venerdì 23 settembre 2016

La disuguaglianza dev’essere ragionevole



Uno degli errori più comuni quando si misurano le disuguaglianze sociali è quello di prendere a riferimento i più ricchi. Come se il padrone di un’azienda con 100 operai – ossia lo sfruttatore del lavoro di 100 operai, ma anche solo di 20 – possa trovarsi nella stessa situazione di qualsiasi dei suoi 100 operai. Quel padrone non fa parte di quell’uno per cento di cui parlava Joseph Stiglitz, ma del famoso 99 per cento che non può vantare decine di milioni o miliardi.

Premi Nobel e ideologia servono proprio a questo: confondere le cose. In questo modo si riesce a trasformare il padrone e l’operaio, la moglie del padrone e la sua cameriera, il direttore del Sole 24ore e lo scribacchino di redazione, il proprietario fondiario e il raccoglitore di pomodoro, come parte di un tutt’uno, di quel 99 per cento.




Non potendo negare la disuguaglianza sociale, si tende a creare una nuova coesione inverosimile tra proprietari e i loro schiavi, a creare un nemico ineffabile, quell’uno per cento con il quale davvero in pochi hanno contatto diretto. Sono così smisurati, così occulti quei ricchissimi, che è possibile dire che tutti gli altri hanno qualcosa in comune: non essere loro.

Non solo, in questo modo si raggiunge anche un altro fondamentale obiettivo, ossia quello di considerare la proprietà privata come qualcosa d’ineludibile e di naturale. Pertanto è realistico accettare questo stato di cose. Si arriva a parlare persino di uguaglianza delle opportunità, di merito e altre scemenze. Non ci si rende conto che la proprietà è il substrato di ogni rapporto, che modella tutta l’articolazione dei rapporti sociali. E dunque va tutto bene, salvo non esagerare, come direbbe papa Francesco. La disuguaglianza dev’essere ragionevole, dice la dottrina della Chiesa.

L’appartenenza a una classe sociale non è data semplicemente dal reddito, ma dal posto che si occupa nella divisione sociale del lavoro. È il posto che ogni individuo occupa all’interno della divisione del lavoro che determina la sua proprietà e dunque la sua collocazione di classe. I singoli individui che formano la classe sociale degli sfruttati hanno un interesse comune nella lotta contro la classe dei loro sfruttatori; per il resto essi, come singoli individui, si ritrovano l’uno contro l’altro come nemici, nella concorrenza.

La borghesia queste cose le ha imparate benissimo, e sa bene di che cosa parla quando parla di uguaglianza. Quella giuridica tra proprietari. E sa bene che una classe è classe per sé solo quando si contrappone soggettivamente ad un’altra classe. In ogni sua parola, trasmessa dai suoi ventriloqui, prezzolati o inconsciamente volontari, essa lotta per mantenere l’attuale sistema economico-politico dominante.



8 commenti:

  1. Quello che scrivi è vero ma forse solo in parte. Marx, quando parlava di borghesia (ad esempio nel "Manifesto") intendeva soprattutto "grande borghesia". E se è corretto dire che l'appartenenza di classe deriva dalla particolare collocazione nella divisione sociale del lavoro allora non si può non riconoscere che per quanto odioso sia anche lo sfruttamento del padroncino evasore non può comunque essere paragonato a quello delle "Goldman Sachs". C'è una divisione sociale del lavoro anche all'interno del campo del capitale. Dopodiché, molto condivisibili le affermazioni che fai sul trabocchetto dell'1% (che in effetti pare che ci sia un'ultra elite inarrivabile e con tutti gli altri "siamo fratelli") e anche quello della classe per sé come espressione di un porsi "soggettivamente", consapevolmente, contro il capitale, fuori da ogni logica spontaneistica.

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    1. Dal Manifesto:

      La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.

      Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia, per premunire dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi. Quindi non sono rivoluzionari, ma conservatori. Anzi, sono reazionari, poiché cercano di far girare all'indietro la ruota della storia.

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    2. Ma sono scomparsi questi "ordini medi"? Io vedo ancora piccoli commercianti, artigiani, piccoli industriali... Non mi pare la citazione più appropriata per appoggiarsi a Marx. In ogni caso, il carattere "reazionario" (o "romantico" come lo avrebbe definito Lenin) delle posizioni di questi settori non li rende paragonabili al grande capitale in quanto a capacità di incidere nei processi fondamentali che dominano la nostra vita. Ovviamente non sottovaluto la disponibilità storicamente mostrata dalle piccole borghesie ad appoggiare fascismi, nazismi e altre schifezze di tal genere.

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  2. L'aggettivo 'ragionevole' è plastico. Da Karl Marx di Engels - 1978:
    [..] le forze produttive della società,sfuggite al controllo della borghesia,attendono soltanto che il proletariato unito se ne impadronisca per creare una situazione in cui a ogni membro della società sia possibile partecipare non solo alla produzione ma anche alla distribuzione....[..] da assicurare a ognuno in misura sempre crescente il soddisfacimento di tutti i bisogni 'ragionevoli'.
    (non ho il testo a fronte e non so se trovo in originale angemessen)
    Bisognerebbe capire cosa intendono la dottrina della chiesa e Engels per ragionevole, forse non sono la medesima cosa e in che cosa consista comunque il suo limite intrinseco.
    Ritengo valida la distinzione di Antiper tra il 'piccolo imprenditore di se stesso' e George Soros (ammesso e non concesso che possa considerarsi un imprenditore); rimane il fatto che nel momento in cui molti operai, frequentati in molti anni, hanno fatto il passo, il piccolo passo da imprenditori, o sono falliti o dato, il nuovo ruolo sono, rientrati nella ineludibilità della proprietà privata.
    Cooperative comprese.

    Per tutto il resto, ca va sans dire, è così. L'egoismo resta comunque sovrano,sarà forse opportuno stabilire una sua tassonomia.
    (mentre scarso, scarsissimo,quasi inesistente nell'universo il senso dell'ironia)

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    1. Antiper, qui sopra, non scrive di 'piccolo imprenditore di se stesso', ma di "sfruttamento del padroncino evasore". Già la cosa cambia un poco.

      Lo scritto di Engels che contiene un profilo biografico di Marx è del 1877, pubblicato l'anno successivo. Engels non parla di bisogni ragionevoli, ma di "rationellen Bedürfnisse", locuzione letterale che dà il senso esatto di che cosa intendeva dire.

      a me pare che entrambi non abbiate compreso né la lettera né il senso del mio post.

      ad ogni modo grazie per essere intervenuti.

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  3. Bah..a me invece sembrava chiarissimo !!!

    ...per il resto essi, come singoli individui, si ritrovano l’uno contro l’altro come nemici, nella concorrenza.

    caino

    rivedersi i concetti di classe in sé e per sé,e altre cosette tipo rapporto oggetto-soggetto, movimento storico e dialettico ed infine contraddizioni insopprimibili del capitalismo ,che piaccia o meno stanno raggiungendo le logiche conclusioni. Basta guardarsi intorno.
    Poi si può rientrare finché si vuole nella ...
    ... " ineludibilità della proprietà privata",
    ai fini dello sviluppo storico e dialettico NON CAMBIA NULLA !

    AMEN

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  4. Se la proprietà privata è "naturale e ineludibile" allora anche la differenza fra ricco e povero è naturale e ineludibile. E contro la disuguaglianza la Chiesa, oltre a tollerarne una modica quantità, propone una sua soluzione: l'elemosina caritatevole.
    Scriveva Luigi Pintor: "La stratificazione sociale fra paesi, ceti e individui, in forma di lusso e miseria (ricchezza e povertà, dominio e servitù, superiorità e inferiorità) è considerata fisiologica e funzionale al buon andamento dell'economia. Perciò la carità evangelica o signorile riprende valore come strumento di compensazione. La fisosofia dominante, dopo la turbolenza delle rivoluzioni egualitarie e l'inconcludenza delle pratiche redistributive, è quella delle dame di San Vincenzo che di domenica servono volentieri la prima colazione alle mense dei poveri".

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