giovedì 24 dicembre 2020

La parola d’ordine

 

Una delle caratteristiche essenziali della situazione che stiamo vivendo è la manipolazione della realtà di questa pandemia. Non che i contagi, gli ammalati e i morti non siano reali, per carità, ma è nel modo stesso, enfaticamente emotivo e spettacolare, con cui è mediaticamente raccontata la pandemia che si è arrivati ad instaurare un clima intimidatorio, fatto di manicheismi e idiosincrasie intollerabili.

Da una parte si è rassicurato: ricordiamo le estemporanee orchestrine sui balconi, le bandiere e le scritte del tipo “andrà tutto bene” (con centinaia di morti giornalieri!); quindi i messaggi aulici quirinalizi: passata la buriana ci attende un futuro migliore, perché la pandemia offre l’opportunità “per costruire una società più giusta e inclusiva”, eludendo il fatto evidente che la pandemia non fa che aumentare le disuguaglianze.

Per altro verso si è fomentata la paura, puntando sulla consonanza cognitiva allo scopo di orientare i comportamenti. Senza le immagini dei camion militari con le bare, i bollettini serali come il numero dei morti e la descrizione dettagliata dell’”intubazione” nelle terapie intensive, le interviste ai “sopravvissuti”, il coprifuoco sarebbe stato ben più impegnativo da far accettare, compreso quello in corso.

S’è diffusa anche la paura di essere abbandonati una volta infettati, cosa che ha portato, specie nei primi mesi dell’epidemia, all’affollamento degli ospedali con le conseguenze che in parte ci sono note (se la gente teme di non essere curata adeguatamente a domicilio è chiaro che si rivolge agli ospedali).

È noto che ciò che colpisce di più è la morte inattesa dell’inquilino della porta accanto che non quella di centinaia di vittime di un’inondazione nel remoto Bangladesh. È sempre un problema confrontarsi con questo genere di sentimenti, per cui non sono state casuali certe forzature, come il reiterato accostamento dell’epidemia virale alla guerra, al conflitto bellico e alle sue vittime.

I 184 bambini che morirono in una scuola di Milano sotto le bombe alleate erano vittime reali. Non furono meno reali però le altre 614 vittime di quella stessa incursione aerea. Tuttavia ciò che è ricordato ancor oggi di quel bombardamento e che allora suscitò sgomento e indignazione furono quelle giovanissime vittime.

Nessuno allora sollevò pubblicamente dubbi sulle cause reali, immediate e lontane, e le responsabilità, individuali e collettive, che avevano provocato quel bombardamento e quelle morti. Chi si fosse azzardato a sollevare dubbi sarebbe stato subito bollato, con gravi penalità, come “traditore”. Le cause e le responsabilità furono univocamente addebitate alla belluinità del nemico.

Oggi il nemico è rappresentato dal virus e chi azzarda una critica su questo modo di spettacolarizzare il fenomeno e le sue conseguenze, o irride certe misure di “contenimento”, è additato come “negazionista”, o scrutinato come fomentatore di “confusione” (povero Cacciari), e pazienza se molto di questo dramma è stato causato da decisioni tardive, incoerenti e insufficienti.

La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: vincere!

Tale atteggiamento censorio e denigratorio generalmente non viene percepito nella sua portata e gravità, e ciò vuol dire che siamo messi davvero male se il sistema ritiene di non reggere un dibattito pubblico che non sia a senso unico (così come manca un effettivo dibattito pubblico sull’impiego delle gigantesche risorse che ci sono state promesse). Dico questo perché già immagino le reazioni dell’establishment se la protesta sociale dovesse esplodere a causa della crisi economica.


7 commenti:

  1. Premessa: normalmente dubito della spontaneità delle proteste sociali. Ciò premesso, se non ci dovessero essere proteste vorrebbe dire che siamo un popolo di eunuchi.

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  2. Forse per il sistema di rappresentanza parlamentare, tendenzialmente proporzionale, i governi italiani hanno avuto mandati deboli e talvolta persino illegittimi (commissariamento Monti e, nel secolo scorso, i governi Amato e Ciampi). Sicché si deve creare un clima emergenziale per aggirare il dibattito pubblico e quello legislativo.
    Si faceva così anche negli anni '70, con la strategia della tensione, no?
    Sempre in emergenza, anche sismica in un Paese dove si sa che c'è un terremoto altamente distruttivo (secondo i nostri parametri; in Giappone sospenderebbe il lavoro per un quarto d'ora) ma c'è chi lo attende come una manna divina per la cascata di appalti che segue.
    La pandemia ha esacerbato un sistema perverso nel quale i media sembrano non accorgersi di essere uno strumento, perché mai sono stati genuinamente critici del potere.

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    1. è così, salvo il fatto che non so chi sia più strumento di chi

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  3. Sempre cara Olympe, buon Natale, buone feste.
    Auguri anche ad Erasmo e a tutti i compagni

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