Nella
vecchia Europa i partiti tradizionali non vanno oltre il 20-25 per cento dei
voti, mentre aumenta l’astensione o il voto per i partiti di destra. È questo
un segnale inequivocabile di sfiducia, di rassegnazione per il presente e di
angoscia per il futuro. Pertanto, vedere un partito come Alternativa per la Germania prendere il 20 per cento dei voti, non
deve sorprendere. Se poi si tratta del 14 per cento alle amministrative di
Berlino, città di “sinistra”, fingere sorpresa è ancor più da ipocriti.
I
popoli europei sono in via d’estinzione, primi tra tutti gli italiani, e
nondimeno l’ondata migratoria dall’Africa e dall’Asia pone più problemi di
quanti ne risolva. La crisi che si
manifesta nel fenomeno della sovrapproduzione diffonde ovunque una povertà che
si era appena risolta. L’inesorabile procedere della venalità e del profitto
mette a sacco ogni cosa. Non c’è più traccia di valori morali nelle parole e
nei comportamenti.
L’Europa
politica non ha un progetto comune, se non quello di oliare i meccanismi
dell’accumulazione di capitale e si disinteressa del progresso sociale dei suoi
popoli. C’è una moneta comune, ma non una legislazione fiscale, e ogni paese
cerca per proprio conto di stimolare la produzione e l’espansione commerciale a
scapito di chiunque. I proprietari di azioni e di fabbriche acquistano e
rivendono compiaciuti, la disoccupazione giovanile è un dato strutturale, il
lavoro, quando si trova, è precario e malpagato, quando non si tratta di vero e
proprio caporalato.
E
non potrà che andare peggio senza poi andare meglio, schiacciati dalle
matematiche del profitto e laddove la finanza internazionale è padrona assoluta
delle nostre vite e ha stabilito con la società un rapporto da extraterrestre.
*
Non
c’è un solo economista che spieghi le crisi appartenenti al sistema
capitalistico se non con l’analisi “scientifica” dei suoi fenomeni considerati separatamente. E tali fenomeni sono quelli che
ricadono nella fera della circolazione. In questo modo non è colta la realtà
economica nei suoi presupposti e nel suo complesso, ossia nelle sue leggi
generali e nelle sue tendenze necessarie. Si parla di prodotto interno lordo,
di scambi e di cambi, quindi di moneta, di banche, di tassazione, di spesa
pubblica e di debito, di investimenti, ma non si arriva a toccare il tema dei
rapporti sociali entro i quali si produce, e anche quando assai raramente ciò
avviene, questa gente non spiega mai
in che modo questi rapporti vengano prodotti.
Non
c’è un solo economista, un solo politico, sociologo, statistico, opinionista, filantropo,
filosofo, che non abbia, almeno in cuor suo, da proporre una ricetta atta a
“riequilibrare” il sistema per farlo uscire dalla crisi. Queste ricette dell’equilibrio
e del buon governo non hanno nulla a che vedere con il modo in cui si produce,
fatte salve le ricette per “la decrescita felice”. E però tutte queste ricette,
comprese quelle che hanno per base la felicità di Latouche, non hanno nulla da
dirci circa i rapporti di sfruttamento.
Superfluo
interrogarsi sui motivi, ossia se si tratti di falsa coscienza, di difesa di
status e privilegi, oppure di altro. Da questa gente, in riferimento alla
schiavitù moderna, al massimo ci si può attendere un’opposizione etica. Essi peraltro sono sempre pronti a ricordarci
che le utopie del Novecento hanno prodotto immani tragedie, mentre ora viviamo
in sistemi democratici innocenti.
Per
contro vi sono coloro che non smettono di chiedere con ansia dettagli sul
“dopo”, come se potessimo prefigurare l’organizzazione della società futura
quando questa sarà nelle mani di una umanità libera dal dominio di un’economia
di rapina, sempre che non riesca ad annientarsi ed estinguersi prima. Se
consideriamo la società e la storia come processo, non c’è separazione tra il
movimento ed il suo scopo finale. Ebbe a scrivere ancor giovane Marx:
«Non
si tratta di ciò che questo o quel proletario, o addirittura l’intero
proletariato, si rappresenta talvolta
come scopo. Si tratta di ciò che esso è,
e di ciò che, in conformità a questo essere,
sarà storicamente costretto a fare».
Tra le fantasie sul dopo almeno questa (dopo 5 minuti troppo lenti all'inizio) è divertente:
RispondiElimina"Il pianeta verde" di Coline Serreau
https://vimeo.com/29255063
ciao, g
Non è affatto risolutivo nè consolatorio ma è possibile trovare altrettante lucide analisi sul web con riferimenti anche alle tesi marxiane. Almeno qualche opinionista meno schierato c'è.
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