martedì 22 dicembre 2020

Il divieto di spostamento

 

Il 22 dicembre 1947, la costituente licenziava la costituzione repubblicana. Il primo presidente della Repubblica (provvisorio) fu Enrico de Nicola, notoriamente monarchico. Fu scelto per tale carica proprio perché monarchico, sulla base di un compromesso con chi non si rassegnava.

La Repubblica si adeguò per lunghi tratti e per molti aspetti, anzitutto per quanto riguarda le libertà e i diritti civili, con l’Italia cosiddetta liberale e quella fascista.

Basti pensare, per fare solo qualche esempio, che la potestà maritale prevista dal codice civile, fu abrogata solo nel 1975. Ancor più grave che le disposizioni sul delitto d’onore siano state abrogate solo nel 1981. Fino al 1978 vigeva il reato di istigazione all’odio fra le classi sociali. Il quale vige tutt’ora, laddove fosse attuato “in modo pericoloso per la pubblica tranquillità”. Sul concetto di “pubblica tranquillità” l’interpretazione di qualunque sgherro e magistrato può esercitarsi estesamente, salvo poi, dopo molti anni, essere assolti.

Oggi siamo alle prese con il divieto di spostamento tra comuni e regioni causa CoV-2, ma pochi sanno che in Italia il divieto di migrazione interna è stato abrogato solo negli anni Sessanta e dopo che la questione era stata rimessa alle decisioni della Corte costituzionale. Il Parlamento tacque a lungo, fino al 1958, quando Terracini ed altri ne proposero l’abrogazione. La questione di legittimità costituzionale fu sollevata da alcuni pretori.

La legge fascista del 9 aprile 1931, n. 358, prescriveva all’articolo 1 che nessuno può trasferire la propria residenza in Comuni della Repubblica, Capoluoghi di provincia o in altri Comuni con popolazione superiore ai 25 mila abitanti, o in Comuni di notevole importanza industriale, anche se con popolazione inferiore, se non dimostri di essersi assicurata una proficua occupazione stabile. La stessa legge prevedeva gravi sanzioni a carico di coloro che trasferivano la propria residenza per trovare una occupazione.

Secondo la lettera e lo spinto della citata legge del 1939, centinaia di migliaia di lavoratori che lavorano in tutte le zone industriali (ma non solo loro) potevano essere rimpatriati con foglio di via obbligato. Cosa che accadeva largamente a scapito dei lavoratori (e delle loro famiglie), i quali venivano sottoposti ad una serie di ricatti da parte dei padroni che li costringevano ad accettare condizioni di lavoro e di sottosalario in violazione dei contratti, che già non erano favorevoli alla forza-lavoro.

Infine il Parlamento fu costretto a varare la legge 10 febbraio 1961 n. 5, che abrogava la legge classista. 



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