Immaginiamo che il primo dicembre 1935 un ebreo tedesco salga su un autobus in una città della Germania e si sieda in uno dei posti riservati agli ebrei. In una fermata successiva sale un altro passeggero che, non trovando da sedere, gli intima di alzarsi. L’ebreo si rifiuta di cedergli il posto. Allora il conducente ferma il veicolo e chiama gli agenti di polizia. L’ebreo viene arrestato e incarcerato per condotta impropria e per aver violato le norme che obbligano gli ebrei a cedere il proprio posto agli “ariani”.
È esattamente ciò che successe il primo dicembre 1955 a Rosa Louise Parks, cittadina americana di Montgomery.
Nel 1956, la Corte dell’Alabama deliberò come incostituzionale la segregazione sugli autobus pubblici. Il 23 settembre 1961, la Commissione Commercio Interstatale vara nuove regole per il trasporto pubblico. Dal 1° novembre dello stesso anno su ogni autobus interstatale compare un avviso che chiarisce che nessun posto a sedere è riservato in base al colore della pelle, credo religioso od origine nazionale. Ma non quella vigente in altri luoghi pubblici, scuole comprese.
Il 18 gennaio 1963 il nuovo governatore dell’Alabama, George Wallace, nel suo discorso di insediamento invoca “segregation now, segregation tomorrow, segregation forever” (segregazione ora, domani e sempre).
Viene approvato una legge federale che proibisce la discriminazione in tutti i luoghi pubblici e crea la Commissione sulle Pari opportunità, operativa dal 2 giugno del 1965.
Nel 1964, il Mississippi Freedom Democratic Party, nato per riunire gli elettori democratici antisegregazionisti, designa propri delegati alla Convention democratica e sfida il tradizionale Partito formato da soli bianchi. Il candidato presidenziale Lyndon B. Johnson, però, arresta l’operazione per paura di perdere consensi.
Di là delle buone intenzioni di alcune e delle leggi la segregazione razziale negli Stati Uniti è ancora uno stato di fatto nella cosiddetta più grande democrazia del mondo.
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