mercoledì 23 dicembre 2020

Quando non c'erano vaccini e antibiotici

 

Nei pressi di Lipsia, dal 16 al 19 ottobre 1813, ebbe luogo una delle più grandi e sanguinose battaglie fino ad allora combattute. Si affrontarono circa 500mila soldati. Fu poi chiamata la “Battaglia delle Nazioni”.

Dopo il disastro della Grande Armata in Russia nel 1812 e l’alleanza tra la Prussia e lo Zar, Napoleone nella primavera del 1813, dopo aver conseguito, con una serie di battaglie tatticamente tra le sue migliori, una posizione di netto vantaggio sull’avversario, accolse le proposte di armistizio. Un errore che gli fu fatale poiché consentì al nemico di riorganizzarsi.

Il fattore tempo è una variabile decisiva, non solo dal punto di vista bellico, che può essere fatta agire a favore o a sfavore secondo le situazioni che di volta in volta si presentano. Napoleone seppe sfruttare spesso a suo favore tale fattore. Quando non vi riuscì, fu sconfitto.

Riprese le ostilità, l’esito della battaglia di Lipsia determinò la rottura del dominio francese su gran parte dell’Europa e aprì la strada a una riorganizzazione politica del continente che sarebbe durata per oltre una generazione.

A differenza delle battaglie di Austerlitz o Waterloo, a Lipsia non vi furono brillanti mosse tattiche, ma la vittoria fu determinata per la semplice superiorità degli alleati austriaci, russi, prussiani e svedesi, che raccolsero inizialmente 200.000 uomini e infine circa 350.000 uomini, mentre l’esercito di Napoleone poteva contarne 200.000. La quantità mutò in qualità.

Le truppe erano armate di moschetti ad avancarica, a pietra focaia, potevano sparare forse due volte al minuto, colpendo il bersaglio solo a distanza ravvicinata. I loro proiettili e i colpi di baionetta provocavano ferite orribili, così i colpi di artiglieria che rimbalzavano sul terreno, contrariamente a quanto si vede nei film ove esplodono (leggi qui).

Lipsia in tempo di pace contava circa 40.000 abitanti, ma in quei giorni era invasa da decine di migliaia di profughi e di feriti moribondi che trasformarono la città in una polveriera igienica. Le divise erano sporche, lacere e infestate da parassiti. Le pulci e le zecche avevano già infettato molti soldati di tifo in Russia, facendo strage.

A quel tempo (in buona sostanza fino all’avvento di nuove tecniche chirurgiche, dei vaccini, degli antibiotici, dei cortisonici, ecc.) una ferita grave molto spesso significava una condanna a morte, anche perché le amputazioni erano eseguite con i mezzi allora disponibili e in assenza di efficace disinfezione. Le orribili condizioni igieniche falcidiavano anche medici e infermieri, dei quali circa la metà non è sopravvissuta al servizio.

Non è esagerato affermare che nel corso delle guerre napoleoniche, ma anche prima d’allora e poi anche in seguito per lungo tempo ancora (vedi guerra di Crimea), il numero di morti in battaglia non era quasi mai superiore a quello per infezioni e altre cause di malattia.

2 commenti:

  1. questo per dire che la "guerra" all'infezione farà più morti che l'infezione stessa, leggo bene?

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