domenica 10 novembre 2019

Pollo e spaghetti (o polenta)


Stamani, alla radio di Stato, sentivo il giornalista di turno affermare che la responsabilità del montante nazionalismo andrebbe ricondotta al forzato internazionalismo dell'Unione Sovietica imposto ai paesi dell'Est. 

Gli ideologi si stanno prendendo avanti col lavoro, salvo poi stracciarsi le vesti per il diffuso neofascismo, come se anche questo non fosse il risultato della crisi del sistema e dello sdoganamento avvenuto dopo il 1989.

Più pericoloso del neofascismo è il criptofascismo, e massimamente colpevoli coloro che gli offrono tribuna mediatica e se ne fanno interlocutori. 


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"È del tutto sbagliato credere che all'improvviso lo Spirito Santo fosse sceso nelle piazze di Lipsia e avesse cambiato il mondo", ha confidato l'allora cancelliere tedesco Helmut Kohl nel 2001 al suo biografo Heribert Schwan.

Tre settimane prima della “caduta” del muro, il comitato centrale del SED rovesciò Honecker e lo sostituì con Egon Krenz e poi con Hans Modrow. Insomma, la “rivoluzione” era già cominciata all’interno dei palazzi del potere.

Ciò che infastidiva di più la classe media (pastori protestanti, avvocati, docenti e artisti) del sistema della DDR, non era tanto l'oppressione politica, ma il fatto che mancassero delle redditizie opportunità di carriera quali quelle offerte alle loro controparti in Occidente. Per esempio, Angela Merkel, attuale cancelliere, e Joachim Gauck, poi presidente della Repubblica federale, hanno iniziato la loro carriera politica a est (*).

Da questo punto di vista certe vicende storiche si prestano a letture meno retoriche e celebrative.

(*) Il predecessore di Joachim Gauck, Christian Wulff, dovette dimettersi per vicende giudiziarie legate a un finanziamento. Il predecessore di Wulff, Horst Köhler, fu a sua volta dimissionario per certe sue dichiarazioni; era stato direttore amministrativo del Fondo monetario internazionale ed è membro della commissione trilaterale.

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I due protagonisti del recente e molto noto film Green Book, quando sono in viaggio negli States, che cosa mangiano? Panini al pollo fritto, naturalmente. Il proletario autista bianco introduce alle delizie del pollo fritto il suo ricco datore di lavoro afroamericano. Il quale a sua volta lo educa a civici comportamenti in pubblico. Il rovesciamento semantico di uno stereotipo che però ha poco a che vedere con la realtà. Prova ne sia un articolo dedicato alla popolarità tra gli afroamericani del panino al pollo fritto della catena di fast food di Popeyes, molto presente nei quartieri afroamericani, nel quale il New York Times dimostra lo stigma razzista che, anche se involontario, pervade il nostro mondo.

L’articolo paragona il sandwich di pollo Popeyes a uno di Chick-fil-A (altra catena di cibo specializzata in piatti di pollo), secondo il quale quest'ultimo ha il sapore come se fosse stato realizzato “da una donna bianca di nome Sarah che è cresciuta con dei vicini neri”, mentre il panino di Popeyes ha il sapore “come se fosse stato cucinato da una vecchia signora nera di nome Lucille”.

La differenza, deduco, sta nel diverso modo di speziare il cibo. In ogni caso si tratta di cibo spazzatura con debordante contenuto di grassi saturi, così come avviene mediamente per la dieta di tipo americano e il fast food.

Tradizionalmente il pollo fritto e i fritti in generale sono alimenti molto comuni tra gli afroamericani, anzitutto perché si tratta di un genere di cibo tra i più economici. Da ciò però non si può inferire che i neri sarebbero un gruppo etnico omogeneo di amanti del pollo fritto, uno stereotipo che li accompagna come quello che accomunerebbe gli italiani per gli spaghetti e il mandolino.

3 commenti:

  1. anche una suola di scarpa è bona fritta..

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  2. ...ci vuol coraggio a mangiare i panini col pollo fritto.
    annoto comunque che in cina va alla grande.

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