in corso d’opera. Sotto il profilo strettamente tattico, il ricorso agli Sturmgeschutz e l’utilizzo in funzione anticarro delle batterie antiaeree mobili equipaggiate con i pezzi Flak da 88 mm consentì di trovare una efficace soluzione al problema.
    A questo punto, con i cannoni d’assalto impiegati in funzione controcarro, l’appoggio alla fanteria verrà assicurato dall’artiglieria semovente, ossia dai vari Bison, Wespe, Hummel, Brummbar, SturmTiger…

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  6. -[Nel]l’Operazione Barbarossa […] per il Panzer III non ci fu partita.-
    Come già affermato in precedenza, il T-34 può essere incontestabilmente definito il migliore carro in circolazione nel 1941 per le sue caratteristiche di corazzatura, potenza di fuoco e mobilità. Ciò nonostante, il divario nelle prestazioni con i panzer schierati all’epoca, segnatamente con il Panzer III, non era così marcato. In altre parole, il Panzer III (P-III) aveva caratteristiche che gli consentivano di opporsi al carro sovietico, nei cui confronti non recitava certo il ruolo di vittima predestinata.
    Consideriamo, in accordo con S. Zaloga [5a], tutte le caratteristiche peculiari di un carro armato, per poi analizzarle nei due mezzi corazzati in esame: Potenza di fuoco; Visibilità ed Ergonomia; Corazzatura; Mobilità; Comunicazioni.
    Potenza di fuoco; il P-III è equipaggiato (a partire dal modello E) con il Kwk 38 L/42 da 50 mm mentre il T-34/76 dispone del cannone F-34 da 76,2 mm. La capacità di penetrazione dei due cannoni, valutata in millimetri su corazze angolate di 30°, è superiore per il carro sovietico: ad es. a 1000 metri il proiettile Panzergranate 39 del P-III è in grado di perforare corazze spesse fino a 32 mm, mentre l’F-34 russo è in grado di avere ragione di corazze spesse fino a 67 mm. Anzi, la capacità di penetrazione del T-34 a 1500 metri di distanza resta perfino ancora un po’ più elevata di quella del P-III a 100 metri (60 mm contro 53 mm!). Gli equipaggi del P-III, però, a differenza dei sovietici, disponevano anche di granate perforanti al tungsteno (Panzergranate 40), la cui capacità di penetrazione era superiore a quella dei proiettili del nemico, anche se solo a distanza ravvicinata e per una dotazione disponibile, nell’estate del ’41, di circa cinque proiettili a carro.
    Visibilità ed Ergonomia; In accordo con Kavalerchik [5b], è necessario ricordare che la potenza di fuoco, intesa come capacità di distruggere un bersaglio, comprende anche la capacità di mettere dei colpi a segno sul bersaglio. In altre parole, oltre che basarsi su peso dei proiettili e lunghezza e calibro dei cannoni, dipende anche: dall’accuratezza del tiro, intesa come capacità di puntare correttamente sul bersaglio, dal tempo necessario per inquadrare il bersaglio e dal volume di fuoco che è possibile sviluppare, inteso come frequenza di tiro, cioè numero di colpi sparato nell’unità di tempo. Accuratezza e tempo di inquadramento dipendono dalla visibilità, quindi dai sistemi di puntamento di cui si dispone. Le ottiche telescopiche montate sui carri tedeschi erano di qualità superiore a quanto si trovava sui carri sovietici sia in termini di campo visivo (25° di campo visivo nel P-III contro i 14° nel T-34, il che significava una larghezza del campo visivo di un terzo inferiore per il puntatore nel T-34 rispetto alla sua controparte) che in termini di luminosità (in condizioni di scarsa visibilità atmosferica, ad es. pioggia, foschia, ore notturne, la ridotta luminosità delle ottiche del T-34 si traduceva in una ridotta capacità di discernere il nemico). Il volume di fuoco dipende dall’ergonomia di movimento dentro il carro, cioè dalle condizioni in cui si trova a lavorare l’equipaggio, in particolare l’addetto al pezzo, o cannoniere (gunner), ed il suo assistente (loader). Qui si evidenzia uno dei gravi handicap di cui soffriva il T-34, la torretta stretta che consentiva la presenza di soli due uomini di equipaggio al suo interno, il comandante del carro ed il cannoniere/puntatore, per cui il comandante era costretto a decidere se svolgere le sue funzioni di comando oppure aiutare il puntatore passandogli i proiettili. Nel P-III la torretta più ampia assicurava spazio sufficiente per tre uomini, comandante, gunner e loader, ognuno con le sue funzioni. Il risultato fu che, ben presto, gli esperti equipaggi dei P-III compresero di essere in grado di sparare anche fino a quattro volte nell’intervallo di tempo tra un colpo e l’altro sparato dal T-34.

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  7. Corazzatura; Nel carro, la corazzatura fornisce la cosiddetta protezione passiva, uno dei fondamentali requisiti di un sistema d’arma. Il primo punto da prendere in considerazione è lo spessore della corazza: nella parte frontale dello chassis è di 30 mm per il P-III versione D, poi portata fino a 60 mm nelle versioni successive, con angolatura obliqua di 21°, mentre è di 45 mm per il T-34 (verrà portata a 80 mm nella seconda versione del carro, indicata con la sigla T-34/85) con angolatura di 60°. Il T-34 appare quindi meglio protetto, anche se la qualità dell’acciaio prodotto all’epoca in URSS così come il livello di finitezza nell’assemblaggio delle varie parti risultava di qualità inferiore rispetto agli standard tedeschi, così compromettendo in parte il risultato finale. Il problema principale per i sovietici, come riportato da Kavalerchik, risiedeva nella mancanza di strumenti per controllare la temperatura e la composizione chimica del metallo durante il processo di fusione. Queste debolezze strutturali vennero presto identificate dagli equipaggi dei P-III (e non solo) che impararono a concentrare il fuoco, ad esempio, nella cerniera tra torretta e chassis del T-34.
    Mobilità; “Der Motor des Panzers ist ebenso seine Waffe, wie die Kanone” (il motore di un carro è una sua arma, come il suo cannone), Heinz Guderian citato da Oskar Munzel [5c]. Questo per ricordarci come la mobilità di un carro non sia un fattore secondario. E, sotto questo profilo, i numeri danno al T-34 una superiorità impressionante: velocità massima di 55 Kmh contro i 40 del P-III, pur a fronte di un peso superiore (28 tonnellate contro 21 del P-III) in ragione della potenza erogata dal motore del carro sovietico (500 Hp contro i 300 del motore del P-III) con inoltre un peso sul terreno maggiore per il P-III (0,92 kg/cm2 contro i 0,72 del T-34, che pur essendo più pesante distribuisce meglio il suo peso sul terreno grazie ai suoi cingoli molto larghi). Anche in questo caso, comunque, alcuni limiti nella accuratezza di costruzione del carro sovietico ne riducono il vantaggio sul P-III, tra tutti la scarsa efficacia dei filtri dell’aria e del sistema di raffreddamento che erano causa, in estate, di surriscaldamento del motore con conseguente limitazione della potenza utilizzabile, per non bruciare la testata, a poco più di 300 Hp. Anche il sistema di sospensioni Christie usato era antiquato rispetto al sistema a barre di torsione usato sul P-III, ma ciò interferiva più con l’ergonomia (le sospensioni Christie “rubavano” spazio entro l’abitacolo) che con la mobilità, specie cross-country, del carro.
    Comunicazioni; Fattore di importanza fondamentale legato alla stretta interdipendenza tra i membri di un equipaggio e tra i singoli carri di una unità corazzata [6]. In questa voce lo svantaggio del T-34 è netto: Il sistema radio sovietico, il 71-TK-3, era installato solo sui carri dei comandanti di plotone, gli altri potevano solo seguire i movimenti del carro del capo plotone, ed i collegamenti tramite interfono dentro il singolo carro erano previsti solo tra comandante e guidatore (da ricordare che, dentro il carro, il rumore del motore era assordante e le comunicazioni a voce molto difficili). Oltre a ciò, il sistema radio, in accordo con Hill [5d] era macchinoso da utilizzare e spesso soggetto ad avarie. Sui P-III invece, i sistemi radio Fu-2 o Fu-5 erano presenti su tutti i carri di ogni unità ed erano estremamente affidabili, mentre il collegamento in interfono era previsto per tutti i membri dell’equipaggio.
    In conclusione, il T-34 appare come un carro dalle caratteristiche superiori a quelle del P-III, per le dimensioni complessive, la capacità di movimento sul terreno, la potenza di fuoco e la protezione passiva. Il vantaggio del carro sovietico sul Panzer III risulta però ridotto dagli evidenti limiti nella sua progettazione e realizzazione che sono stati qui, solo parzialmente, presi in considerazione [7] [8].

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  8. Appendice: -La caccia tedesca era inferiore qualitativamente, punto.-
    Questo è, in realtà, un argomento che non rientra nel tema del post, ma che costituisce un’affermazione la cui perentorietà mi ha colpito. Il mio parere è diverso e vorrei pertanto, sommessamente, dissentire.
    Il più classico dei confronti non può che essere delineato tra i due aerei da caccia più rappresentativi della RAF e della Luftwaffe, nelle loro versioni utilizzate all’epoca della Battaglia d’Inghilterra: lo Spitfire Mk I prodotto dalla Supermarine ed il Messerschmitt Bf 109E, prodotto dalla fabbrica omonima. Entrambi avevano una velocità elevata, lievemente maggiore ad alta quota per il ME109. La manovrabilità era migliore ad alta velocità per lo Spitfire, dotato di ali più ampie e capace di virate più strette, ma diveniva superiore a bassa velocità per il ME109 grazie all’introduzione, sul bordo d’attacco delle ali, di ipersostentatori che si aprivano automaticamente a bassa velocità aumentando così la superficie alare e, quindi, la portanza dell’aeromobile. Il motore dell’aereo inglese, il Merlin di fabbricazione Roll-Royce, aveva un importante svantaggio rispetto al propulsore Daimler-Benz DB601 che equipaggiava il ME109: come da tradizione motoristica britannica, disponeva di un’alimentazione a carburatori, col carburante che affluiva per gravità nel motore, mentre il DB601 era alimentato da un sistema ad iniezione, col vantaggio di assicurare sempre l’afflusso di carburante al motore in ogni condizione, caratteristica su cui non potevano contare i piloti inglesi poiché nello Spitfire, in condizioni di accelerazione negativa, come ad esempio nelle manovre in picchiata, il carburante non scendeva più nei cilindri perché la forza di gravità veniva annullata dalla brusca accelerazione in discesa, col risultato di perdere drasticamente potenza nel momento critico. L’armamento dello Spitfire era costituito da 8 mitragliatrici Browning .303 da 7,7 mm poste sulle ali in posizione molto laterale, mentre il ME109 era armato con due mitragliatrici MG17 da 7,92 mm sulla fusoliera e con due cannoni MG FF da 20 mm sulle ali ma posti molto vicino alla fusoliera: nello Spitfire si era quindi reso necessario angolare il tiro delle mitragliere, per far convergere i proiettili sul bersaglio, che però per tale motivo doveva trovarsi ad una distanza precisa (stabilita dopo discussioni coi piloti in 500 yarde) per essere centrato, mentre il ME109 non aveva questo problema, col tiro lineare assicurato dai suoi cannoni che, inoltre, sparavano proiettili di calibro maggiore e dotati di carica esplosiva, assicurando così un importante vantaggio all’aereo tedesco per quanto attiene all’armamento. Il carrello era stretto in entrambi gli aerei, il che rendeva difficoltoso atterrare e decollare data la potenza dei due propulsori, nel ME109 l’inclinazione obliqua verso l’esterno delle ruote ovviava in parte al problema [9].
    Per molte di queste informazioni devo ringraziare il giovane addetto del RAF Museum di Hendon (Londra) che si è gentilmente prestato ad una approfondita discussione con me sull’argomento. A suo avviso, per la cronaca, i due aerei si equivalevano, nonostante quanto detto. I dati sulle perdite di quel periodo, comunque, riportano un numero di Spitfire abbattuto dai ME109 leggermente superiore rispetto ai ME109 persi a seguito di duelli aerei con gli Spitfire [9]. Il punto era, in realtà, un altro: l’obiettivo che la Luftwaffe si era posto, ottenere il controllo dell’aria sui cieli inglesi, non potè essere realizzato per tutta una serie di motivi che vanno oltre il semplice confronto tra i due modelli di aereo da caccia [10].

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  9. [1] Per averne una efficace impressione visiva è sufficiente recarsi al Royal Tank Museum di Bovington, nel Sud del Regno Unito: nell’ampio salone dedicato al periodo dal 1915 al 1945, nello stand relativo alla campagna di Francia, è possibile ammirare i due carri, posizionati uno di fronte all’altro: il solo osservarli rende superfluo ogni ulteriore discorso.

    [2] Herbstnebel viene sferrata all’alba del 16 Dicembre 1944, con l’attacco lanciato da tre Panzer Armee concentrate su un fronte ristretto di circa 70 km. L’obiettivo (irrealizzabile) è sfondare nel settore delle Ardenne e, con una audace e rapida penetrazione alle spalle dello schieramento alleato, raggiungere il porto di Anversa tagliando fuori tutte le armate alleate a nord della linea di avanzata, secondo uno schema già applicato con successo nel maggio del 1940. Le unità corazzate messe in campo dalla Wehrmacht dispongono di mezzi tecnologicamente superiori, i carri Panther (Pzkpfw V) e Koenigstiger (Pzkpfw VI Tiger II Ausf B) ed i cacciacarri Jagdpanther. Il Panther, considerato dagli analisti militari forse il miglior carro della seconda guerra mondiale per le sue caratteristiche di protezione passiva (una corazza frontale di 80 mm inclinata con un angolo di 55° che ne aumentava l’efficacia di oltre un terzo, rendendola equivalente a quella di una ipotetica corazza verticale di 139 mm), di potenza di fuoco (un cannone Kwk 42 L70 da 75 mm dotato di un firepower secondo solo a quello del Kwk da 88 mm montato sui Tigre, e con cadenza di tiro fino a sei colpi al minuto se maneggiato da un equipaggio esperto) e di mobilità (il motore Maybach HL 230 lo spingeva fino ad una velocità massima di 55 Kmh su strada), tutte caratteristiche di eccellenza che facevano di questo carro, nel parere di molti addetti ai lavori, non un semplice carro medio, come il panzer IV o il T-34, ma il primo effettivo esempio di MBT (Main Battle Tank), secondo un concetto che si affermerà nel dopoguerra quando la distinzione fra carri leggeri, medi e pesanti verrà superata dall’introduzione di un singolo modello di carro con le caratteristiche di tutti i tre tipi di carri fino ad allora costruiti. Il Koenigstiger, la versione migliorata dello storico Tiger I, armato con un cannone Kwk 43/3 L71 da 88 mm e protetto da una corazza frontale dello spessore di 150 mm inclinata con un angolo di 50°. Lo Jagdpanther, versione cacciacarri del Panther, costituito da una sovrastruttura fissa montata sullo chassis del Panther, protetto da una corazza frontale di 100 mm di spessore con angolo di 55° ed equipaggiato con il Kwk 43/3 L71 da 88 mm del Koenigstiger, di cui non è necessario cantare ulteriormente le lodi. A fronte di questo superbo livello tecnologico, gli alleati possono opporre come tank maggiormente rappresentato nel loro schieramento… lo Sherman M4, un carro che per sperare di ottenere qualcosa contro la corazza del Tiger I doveva avvicinarsi a distanze ben inferiori ai 500 m, quando invece il cannone da 88 mm del Tigre era in grado di polverizzare qualsiasi carro alleato a distanze superiori ai 2000 m.
    Ma l’avversario, nonostante l’evidente gap tecnologico, aveva però imparato la lezione. Nel Dicembre 1944 il nemico che la Wehrmacht doveva affrontare riuniva anch’esso le sue forze corazzate in reparti autonomi, inoltre aveva il dominio dell’aria, disponeva di una consistente superiorità numerica, non aveva problemi con i ricambi, i rimpiazzi ed i materiali di consumo, in primis il carburante, in mancanza del quale anche il carro più evoluto diventa inutile.

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  10. [3] Gli esempi al riguardo sarebbero innumerevoli. Il migliore e più avanzato esercito coloniale del mondo, le giacche rosse dell’esercito britannico, che subiscono una cocente sconfitta a Isanldwana nel gennaio 1879 ad opera di tribù Zulu armate di lance e bastoni ma in grado di annientare un intero reparto coloniale inglese equipaggiato con moderne armi da fuoco, i cui 1400 soldati vengono sterminati sul posto al prezzo di un numero all’incirca equivalente di morti tra le fila degli Zulu. L’Armata Rossa sovietica che nel 1941 si ritrova ad un passo dalla catastrofe venendo salvata non dai suoi formidabili T-34 ma dagli imperdonabili errori strategici del caporale Hitler (come già sottolineato in precedenza N.d.R.). Senza dimenticare l’evento più eclatante, l’esercito tecnologicamente più avanzato del mondo definitivamente sconfitto nell’Aprile del 1975 in Vietnam da un pugno di contadini-soldati armati solo di un Kalashnikov e del loro coraggio e nutriti da un sacchetto di riso.

    [4] Michael Wittmann è uno dei più noti assi dell’Arma corazzata tedesca con 138 tank nemici distrutti al suo attivo, il cui nome viene per lo più ricordato in riferimento all’episodio di Villers Bocage. Il 13 giugno 1944, in questa località sita nei pressi di Caen, la XXII Brigata corazzata inglese si era incuneata entro lo schieramento tedesco posto a difesa di Caen, minacciando sul fianco la divisione corazzata Panzer Lehr. Intervenendo con spericolata rapidità e decisione Wittmann, al comando di una piccola formazione che contava, oltre al suo Tigre I, altri tre Tigre e due Panzer IV, riuscirà a mettere fuori combattimento nell’arco di venti minuti di fuoco un intero reggimento corazzato inglese, eliminando svariate decine di mezzi corazzati britannici, e riuscendo così a stroncare le velleità offensive del nemico in quel settore, sigillando le posizioni tedesche attorno a Caen. Questa città francese, importante crocevia stradale da conquistare, nei piani del D-Day, entro le prime 24 ore dallo sbarco, rimarrà in mani tedesche fino al successivo ventisei luglio.

    [5a] Steven Zaloga: “Armored Champion. The top Tanks of World War II”. Stackpole Books: Mechanicsburg, US 2015, p. 89).
    [5b] Boris Kavalerchik: “The Tanks of Operation Barbarossa. Soviet versus German Armour on the Eastern Front”. Pen & Sword Military; Barnsley, UK, 2018, p. 162).
    [5c] Oskar Munzel: “Die deutschen gepanzerten Truppen bis 1945”, s.159.
    [5d] Alexander Hill: “The Red Army and the Second World War. Armies of the Second World War”. Cambridge University Press: Cambridge, UK, 2017, p. 220.

    [6] “Jeder Mann der Besatzung muβ das klare Bewuβtsein haben, daβ Fehler und Unterlassungen des einzelnen den Verlust des Panzerkampfwagens und der ganzen Besatzung zur Folge haben können” (Ogni membro dell’equipaggio deve avere chiaro che errori od omissioni di un singolo possono comportare la perdita del carro e di tutto l’equipaggio). H. Div. 470/6: Ausbildungsvorschrift für die Panzertruppe – Heft 6. Die leichte Panzerkompanie, September 1940, s. 10.

    [7] Parzialmente presi in considerazione perché, per brevità, non si è accennato agli ulteriori problemi presenti nel T-34, quali la scarsa protezione dei serbatoi di carburante, l’assenza di un pavimento della torretta che ruoti in sincrono con la torretta stessa (turret basket), la scarsa manovrabilità del cambio, spesso soggetto ad avarie, la tendenza dei cingoli a spezzarsi nelle manovre di sterzata brusca su terreno accidentato… In sostanza quindi, il T-34 appare come un carro teoricamente dalle grandi prestazioni, ma con promesse spesso non mantenute, mentre il Panzer III è un carro dalle caratteristiche sulla carta inferiori ma che mantiene quanto promesso, riuscendo così a limitare il divario tra i due mezzi.

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  11. [8] Non sono neanche presi in considerazione fattori che, pur non ascrivibili direttamente alle caratteristiche tecniche dei carri, ne influenzano grandemente il rendimento sul campo quali l’appoggio aereo, il livello di addestramento e di esperienza degli equipaggi, le dottrine di impiego dell’arma corazzata ed il grado di confidenza dei reparti nell’interiorizzazione di queste tattiche, tutti fattori che propendono in favore dei reparti corazzati della Wehrmacht.

    [9] William Green, “Messerschmitt Bf 109: The Augsburg Eagle; A Documentary History”. Macdonald and Jane's Publishing Group Ltd., 1980.

    [10] Naturalmente la guerra proseguì per altri cinque anni dopo la conclusione della Battaglia d’Inghilterra, e le industrie aeronautiche da ambo le parti lavorarono alacremente per progettare nuove versioni dei modelli esistenti o nuovi modelli di aereo. Gli inglesi crearono, lungo l’arco del conflitto, 14 versioni successive del loro Spitfire, aumentandone la velocità e introducendo pompe di alimentazione ad iniezione nei loro motori, sull’esempio dei propulsori utilizzati negli aerei tedeschi. L’industria aeronautica tedesca, oltre ad aggiornare continuamente il ME109, mise in linea numerosi altri modelli di aerei da caccia, quali il Focke Wulf FW190 o il Dornier Do335 Pfeil, il più veloce aereo a pistoni della seconda guerra mondiale, mantenendo un primato tecnologico, a mio avviso incontestabile, che porterà la Luftwaffe a schierare, nelle fasi finali del conflitto, dei modelli di aerei a reazione entrati nella produzione in serie, quali il Me262 Schwalbe, prodotto in circa 1400 esemplari, o l’avveniristico Horten IX, per il quale nel gennaio 1945 il Luftministerium aveva emesso una prima richiesta di produzione di serie di 25 esemplari. Per vedere aerei con motori a reazione impiegati in combattimento dagli alleati bisognerà attendere il dopoguerra, e nella definitiva realizzazione di questi primi modelli giocherà comunque un ruolo molto importante il know-how di conoscenze fornito dai progettisti tedeschi “arruolati” allo scopo nel progetto Paperclip.

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    Devo ammettere, dopo la prima stesura, di essere stato colto dalla spiacevole impressione di aver esagerato in verbosità e lunghezza del testo, per cui ho passato un po’ di tempo a cercare di sintetizzare, non volendo risultare eccessivamente tedioso. Ma è sempre un grande piacere leggere e scrivere di questi argomenti, per cui La ringrazio per l’opportunità, nella speranza di avere contribuito nel fornire dei validi spunti di approfondimento della materia.

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    1. grazie, tutto di vero grande interesse.
      sulle linee generali sono cose che conoscevo, mentre sconoscevo certi "dettagli" tecnici. nell'economia di un post devo badare che sia il più breve possibile e per le specifiche tecniche è necessaria una certa "sobrietà". E già così molti lettori scappano, cosa a cui peraltro tengo relativamente.
      i miei interessi s'incentrano più sugli aspetti politici, economici e diplomatici di tutte le epoche. chiaro che nella fattispecie l'aspetto militare (stiamo parlando del più grande conflitto della storia!) gioca un ruolo fondamentale.

      Non bisogna mai dimenticare che la qualità si trasforma in qualità, e inoltre bisogna tener conto delle condizioni politiche ed economiche generali in cui si viene ad operare. Indubbiamente, e per fortuna, Hitler commise gravissimi errori strategici (Dunkerque, in primis), ma operava in condizioni per molti versi inedite e su un fronte (ad est) che per caratteristiche ed ampiezza non aveva eguali (napoleone non poté “ingabbiare”, come suo solito, il nemico sconfitto). L’operazione barbarossa, a mio avviso, non avrebbe comunque avuto possibilità di successo (le difficoltà, tra le altre, di prendere Leningrado e stabilmente Stalingrado lo dimostrano), anche senza il “diversivo” ucraino. Se i giapponesi avessero attaccato alle spalle, e solo in quel caso, le cose sarebbero potute andate diversamente. Non dimentichiamo poi lo scacchiere africano, vera testa di ponte alleata verso il continente europeo. Il controllo del mediterraneo non fu meno importante di quello atlantico per le sorti della guerra, anche se quest’ultimo fu infine davvero decisivo perché garantì le rotte di rifornimento e di alimentazione della guerra.

      Insomma, l’aspetto tecnico-militare gioca un ruolo fondamentale, ma in connessione con altri aspetti di un grande conflitto geostrategico. Che la germania non poteva vincere, caporali o generali che vi fossero alla sua testa.

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    2. “La qualità si trasforma in qualità”?... Probabilmente il primo dei due termini avrebbe dovuto essere quantità, ma non ne sono sicuro e, comunque, avrei delle obiezioni al riguardo, incentrate sulla filosofia alla base della realizzazione di un sistema d’arma.
      Per il resto tutto ampiamente condivisibile, tranne il luogo comune sull’impossibilità di cogliere la vittoria a Est. Barbarossa stava infatti procedendo secondo i piani: guardando la cartina geografica dell’Unione Sovietica del tempo si può notare la posizione della città di Smolensk, caduta in mani tedesche nella seconda metà di luglio, cioè ad un mese circa dall’inizio dell’invasione. Smolensk dista neanche trecento km da Mosca, quasi il doppio della distanza che invece la separa dal fiume Bug ad ovest, linea di confine russo-tedesca al 22 giugno 1941, distanza che la Wehrmacht aveva superato in meno di un mese. Alla fine di luglio, tra la capitale sovietica ed i reparti corazzati tedeschi non vi era sostanzialmente alcun ostacolo, con l’Armata Rossa che, come già detto in precedenza, “appariva scompaginata, priva di comunicazioni e in ritirata disordinata in direzione Est” e con la prospettiva di altri due mesi di bel tempo estivo. Leningrado e Stalingrado, nell’estate del 1941, erano solo due obiettivi secondari, la partita si giocava tutta sul fronte centrale ed era già stata vinta. Poi, il “diversivo” ucraino, come giustamente ricordato, regalando ai Sovietici due mesi di tempo, ha consentito all’Armata Rossa di rimettersi in qualche modo in sesto, contando soprattutto sul cambiamento delle condizioni meteorologiche e sull’assenza di una vera rete di comunicazioni in grado di supportare l’enorme logistica della Wehrmacht.
      Se poi la Germania abbia avuto o meno la possibilità di uscire vittoriosa dal conflitto dopo il dicembre del ’41 (magari evitando di dichiarare guerra agli Stati Uniti), è argomento che potrebbe costituire oggetto di discussioni potenzialmente infinite. A mio avviso, cifre alla mano, l’apparato militare e industriale sovietico non sarebbe stato capace di reggere, da solo, il confronto col nemico tedesco, anche in un conflitto di attrito come quello in cui ci si ritrovò dopo la fine di Barbarossa. Ed a questo riguardo sarebbe interessante effettuare la disamina delle perdite esorbitanti ed insostenibili inflitte all’Armata Rossa nell’arco di tutto il conflitto, largamente superiori a quelle riportate dalla Wehrmacht, aggiungendovi inoltre il calcolo della quantità incredibile di materiali inviati dagli Stati Uniti in URSS nel quadro del Land Lease, una valanga di aiuti che ha tenuto in piedi lo sforzo produttivo sovietico. Ma ci risparmieremo un’ulteriore bordata di “dettagli tecnici”.

      Alla fine la storia non si fa con i se e credo, per concludere, sia illuminante riferire l’opinione al riguardo dei Tedeschi di oggi che, quando colloquialmente interrogati da me sull’argomento, rispondono sempre, tutti e senza esitazione, che perdere la guerra, nonostante il prezzo pagato in termini di vite perdute, di disastro economico e di condanna morale universale, alla fine abbia costituito l’epilogo migliore possibile per la Germania. O il male minore, se vogliamo.


      filippo

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