Non esiste nulla senza contraddizione e nessuna
società è o sarà senza conflitto. Proprio per questo non verrà mai meno la
lotta per una società migliore. Anche il carattere assiomatico dell’odierna
società, intesa come male minore, presto andrà a farsi friggere.
*
Se molti secoli or sono, un qualche
riformatore sociale avesse lanciato questo messaggio: “bisogna cambiare il
feudalesimo”, ebbene avrebbe riso tutta l’Europa. Se, ancor prima, Cicerone o
Seneca avessero detto: “bisogna abolire la schiavitù”, ebbene le matrone romane
li avrebbero rincorsi con un grosso bastone e poi costretti a spicciare
domestiche faccende (*).
Errore esiziale è stato credere che mutando
la forma giuridica dei rapporti economici, ossia procedendo al mero passaggio
dalla proprietà privata a quella statale dei mezzi di produzione, ipso facto
venissero a modificarsi i presupposti essenziali del rapporto tra capitale e
lavoro, così come altri tipi di rapporti economici e sociali. E oggi noi
vediamo chiaramente quali effetti sociali, istituzionali e politici produce la
concentrazione della proprietà privata in poche mani private, che di fatto l’abolisce.
Quanti ondeggiamenti su torrenti d’inchiostro nell’epoca nostra per dire che si
vuole cambiare il capitalismo però mantenendo inalterati i suoi rapporti
sociali essenziali.
Tutte le trasformazioni avvenute nei modi di
produzione precedenti non hanno mutato sostanzialmente i rapporti di
produzione, limitandosi a sostituire una forma di proprietà ad un’altra, una
forma di sfruttamento con un’altra: dalla proprietà schiavista, alla proprietà
feudale, alla proprietà borghese, alla proprietà di Stato; dallo sfruttamento
degli schiavi, degli affittuari regi, dei coloni, allo sfruttamento dei servi
della gleba, allo sfruttamento del lavoro salariato nelle forme della
produzione moderna (**).
«Una formazione sociale non perisce finché
non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e
superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano maturate in
seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco
perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché,
a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo
quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono
in formazione» (Per la critica
dell'economia, 1859).
(*) La rivolta degli schiavi guidata da
Spartaco ha fatto epoca, però non sarebbe sensato pensare che essa potesse
realmente mutare i rapporti di produzione allora vigenti e prevalenti.
Viceversa Abramo Lincon poté legiferare per l’abrogazione della schiavitù
poiché il mantenimento di tale forma di sfruttamento non era più conveniente
come un tempo e riguardava una dimensione marginale dell’economia, ancorché
localmente importante.
(**) Non fu il cristianesimo a mettere in
crisi l’impero romano e con esso la schiavitù antica; fu bensì la crisi degli
istituti economici, politici, religiosi a favorire la manumissio in ecclesia. Già se ne ebbero i prodromi molto tempo
prima quando nell'atrium libertatis avvenivano
le cerimonie di manomissione degli schiavi. Vi fu dunque un lento processo di trasformazione sociale ed economica,
che, a un dato momento, divenne impetuoso e inarrestabile. Quella
trasformazione, non potendo per varie ragioni assumere i connotati di un
processo a guida politica quale lo intendiamo modernamente, assunse quelli di
una contesa religiosa.
Gli schiavi non hanno decretato la fine del
sistema schiavile, né i servi della gleba hanno creato la società borghese, né
saranno i soli operai di fabbrica a dare la spallata definitiva al capitalismo.