Stefano Quintarelli, Capitalismo immateriale. Le tecnologie digitali e nuovo conflitto
sociale, Bollati Boringhieri 2019, euro 16.
«Internet è una cosa molto reale. Nel XXI
secolo è la sede della dimensione immateriale del mondo che è la maggiore base
delle relazioni sociali ed economiche delle persone e delle aziende».
Si può iniziare a scrivere un libro anche
peggio di così, ma bisogna impegnarsi. Più che con il computer, il libro sembra scritto da un computer. Un libro denso di truismi che si rincorrono l’un l’altro,
del tipo:
«Resta tuttavia indubbio le società sono
plasmate dalla tecnologia».
D’accordo, ma un qualunque chierico borghese
potrebbe obiettare che in tal modo si avvilisce la vita umana al rango di una mera
rappresentazione materiale, pertanto sarebbe da evitare di assumere apoditticamente
che tutti i mutamenti sociali siano i sottoprodotti automatici dello sviluppo
tecnologico, altrimenti ripiombiamo nel materialismo feuerbachiano: l’uomo è
ciò che mangia.
Come possiamo credere che l’antica società
egizia sia stata plasmata dalla tecnologia più ancora che dalle condizioni
naturali? E quella romana antica lo fu sicuramente molto di più dalle conquiste
territoriali, dal costituirsi della grande proprietà fondiaria e dalla
disponibilità di schiavi. Quindi l’enorme impatto che ebbe l’espansione europea
dei secc. XV-XVI. Inoltre e senza nulla togliere al ruolo centrale svolto dalla
scienza e dalla tecnologia nello sviluppo dell’economia moderna, non va
sottaciuto il cambiamento apportato nella storia mondiale dalle grandi
rivoluzioni come quella americana, francese, russa e cinese.
Scienza e tecnologia, e dunque l’attività umana
quale fattore materiale fondamentale di trasformazione, sono indubbiamente il
motore dello sviluppo economico moderno, ma in tal senso non va trascurato che
ancor oggi la scelta degli oggetti e degli obiettivi della scienza e più ancora
della tecnologia ha un netto carattere di classe, tanto è vero che il progresso
delle tecniche capitalistiche di produzione non ha lo stesso significato per la
classe lavoratrice e i suoi sfruttatori.
Scienza e tecnologia non godono quindi di un particolare statuto di neutralità rispetto ai rapporti sociali. Gli ideologi borghesi vogliono eludere il carattere di classe del loro punto di vista, e farci adottare il loro significato di progresso sociale, ma in tal modo i salariati possono assumere il punto di vista borghese a condizione di negarsi in quanto negazione vivente del capitale.
Scienza e tecnologia non godono quindi di un particolare statuto di neutralità rispetto ai rapporti sociali. Gli ideologi borghesi vogliono eludere il carattere di classe del loro punto di vista, e farci adottare il loro significato di progresso sociale, ma in tal modo i salariati possono assumere il punto di vista borghese a condizione di negarsi in quanto negazione vivente del capitale.
Scrive ancora l’autore: «Non si può sfuggire
al futuro. Qualsiasi esso sia». “Qualsiasi” vale finché ci comporteremo come
una colonia di topi. Cent’anni fa l’umanità sapeva che il passato conteneva
Gengis Kahn, ma non sapeva ancora che il futuro contemplava un Hitler. Mettendoci
un po’ d’impegno poteva evitarlo.
È quello di Quintarelli un libro che in
realtà non parla del capitalismo se non in senso lato (il titolo serve per
“acchiappare”), ma in compenso abbonda di fuffa. Da questo lato si potrebbero
scegliere molti esempi, mi limiterò a questo:
«Nella dimensione materiale del mondo
produrre costa. Sia che dobbiamo produrre pomodori o automobili, abbiamo
bisogno di materie prime, energia, lavoro e capitali». Lo stile, come detto, è
quello che è. Per contro l’autore dice: «Nella dimensione immateriale produrre
costa, ma costa generalmente meno dell’analogo fisico».
Va da sé, che nella dimensione immateriale
non si producono né automobili né pomodoro. Dunque i “costi” dipendono da molti
fattori, anzitutto da che cosa e come si produce. E ciò vale anche per la
riproduzione, l’archiviazione (stoccaggio) e il trasferimento di tutti gli
oggetti materiali dei quali è costituita la nostra vita quotidiana. Su questo
fatto non ci piove e l’autore ammette con incomparabile arguzia immateriale che “la larghezza non è
alternativa alla lunghezza”.
Soggiungo che ciò vale per ogni epoca: come
tutti sanno un tempo per mandare un messaggio da una località ad un’altra era
necessario il servizio postale o simili, magari occorrevano giorni a cavallo o anche
mesi di navigazione per far giungere una lettera a destinazione. Con il telegrafo
le comunicazioni divennero enormemente più veloci, meno materiali e più
immateriali. E ciò in assenza di internet, la nuova tecnologia che ha reso le comunicazioni
istantanee in qualunque luogo ci si trovi.
Scrive Quintarelli a pagina 31: «Esistono
beni che sono solamente immateriali senza dimensione materiale o viceversa».
Questa distinzione “dimensionale” percorre tutto il libro come tesi
fondamentale: «un prodotto non è solo la sua istanza materiale, ma anche il
complesso di beni e servizi che costituiscono parte integrante di quel
prodotto: una camera d’albergo è in larga misura di servizio di
commercializzazione prenotazione, oltre che la camera insieme in sé, il
servizio di portierato e la colazione. […] Discorso identico per i materassi,
che inoltre aiuteranno dormire meglio e a controllare alcuni aspetti della
salute grazie miriadi di sensori e agevolazioni intelligenti della temperatura».
Anche in un’epoca in cui c’era il telefono a
gettoni, si potevano prenotare le camere d’albergo a distanza e in tempo reale;
anche allora una merce o un servizio non erano solo rappresentati dalla loro “istanza
materiale”. Un materasso a molle è sicuramente meglio di un giaciglio di sola
paglia, a prescindere dai sensori e dai regolatori della temperatura che
costituiscono altrettanti progressi tecnologici. Pertanto tutte queste
distinzioni tra materiale e immateriale ci ricordano ciò che è abbondantemente
risaputo, ossia che le tecnologie migliorano la nostra vita e velocizzano l’informazione.
Dalle navi a vela a quelle a vapore il passo è stato enorme; dal cavallo al
treno, sconvolgente.
Ma prima ancora di avere un impatto, non
solo positivo, sulle nostre vite, la scienza e la tecnologia, interiorizzandosi
nel capitale, operano secondo le leggi di quest’ultimo: operano per la
produzione di plusvalore, ossia per la massima valorizzazione del capitale.
Ma tale “cambiamento è drastico – osserva
l’autore – perché procede in tempi velocissimi, lo sviluppo dell’economia immateriale
è stato repentino” (p. 186). D’accordo, ma già alle nuove generazioni tale
cambiamento sembra meno repentino che a quelle più anziane, perciò già oggi si
dà per scontato l’uso del cellulare per un sacco d’impicci.
Certo, internet costituisce una rivoluzione
epocale, non meno della stampa a caratteri mobili, e quest’ultima ha
rappresentato un’evoluzione necessaria, senza la quale internet non sarebbe mai
comparso. Insomma, grande rivoluzione, ma non enfatizziamo. Nuovi problemi
vanno a sommarsi a quelli più vecchi e antichi, così come le contraddizioni
alla base dell’economia capitalistica sono tutt’altro che scomparse, i loro
effetti si fanno anzi sempre più evidenti e destabilizzanti, tanto che vedo ciò
che ci aspetta come la pira funebre della società borghese.
Bisognerebbe invece chiedersi se, spazzate
via con le nuove tecnologie le radici storiche di una cultura, a quali
conseguenze andiamo incontro. Quando non si porti con sé una misura sufficiente
del passato, quindi laddove solo il presente diventi importante, si preparano
nuove tragedie (e già lo vediamo con il nichilismo antistorico montante). Chi
conosce solo il presente, o crede di conoscerlo, non sa nulla di ciò che sta
realmente accadendo adesso e ciò che sta per succedere.
Grazie Olympe,per farci stare sempre sul pezzo.
RispondiElimina;-)
Elimina“Il sistema capitalistico si presenta come una continua produzione di bisogni, i quali non sono naturali, ma prodotti socialmente, poiché il consumo è mediato dall’oggetto, dalla sua vista, che genera un bisogno.
RispondiEliminaIn un contesto in cui la realizzazione di sé viene a coincidere con il consumo, l’unica identità è lo scambio e la valorizzazione economica, il successo e la competizione. E nasce una cultura che non ha più valori e che per la costruzione del legame sociale punta solo sullo scambio dei beni e del consumo, una cultura in cui tutto può essere negoziato perché niente è veramente importante. Il consumo come “way of life”.
Se l’emancipazione consiste nell’accesso al consumo, questo ideale può essere conseguito all’interno del sistema capitalistico, e non implica pertanto alcuna politica antagonista e alcun soggetto collettivo: implica la fine della politica, se politica significa l’accadere di eventi di trasformazione dell’esistenza collettiva”
Da Consumo e Potere di Vincenzo Costa
Matteo 4, 4
Eliminaad ogni modo ne riparliamo quando i nodi verranno al pettine
Efficacissima sintesi nell'ultimo paragrafo
RispondiEliminaForse perchè la Storia tende a ripetere sè stessa?
Un caro saluto
Roberto
ciao Roberto
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