Leggo
che Bill Gates avrebbe dichiarato che il 95 per cento del suo patrimonio non
gli serve per vivere. Si sbaglia. Per campare assai bene gli basterebbe, ad
essere larghi, lo 0,1 per cento della sua ricchezza. Gates non dice che gran
parte della ricchezza accumulata è costituita da lavoro non pagato, soprattutto
di operai e tecnici che non sono mai stati alle dipendenze delle sue aziende.
Anche questa è una forma di redistribuzione (del plusvalore).
Sarebbe
bello se questi filantropi globali, che lucrano da mane a sera nella
cyber-economia, devolvessero parte delle loro ricchezze a chi arranca davvero la
vita. E se tutti pagassero le tasse in proporzione ai loro redditi. Sono in
molti a sostenere che in tal modo i problemi sociali che affliggono le nostre
società sarebbero in gran parte risolti. E invece delle disuguaglianze sociali
e di tante altre nequizie avremmo finalmente un capitalismo dal volto umano.
In
un libro pubblicato lo scorso anno (*), la buonanima di Luciano Gallino faceva
risalire la sconfitta dell’uguaglianza alla “doppia crisi, del capitalismo e
del sistema ecologico”. La crisi del capitalismo l’attribuiva all’incapacità di
vendere tutto quello che produce. Mi limito ad osservare: mai il mondo è
stato così tanto misurato, mai come nella nostra epoca è possibile conoscere e
censire ogni cosa, sapere cosa serve o non serve; pertanto non si tratta
dell’incapacità di vendere, ma del modo in cui si produce.
Per
quanto riguarda la disuguaglianza sociale, essa è la base su cui poggiano le
società di classe. Per quanto riguarda l’impiego delle risorse, è appena il
caso di rilevare che migliaia di miliardi di pubblico denaro sono destinati per
il salvataggio di banche che hanno perso fantamiliardi in arrischiate
speculazioni finanziarie e in crediti facili.
*
Gallino,
Stiglitz, Krugman, Piketty e molti altri economisti, sociologi e opinionisti, ritengono
che la questione cruciale della nostra epoca sia quella fiscale. La loro
critica al sistema si può riassumere in una breve frase: troppa ricchezza
rimane in (poche) mani private. Propongono sia tassata e distribuita meglio di
come avviene. Ritengono altresì che tale obiettivo sia raggiungibile con opportune
misure legislative in ambito locale e globale.
Resta
forte il dubbio che vi sia la volontà di percorrere la strada della riforma del
sistema fiscale e della cosiddetta lotta all’evasione/elusione (il caso Apple è
poco più che fumo negli occhi). Tuttavia poniamo il caso – facendo astrazione
da altre considerazioni (**) – che sia possibile raggiungere intese ed accordi sia
a livello europeo che internazionale in tema di regimi fiscali omogenei e di tassazione
dei profitti. Ciò indubbiamente avrebbe effetti sui bilanci statali, sulle
risorse disponibili per rilanciare l’economia attraverso investimenti pubblici
e nuova spesa sociale. Agendo sul cosiddetto “moltiplicatore”, ciò potrebbe
sortire effetti virtuosi e benefici, ma
solo per un certo periodo.
Tali
misure avrebbero però effetti anche sui bilanci aziendali, e non ci vuole molto
a capire che trasferire maggiori quote di plusvalore dalla sfera della
produzione alla spesa pubblica avrebbe infine effetti ancor più critici per
quanto riguarda gli investimenti, dirottandoli ulteriormente verso quelli
speculativi (***). Inoltre a farne le spese sarebbero i settori economici più
deboli a vantaggio delle multinazionali che potrebbero scaricare sui prezzi i
maggiori oneri fiscali.
Questo
ad ogni modo non ha nulla a che
vedere con le cause della crisi economica, che non riguardano la sfera della
circolazione bensì quella della produzione.
(*)
Il denaro, il debito e la doppia crisi,
Einaudi, 2015.
(**)
Bisogna tener conto che il grande capitale, ossia il capitale monopolistico
multinazionale, nel perseguire la realizzazione del profitto, riesce a
sovrapporre alla determinazione economica quella politica, con successo come
vediamo.
(***)
È bene precisarlo: non è in ballo la questione di quanto siano diventati più
ricchi i ricchi, anche se comprendo che tale faccenda appassiona e solletica il
dibattito. Se è pur vero che la massa dei profitti aumenta (e dunque anche i
patrimoni personali dei capitalisti e i redditi dei loro leccapiedi), è
altrettanto vero che l’accumulazione capitalistica avviene attraverso un
aumento continuo della composizione organica del capitale sociale: il rapporto
fra la parte costante (c) e la parte variabile (v) si sviluppa con un movimento
decrescente della parte variabile rispetto a quella costante. Si giunge così ad
una diminuzione del saggio generale del profitto, in quanto il plusvalore
cresce sempre meno del capitale complessivo (c + v). Quanto più si sviluppa
l’accumulazione, tanto più il saggio del profitto cade, in quanto la massa del
profitto, pur potendo aumentare in assoluto, aumenta in maniera insufficiente a
consentire la valorizzazione del capitale sempre crescente sulla base
precedente: l’estensione della produzione e la valorizzazione entrano in conflitto.
Il problema è che, a livello politico e intellettuale, le scoperte di Marx vengono ignorate o stoltamente irrise nello stesso identico modo di come, all'epoca, le élite politiche e intellettuali irridevano o ignoravano l'eliocentrismo.
RispondiEliminacredo che il paragone non sia azzardato
EliminaI filantropi semo noialtri chè se non ci avessimo tutta 'sta paura dell' horror vacui avremmo già da un pezzetto intravisto un' altra e logica combinazione sociale
RispondiEliminaci hai ragione tu.
Eliminaper lo schiavo antico era normale la sua condizione, nondimeno vale anche per quello moderno
Mao sosteneva che gli operai (ora anche quelli intellettuali) non sono altro che piccoli borghesi. Piccoli borghesi con pulsioni e desideri borghesi.Forse aveva/ha ragione.
EliminaPeraltro la creazione di uno stato di paura e di ansia è essenziale nel meccanismo della Propaganda, in quanto non solo elimina del tutto la razionalità ma permette di creare l'aspettativa della "salvezza".
Diceva l'omino di Altan,: 'preferisco il sogno all'utopia.Sognando almeno si dorme'