Bisogna considerare una cosa, anche se da
molto tempo appare ovvia, e cioè che il sistema del credito e quello della
speculazione finanziaria costituiscono la base principale e il clima vitale del
modo capitalistico di produzione. È in tale ambito, cioè nella sfera della
circolazione, che appaiono più evidenti le contraddizioni del capitalismo, pur
se la contraddizione principale risiede sempre nel peculiare modo di produrre.
Un esempio molto significativo è dato dal
fatto che per investire il mio capitale invece di guadagnarci devo pagare. Il
volume degli investimenti nel mercato dei bond è cresciuto al punto da portare
i tassi in negativo e da registrare l’inversione della curva tra obbligazioni a
breve e lungo termine. E ciò non riguarda solo i titoli di Stato (il 21 agosto
la Germania ha emesso un Bund a 30 anni a tasso negativo (-0,11%), collocando
824 milioni su 2 miliardi, arrivando così ad avere rendimenti negativi su tutte
le durate dei titoli, a breve e a lunga scadenza) ma anche le obbligazioni corporate emesse da
società private a tripla A che iniziano ad andare sotto lo zero. Acquisiscono
capitali, in una crescita vertiginosa, non pagando nulla in cambio.
Tassi zero per i bond e denaro quasi gratis poiché la Bce ha appena riavviato il quantitative easing (20 miliardi al mese senza
scadenza e taglio tassi) e la Fed è tornata a iniettare liquidità. Può durare e
durerà, ma nulla è eterno.
Per quanto riguarda l’azionariato si assiste
a un netto e crescente divario tra mercati finanziari e realtà economica. In
altri termini, il mercato azionario non va di pari passo con l’economia reale,
tutt’altro. Si tratta sempre più di un mondo a parte, di valori fittizi e però al tempo stesso potenza monetaria effettiva:
tutto ciò che facilita gli affari, facilita anche la speculazione, le due cose sono
così intimamente connesse che è difficile dire dove cessa l’affare e dove
comincia la speculazione.
Da inizio anno le quotazioni negli USA hanno
segnato + 24% circa, e + 23% in Europa, così la Borsa di Milano. Chiaro che c’è
qualcosa che non quadra in questa separazione tra prezzi azionari e valori
delle imprese. Diverse analisi di istituti finanziari riportati dai quotidiani
economici iniziano a definirla per
quello che sembra: una bolla che prima o poi rischia di scoppiare, innescando
un crollo dei mercati finanziari. Domenica scorsa, Il Sole 24Ore, con un articolo a firma di Morya Longo a pagina 9,
parla proprio di questo: le stime degli analisti sugli utili 2020 delle aziende
sono calate del 13% a livello globale, dell’8,6% in Europa, dell’8,6% a Wall Street e circa del 14% sulla Borsa di
Francoforte, eppure le Borse volano sui massimi.
Scriveva Longo: “se si guarda il commercio
globale (che a inizio 2018 cresceva a un ritmo quasi del 5% annuo mentre ora
non aumenta più), gli investimenti delle aziende a livello mondiale e la
fiducia delle imprese, il trend è sempre lo stesso: calo, calo, calo. E le Borse? Rialzo, rialzo, rialzo”.
Non si tratta di stabilire se scoppierà la
bolla finanziaria, ma quando ciò avverrà (se non si troverà l’accordo Usa-Cina,
o comunque a inizio del nuovo anno o tra un anno). Sarà un botto anche più
forte del 2008? È molto probabile.
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