mercoledì 13 novembre 2019

Dovrò quindi rimproverare i fiori di glicine


Se avete apprezzato, che so, I miserabili di Hugo, oppure Port Royal di quell’”imbecille” Sainte-Beuve (il complimento non è mio), allora La storia di Genji, l’opera suprema del canone classico nipponico, potrebbe deliziarvi fino al punto da farvi balenare l’idea, non solo bizzarra ma temeraria, di cimentarvi con la lingua giapponese.

Il volume einaudiano a vederlo mette soggezione poiché consta (in edizione economica, esiste anche in due volumi in ediz. di pregio) di 1235 pp. in corpo 11, più circa 150 pp. di note in corpo 6, il tutto preceduto da XLVII pp. d’Introduzione. Opera in prosa, ma intercalata di meravigliose strofe poetiche, tradotta dal giapponese da Maria Teresa Orsi, è composta da 54 capitoli redatti durante il periodo Heian (*), scritta da una nobildonna nipponica, Murasaki Shikibu, dama di corte (sulla biografia, l’Introduzione, p. XLIV e sgg). L’autrice scriverà anche un breve diario e una raccolta di poesie.


Si tratta, come detto, della massima espressione del canone letterario nipponico e di una delle opere più significative della letteratura mondiale. Riguarda la vita, dall'infanzia alla morte, di un principe della corte reale di nome Genji, nell’ambito della sua famiglia e dei suoi conoscenti. L’opera è incentrata sul palazzo imperiale e sulle case aristocratiche nell’antica capitale Heian-kyō, ossia nel sito della moderna Kyoto (la città che, nubi permettendo, doveva essere il bersaglio atomico al posto di Nagasaki).

Sono raffigurate le vite domestiche della classe dirigente giapponese dell'epoca e la cultura complessa e sottile che fu sviluppata nell’ambito di un ordine sociale assai rigido ma descritto con delicatezza e grazia. Una caratteristica notevole di La storia di Genji è la sua sensibilità verso il mondo naturale: fiori, alberi, il vento e la pioggia, il sole e la luna, il mutare delle stagioni, svolgono un ruolo significativo nel modo in cui i personaggi comprendono le loro relazioni e le proprie emozioni.

Si ritiene che l’opera sia stata scritta tra il 1000 e il 1012, ma il lavoro di trascrizione è del poeta e calligrafo giapponese Fujiwara no Teika (1164 - 1241). Le sue trascrizioni dei capitoli precedono qualsiasi altra versione di Genji di 300 anni. Finora si riteneva si fossero conservati solo quattro capitoli originali di tale trascrizione.

Il mese scorso il Reizeike Shiguretei Bunko, ossia la fondazione per la conservazione del patrimonio culturale giapponese, ha annunciato la scoperta della più antica copia scritta di un altro capitolo di Genji, dunque un quinto capitolo originale della trascrizione (denominato Wakamurasaki), cioè quello in cui è descritto l’incontro del protagonista, il figlio dell’Imperatore giapponese, con la sua futura sposa. Secondo il Guardian, la fondazione ha detto che il manoscritto ritrovato per lo più corrisponde alla versione nota, con alcune differenze grammaticali.

Sembra che questo capitolo inedito sia stato ritrovato nel ripostiglio della casa di Tokio del 72enne  Motofuyu Okouchi, discendente di un antico clan di samurai, del dominio feudale di Yoshida (da non confondere con il distretto di Yoshida della prefettura di Fukui) incentrato sull’omonimo castello nella città che oggi è Toyohashi, nella prefettura orientale di Aichi. Appartiene alla sua famiglia dal 1743, cioè da quando fu tramandato dalla famiglia Kuroda del dominio feudale di Fukuoka, nella provincia di Chikuzen. La calligrafia del testo (122 pagine) e la copertina, simili a quelle dei quattro capitoli già riconosciuti, sembrano confermare l’attribuzione a Teika.

Di più non dirò, non voglio rovinarvi il piacere di scoprirlo.


(*) Il periodo Heian (794-1185) fu, almeno al suo inizio, significativo per il suo vasto prestito culturale dalla Cina, governata dalle dinastie Tang e Song. Tuttavia al momento della composizione di La storia di Genji, il Giappone si era spostato verso un maggiore isolamento culturale in cui le tradizioni native giapponesi avevano cominciato a riaffermarsi. È il periodo in cui il buddismo si diffuse in tutto il Giappone e i personaggi dell'opera hanno una visione distintamente buddista. Solo agli uomini era permesso leggere e scrivere in cinese e le donne, incluso Murasaki, componevano in lingua giapponese usando la scrittura autoctona conosciuta come kana.

La scrittura in Giappone fu introdotta solamente intorno al V secolo e.v., ovvero molto in ritardo rispetto alla nascita degli ideogrammi cinesi. I giapponesi adottarono inizialmente la scrittura cinese cercando di adattarla alla grammatica e alla fonetica autoctona.

1 commento:

  1. Ma porca miseria, a ottant'anni ancora devo finire la Recherche e mi suggerisci 1235 pagine di roba giapponese?
    Ma neanche per sogno. Io sono razzista, nel senso che tutto quello che sta a Est dell'Adriatico mi da' l'orticaria. Israele compreso (vedi "Fuori dall'occidente" di Asor Rosa).
    P.S. Il Sushi fa schifo.

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