mercoledì 27 novembre 2019

Il pianeta dei calamari



Gli eventi meteorologici estremi dell'ultimo decennio sono solo i precursori di tempeste molto più devastanti, di ondate di calore più prolungate, di siccità più secche e incendi ininterrotti. Le barriere coralline di tutto il mondo moriranno, eliminando parti significative della catena alimentare. Lo scioglimento dei ghiacci perenni e l'innalzamento del livello del mare provocherà inondazioni su tutte le città costiere del pianeta, almeno un milione di specie terrestri morirà e porzioni su scala continentale della superficie del mondo diventeranno inabitabili.

Non sono le scene di un film catastrofista, ma ciò che ci aspetta in un prossimo futuro se continuerà lo scongelamento del permafrost presente in Russia, in Canada e sotto l'Oceano Artico (Mare di Barents). Migliaia di gigatoni di metano immagazzinato nel suolo, un gas serra quasi 80 volte più dannoso del biossido di carbonio.




Di tutto ciò il Rapporto, pubblicato questa settimana, dal Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, non parla. E tuttavia il rapporto pone particolare enfasi sul fatto che i venti paesi più ricchi del mondo (G20) rappresentano il 78 per cento delle emissioni globali di gas serra: si tratta dell'Unione Europea, Stati Uniti, Cina, India e Russia. Chiede “trasformazioni radicali” nella produzione di energia e nel settore industriale, trasferendo la produzione di energia dal carbone e dal petrolio a fonti di energia solare, eolica, di marea, geotermica e altre rinnovabili.

In altri termini, le Nazioni Unite riportano che il 70 per cento di tutte le emissioni di gas a effetto serra proviene da 100 grandi aziende, multinazionali che hanno come obiettivo primario e praticamente esclusivo quello di arricchire i propri dirigenti e azionisti. Per citare, alla British Petroleum (BP), sono più preoccupati del “potenziale impatto finanziario” della limitazione delle emissioni di carbonio rispetto alla salute del pianeta e di coloro che ci vivono, come del resto dimostra la vicenda della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nelle acque del Golfo del Messico in seguito alla mancata manutenzione riguardante il Pozzo Macondo.

L’unico modo, se non è già troppo tardi, di limitare i danni sarebbe quello di attuare una ristrutturazione globale dell’industria energetica mondiale, pianificata scientificamente, per passare dalla dipendenza dai combustibili fossili alle energie rinnovabili. Ciò a sua volta comporterebbe una trasformazione della stessa scala nei trasporti, nella logistica, nell'agricoltura e in definitiva nella società nel suo insieme. Tali cambiamenti supererebbero necessariamente i confini nazionali, i profitti delle società e gli interessi di sicurezza nazionale, tutti elementi del modo di produzione capitalistico: la divisione del mondo in stati nazionali rivali e la subordinazione della vita economica all'accumulazione del profitto privato.

Quanti di noi umani sono realmente interessati a un simile cambiamento, e quanti invece, pagando il giusto prezzo delle nostre follie e crudeltà, preferiscono lasciare il posto ai calamari? È una domanda non retorica alla quale siamo chiamati a rispondere tutti.

2 commenti:

  1. senza interventi eccezionali, come investimenti massicci sulla fusione nucleare , invece che sulle armi(1822 miliardi di $ solo nel 2018), avverrà "deterministicamente" la fine dell'umanità.

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  2. Secondo me nelle ultime centinaia di milioni di anni ci sono state innumerevoli glaciazioni e altrettanti scioglimenti dei ghiacci. E senza che ci fossero industrie inquinanti. Con questo non voglio negare i mostruosi danni che la produzione di energia arreca al pianeta. Però sicuramente piante, batteri e gran parte degli animali sopravviveranno. I dinosauri si sono estinti, forse per la caduta di un meteorite, ma altri animali ne hanno preso il posto. Forse Homo sapiens (!) si estinguerà ma la vita continuerà sotto altre forme. E comunque si tratta di un insignificante fenomeno locale di un piccolo pianeta di una stella di media grandezza fra altri cento miliardi di stelle della nostra galassia, che è solo una fra i cento miliardi di altre galassie.

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