In
base agli ultimi dati disponibili, risalenti al 2012, nel mondo si contano
circa 6,5 milioni di decessi legati all’inquinamento: ogni nove persone morte,
una è vittima dell’aria contaminata. Circa il 90 per cento delle morti per
inquinamento riguardano paesi a reddito medio-basso; i due terzi si registrano
nel sudest asiatico e nel Pacifico occidentale. Il 94 per cento dei decessi a
causa delle conseguenze dell’aria inalata – riferisce sempre l’Oms – è dovuto a
malattie come quelle cardiovascolari, ictus, broncopneumopatia cronica
ostruttiva e cancro ai polmoni. In Cina sono 1,03 milioni le morti
riconducibili all’aria cattiva. In India 621.000 e in Russia 140.000. In
Europa, sempre nel 2012, l’Italia — con poco più di 21.000 decessi — conta più
vittime rispetto a Regno Unito (16.000), Francia (11.000) e Spagna (6.800). E
oggi la situazione sembra essere addirittura peggiorata. L’inquinamento
continua a incidere soprattutto sulla salute di donne, bambini e anziani, con
conseguenze spesso imprevedibili.
giovedì 29 settembre 2016
mercoledì 28 settembre 2016
Una lunga vacanza
Problema
fondamentale che riguarda il ponte sullo stretto tra Calabria e Sicilia non
è quello legato alle difficoltà di ordine ingegneristico, né la spesa, sia essa di 8,5mld
oppure di 10 o 15 miliardi come sarà più probabile, né i tempi di
realizzazione, poiché il ponte in sé prima o poi verrà ultimato, né ancora il
rischio sismico, mareale o altro. Il problema vero sarà quello di dargli un
nome che metta d’accordo un po’ tutti o quantomeno non scontenti troppi.
Infatti,
non sarà possibile non intitolarlo a qualcuno o a qualcosa. E qui si presenterà
già una prima grana, non potendolo intitolare a un personaggio legato alla
Calabria o alla Sicilia. Il problema della rivalità mi pare evidente, e bisogna
evitare il rischio di barricate. Né la Calabria e la Sicilia potrebbero
accettare il nome di un personaggio estraneo per origine e storia alle due
regioni. E anche chiamandolo, poniamo, ponte Garibaldi, la questione aprirebbe
una diatriba, non solo locale, ma più in generale politica. Figuriamoci cosa ne
direbbero, per esempio, quelli della Lega; e anche altri mestatori della
politica e per spirito opposto. Personalmente credo il nome di Garibaldi fosse quello
in mente alla buonanima di Craxi. Pace. Anche il nome di un santo o di una santa fomenterebbe
uno scontro tra laici e cattolici, per non parlare di cosa direbbe l’UAAR. E
poi quale nome di santo metterebbe d’accordo i devoti?
martedì 27 settembre 2016
Non importa
E
il merito? Chiedono con ruffiano stupore le coscienze impollastrite e
soddisfatte di sé. Come se il merito riguardante il presente e il futuro di
questo paese c’entrasse qualcosa con l’architettura parlamentare. Dove vivono?
Non
importa se ad accalappiarsi la vittoria il 4 dicembre saranno i vecchi o i nuovi
notabili. Sarà da vedere se il popolo e il popolino ne hanno abbastanza, se un
senso di malessere ha guastato effettivamente ogni rapporto di fiducia, dunque
se dentro la gente si sta cominciando a produrre qualcosa di essenziale. Non essendo questi ceti
sociali in grado di unire le loro forze politicamente, potranno farlo almeno
nel comune scontento. Sarà pur sempre un primo passo.
lunedì 26 settembre 2016
Contro la stupidità del cosmo
Che
cos’è la stupidità e come difendersi dalle scemenze della vita quotidiana?
Piergiorgio Odifreddi per spiegarlo ha scritto addirittura un Dizionario della stupidità di ben 378
pagine. Secondo Odifreddi “Il novanta per cento delle persone è stupido”. Una
percentuale molto alta come fonte di “stupidaggini quotidiane”, ma al momento
non conosco i criteri statistici addottati dal noto matematico e divulgatore
scientifico.
Lo
stesso Odifreddi, pur non credendo alle scie chimiche e cose del genere, tuttavia
nell’intervista all’Huffington Post
afferma convinto: “Certo che si può vivere in un mondo senza banche. Per metà
del secolo scorso, l'Unione Sovietica ne ha fatto a meno”. Poi la butta sul
classico, anzi, sul medioevale: “Nel Medio Evo, era considerato usuraio
chiunque prestasse denaro, a qualsiasi tasso. Oggi il fastidio per i banchieri
è tornato a essere forte”.
domenica 25 settembre 2016
... nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!
Esiste
una moneta comune, quella che ti fa dire con nonchalance: un miliardo. Se il
governo dicesse, per ogni miliardo sciorinato, duemila miliardi (di lire), la
percezione, almeno quella, sarebbe diversa. E ben diversa sarebbe, da oltre un
decennio, la percezione della spesa quando per un chilo di pane ti chiedessero
oltre diecimila lire (ma quanto potrà mai costare un chilo di farina?). E quale
sarebbe la percezione se le nostre spese militari giornaliere fossero espresse in 92.940.960.000 con un debito
pubblico che sfiora i 5.000.000.000.000.000?
Chi
ha firmato e approvato per entrare nell’euro a queste condizioni – tanto più sapendo che
non sarebbe stato possibile e in nessun caso praticabile l’uscita senza un
bagno di sangue – dovrebbe oggi percepire una pensione corrispondente a non più
di 2.000.000 di lire il mese, anziché di 40.000.000, tanto per fargli
comprendere tangibilmente e con stile la differenza di cambio.
*
venerdì 23 settembre 2016
La disuguaglianza dev’essere ragionevole
Uno
degli errori più comuni quando si misurano le disuguaglianze sociali è quello
di prendere a riferimento i più ricchi. Come se il padrone di un’azienda con
100 operai – ossia lo sfruttatore del lavoro di 100 operai, ma anche solo di 20
– possa trovarsi nella stessa situazione di qualsiasi dei suoi 100 operai. Quel
padrone non fa parte di quell’uno per cento di cui parlava Joseph Stiglitz, ma
del famoso 99 per cento che non può vantare decine di milioni o miliardi.
Premi
Nobel e ideologia servono proprio a questo: confondere le cose. In questo modo
si riesce a trasformare il padrone e l’operaio, la moglie del padrone e la sua
cameriera, il direttore del Sole 24ore
e lo scribacchino di redazione, il proprietario fondiario e il raccoglitore di
pomodoro, come parte di un tutt’uno, di quel 99 per cento.
giovedì 22 settembre 2016
Elemento identitario comune (con aggiornamento)
È
bizzarro come, all’improvviso, inaspettatamente, qualcosa che sembrava
impossibile e nessuno vedeva evidente si è rivelato come per magia. La Camera,
in attesa della ratifica del Senato, ha proclamato “ufficialmente il vino come
patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico del Paese”. Il presidente di
Federvini, inebriato più del solito, ha dichiarato che “si è capita finalmente
e all'unanimità l'importanza del vino come elemento identitario del Paese”. Dal
canto suo, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, inzuppando un
cantuccio in un flûte di prosecco, ha intonato: “Con questo provvedimento
rendiamo il vino italiano sempre più forte”.
Tra
le novità inserite nel provvedimento è prevista una disposizione sulla
salvaguardia e il recupero dei vigneti specialmente nelle aree soggette a rischio
di dissesto idrogeologico o di particolare pregio paesaggistico. Dunque,
innanzitutto salviamo i vigneti, al resto provvederemo in caso di bisogno con
un sms di due euro a cranio. Inoltre è istituito dal Mipaaf, cioè dal
ministero, uno schedario viticolo contenente informazioni aggiornate sul
potenziale produttivo nel quale dovrà essere iscritta “ogni unità vitata idonea
alla produzione di uva da vino”. Pertanto, se avete un filarino d’uva dietro
casa non pensiate di farvi una damigianetta di Malbec o Syrah clandestino.
Pertanto non è vero che questo governo non ha fatto nulla. Oltre ai famigerati 80 euro, sui quali è campato Renzi finora, finalmente questo paese ha un elemento identitario comune: l’alcol.
Pertanto non è vero che questo governo non ha fatto nulla. Oltre ai famigerati 80 euro, sui quali è campato Renzi finora, finalmente questo paese ha un elemento identitario comune: l’alcol.
*
Dire che un determinato prodotto
alimentare rappresenti l’elemento identitario di un Paese, mi sembra una
forzatura. Il fondamentale elemento identitario di un paese, quello cioè che
maggiormente sottolinea il senso di appartenenza, è la lingua (compresi i
cosiddetti dialetti) e dunque la cultura. In questa trovano posto moltissimi
elementi, com’è ovvio, e indubbiamente anche l’alimentazione e le tradizioni
gastronomiche, che possono assumere anche una connotazione forte, ma per nulla tale
da costituire di per sé un elemento identitario del paese. Potremmo mai
sostenere che, tanto per esemplificare, la birra rappresenta l’elemento
identitario dei paesi germanici, il riso quello degli asiatici, il whisky
quello della Scozia, e dunque il vino quello dell’Italia? In quest’ultimo caso
i tedeschi hanno sempre avuto un altro stereotipo a riguardo degli italiani. Da
notare poi, che le maggiori estensioni di vigneti sono in Spagna (1,021 milioni
di ettari), in Cina (0,82 milioni di ettari, con una crescita di 34.000 ettari
nel 2015), e in Francia (0,78 milioni di ettari). L’Italia, nel 2010,
registrava 0,67 milioni di ettari, e in prospettiva storica, cioè dal 1982, perdeva
il 45% del suo vigneto. Il calo non si è arrestato, come conferma la tabella
qui sotto. Come l’Italia riesca a risultare il primo produttore di vino al
mondo è un altro paio di maniche.
Integrati
Guardate questa foto: l'unto regna sovrano già nell'ingresso. Immaginiamo la cucina, la toilette e il resto di questa trattoria. Questa è Roma, e c'è anche di peggio. Il sindaco Raggi aveva in questo caso un dovere preciso: chiamare i vigili per un controllo e far chiudere il locale. Invece a Roma non cambierà nulla o molto poco, sono perfettamente integrati nell'ambiente in cui vivono.
mercoledì 21 settembre 2016
Sua madre ...
In
Italia s’innova poco, e scarsi sono gli investimenti. Eppure, in piena rovina
neoliberale, abbiamo sottomano un’ottima opportunità per mettere in sintonia i
nostri bisogni – non importa si tratti di beni essenziali o di ossessioni edonistiche – con le
altrimenti modeste possibilità economiche. Non mi riferisco a trovate della spumeggiante
fantasia di politicanti poi reclamizzate da devoti opinionisti, ma a qualcosa
di assolutamente concreto: una materia prima da trasformare addirittura in
oggetti preziosissimi da vendere eventualmente sul mercato, oppure da dare in
pegno a Bruxelles in cambio di un po’ di spesa pubblica aggiuntiva. Che cosa si
tratti di valorizzare opportunamente è presto detto. Se è in picchiata la
natalità è invece in aumento la mortalità. In attesa dell’Istat, fidiamoci dei bollettini parrocchiali. Non ci mancano dunque i
cadaveri da trasformare in diamanti.
Non ci credete? Scrive l’autorevole quotidiano torinese La Stampa:
«I giapponesi fanno la fila. E così i
tedeschi, gli austriaci, gli svizzeri. Popoli diversi per latitudine, cultura e
religione, accomunati dalla pratica di cremare i defunti. Quando gli si propone
di fare un passo più in là, e di portare alle estreme conseguenze il processo
di cremazione, trasformando le ceneri del caro estinto in un diamante - cosa
che da una decina di anni è possibile in uno stabilimento in Svizzera - non si
tirano indietro scandalizzati. […] Se nel mondo si procede al ritmo di 800-900
diamanti umani all’anno, in Italia a malapena c’è una decina di casi. E la
società Algordanza non nasconde la delusione. «Siamo lontani dalle attese»,
riconosce l’amministratore delegato della consociata italiana, Walter Mendizza.»
Prosegue
l’intraprendente Mendizza:
«Per noi, la cosa peggiore è
l’abbandono dei defunti. Intendo i nostri cimiteri, luoghi senza alcuna grazia,
inadatti ad accogliere i nostri cari. Peggio ancora per la dispersione delle
ceneri in aria. Capisco l’aspetto romantico, ma siamo agli antipodi. Il defunto
deve essere sempre con noi, in un diamante che portiamo al collo o al dito». E
mentre parla, indica un diamante che porta al collo: “È mia madre”.»
Après
Après nous le déluge, sembrano dire quelli del governo e i suoi
sostenitori, citando una frase attribuita a madame Jeanne Antoinette Poisson.
Ed infatti, dopo l’inetto Luigi XV venne il povero Luigi XVI, che tanti debiti
fece per aiutare gli ingrati indipendentisti americani. Oggi ricorre il 224°
anniversario della proclamazione della prima repubblica francese. In Italia,
invece, la terza repubblica dovrebbe nascere tra alcuni mesi, non appena il
governo deciderà la data del referendum costituzionale. Sempre che al
plebiscito vinca il Sì. Se invece dovesse vincere il No, allora pioverà di
brutto e non saranno escluse inondazioni. Renzi potrà dire a sua volta: après moi le déluge! È l’incomprensione
che separa il genio dalla plebe. Gli rimarrà solo la stima lontana e
impersonale del mercato. Oppure nevicherà copiosamente fino alle quote basse,
le scuole resteranno chiuse e nelle farmacie saranno presto esaurite le benzodiazepine.
Tutto dipende, dunque, dalla data nella quale si andrà a votare e dall’esito
del voto.
martedì 20 settembre 2016
Un paese di valore ... aggiunto
Alle
mie latitudini non si dovrà attendere domani per l’autunno. Nella primavera
scorsa erano cominciati gli incontri tra governo e sindacati per sbrogliare la
matassa complicatissima (si fa per dire) delle pensioni, ossia per apportare qualche correttivo
alla famigerata legge Napolitano-Monti-Fornero. La riunione finale era stata
calendarizzata per la fine dell’estate, ossia per il 12 scorso, poi spostata al
primo giorno d’autunno per consentire a governo e sindacati di “lavorarci”.
Oggi si viene a sapere che l’incontro di domani è stato spostato al 27 di questo mese.
Forse, perché quello è il giorno della trasmissione della nota di aggiornamento
del Def, il Documento di economia e finanza, al Parlamento. In quella nota ci
saranno tutte le nuove cifre dell'economia italiana. Dunque che cosa contratteranno
mai i sindacati col governo in tema di pensioni che già non sia stato deciso dal governo stesso?
Pertanto,
si può star sicuri che per quella data non si definirà un bel nulla, e si
mangerà la zuppa preparata e offerta da via XX settembre. Prova ne sia, come anticipavo
la scorsa settimana e come conferma oggi Repubblica,
che “in buona sostanza non ci sarebbe
ancora nulla di scritto – un piano, dei numeri, qualche proiezione – da mettere
sul tavolo. Mancherebbe cioè la sostanza, dopo tante chiacchiere e indiscrezioni”
(*).
Un
paese di magliari e di buffoni, non c’è da meravigliarsi più di nulla. Un paese
in cui si paga un’imposta del 22 per cento per la carta con cui ci si pulisce
il culo. Sul valore aggiunto, appunto!
(*)
“Ma perché il vertice salta? Curiose le
giustificazioni. Per Palazzo Chigi il contrattempo è dovuto alle difficoltà
"di uno dei leader sindacali". No, è il governo ad avere
"problemi tecnici", trapela da fonti sindacali”.
Loci communes
Nell’ormai
lontano gennaio 2010, in uno dei primi post di questo blog, scrivevo che “La
quantità di tutto ciò che questa società ci impone e ci infligge ha già
superato la soglia oltre la quale ogni equilibrio faticosamente costruito viene
rotto con violenza”. Quanto ai problemi che ci troviamo ad affrontare, soggiungevo
che “oggi siamo giunti precisamente al punto in cui non è più possibile
risolverne nessuno senza risolverli tutti”. Questa riflessione, se si vuole
anche in sé banale, nel tempo ha trovato modo di farsi sempre più vera e attuale.
Abbiamo
di fronte una crisi economica che diventa ogni giorno di più crisi sociale
acuta, e dall’una e dall’altra, strettamente connesse, non si uscirà per vie
pacifiche. Crisi degli Stati nazionali, che un tempo erano proprietari di una
cospicua struttura produttiva e di una fitta rete comunicativa. Crisi politica
gravissima, laddove i partiti di massa, che per decenni avevano dominato la
scena, sono diventati, nel disincanto che diventa discredito pressoché generale,
meri comitati elettorali. È crisi degli organismi sociali intermedi, dal
sindacato alle corporazioni, delle Chiese e della scuola, e crisi irreversibile
dell’istituto della famiglia. Insomma, è in crisi profonda la società civile
organizzata per come l’abbiamo conosciuta.
Dati
gli attuali rapporti sociali e nel quadro geopolitico che si è venuto a
determinare nell’ultimo trentennio, la realtà s’incarica di dirci che nessun
cambiamento è ormai possibile, non senza terribili scosse. Abbiamo davanti a noi
due prospettive: quella di un conflitto armato generale e quella di una
rivoluzione sociale senza precedenti. È più difficile stabilire se questa
seconda prospettiva farà effettivamente seguito alla prima. Una cosa sembra
certa, qualcosa di nuovo e di sconvolgente accadrà molto presto, al massimo nel
prossimo decennio.
«A un dato punto del loro sviluppo, le
forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i
rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono
soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi
s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si
convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale.
Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente
tutta la gigantesca sovrastruttura.»
Marx,
sempre con questo maledetto vecchiaccio dobbiamo fare i conti, ci piaccia o no.
*
lunedì 19 settembre 2016
E non potrà che andare peggio senza poi andare meglio
Nella
vecchia Europa i partiti tradizionali non vanno oltre il 20-25 per cento dei
voti, mentre aumenta l’astensione o il voto per i partiti di destra. È questo
un segnale inequivocabile di sfiducia, di rassegnazione per il presente e di
angoscia per il futuro. Pertanto, vedere un partito come Alternativa per la Germania prendere il 20 per cento dei voti, non
deve sorprendere. Se poi si tratta del 14 per cento alle amministrative di
Berlino, città di “sinistra”, fingere sorpresa è ancor più da ipocriti.
I
popoli europei sono in via d’estinzione, primi tra tutti gli italiani, e
nondimeno l’ondata migratoria dall’Africa e dall’Asia pone più problemi di
quanti ne risolva. La crisi che si
manifesta nel fenomeno della sovrapproduzione diffonde ovunque una povertà che
si era appena risolta. L’inesorabile procedere della venalità e del profitto
mette a sacco ogni cosa. Non c’è più traccia di valori morali nelle parole e
nei comportamenti.
L’Europa
politica non ha un progetto comune, se non quello di oliare i meccanismi
dell’accumulazione di capitale e si disinteressa del progresso sociale dei suoi
popoli. C’è una moneta comune, ma non una legislazione fiscale, e ogni paese
cerca per proprio conto di stimolare la produzione e l’espansione commerciale a
scapito di chiunque. I proprietari di azioni e di fabbriche acquistano e
rivendono compiaciuti, la disoccupazione giovanile è un dato strutturale, il
lavoro, quando si trova, è precario e malpagato, quando non si tratta di vero e
proprio caporalato.
E
non potrà che andare peggio senza poi andare meglio, schiacciati dalle
matematiche del profitto e laddove la finanza internazionale è padrona assoluta
delle nostre vite e ha stabilito con la società un rapporto da extraterrestre.
*
domenica 18 settembre 2016
Il capitalismo che non piace a Renzi
Solo
poche settimane fa, Renzi si trovava insieme a Merkel e Hollande su una
portaerei nei pressi dell'isola di Ventotene, un vertice che aveva, secondo le
intenzioni, lo scopo di rilanciare l'unità europea dopo Brexit e piani di lunga data per
trasformare l'UE in un’alleanza militare, progetto bloccato fino ad ora dalla
Gran Bretagna con l'appoggio degli Stati Uniti. Per Merkel e Hollande si è
trattato di una vacanza a spese del contribuente italiano. Rientrati nelle loro
capitali, i loro ministri della difesa, Ursula von der Leyen e Jean-Yves Le
Dirian, hanno cominciato a fare sul serio senza l’Italia.
Ieri
l’altro, a Bratislava, Renzi ha rifiutato di partecipare alla conferenza stampa
finale con il cancelliere tedesco e il presidente francese e ha attaccato il documento
partorito dal summit dichiarando apertamente il suo disaccordo sui temi
dell’economia e dell’immigrazione. Una fonte del governo tedesco, alla
richiesta di un commento sulle parole di Renzi, ha dichiarato all'Ansa che “l'agenda
dei prossimi mesi è stata approvata all'unanimità”. Poi la fonte del governo
tedesco ribadisce: “la roadmap ieri è stata condivisa e concordata da tutti e
27”.
Renzi
ha anche attaccato frontalmente la Germania: “Così come i Paesi devono
rispettare le regole del deficit, allo stesso modo si devono rispettare altre
regole, come quella sul surplus commerciale. E ci sono alcuni Paesi che non la
rispettano, il principale è la Germania”. Ha sostenuto che se i tedeschi
portassero il loro surplus commerciale, oggi al 7,6%, entro i limiti europei
del 6%, ci sarebbero circa 38-40 miliardi di euro di investimenti da fare in
Italia (*).
Renzi,
al quale è stato proibito di mettere altra marmellata sul piatto del referendum
e delle “riforme”, si duole della politica di potenza della Germania e più in
generale di come funziona il capitalismo.
(*)
La Germania nel 2013 ha avuto un surplus commerciale pari 197,6 miliardi di
euro, nel 2014 di 213,6mld e l’anno scorso il record di 247,8mld. Negli Stati
membri dell'Unione europea (UE), nel 2015, la Germania ha esportato merci per
un valore di 693.9 miliardi di euro, ed importato per 621.6 miliardi di euro. Rispetto al
2014, le esportazioni nel 2015 sono aumentate nell’insieme dei paesi UE del
7,0% e le importazioni da quei paesi del 4,5%. Nei paesi della zona euro nel 2015 le esportazioni sono
state per un valore 435 miliardi (+ 5,9%) e le importazioni per un valore 426,5
miliardi (+ 3,8%). Nella UE non euro,
nel 2015 le esportazioni sono state per un valore 258,9 miliardi di euro (+
8,9%), e le merci importate per un valore di 195,1 miliardi di euro (+ 5,9%).
Ognuno,
sulla base di questi dati annuali, tragga le proprie
considerazioni, che saranno senz’altro tra loro molto diverse e variopinte. Per la fonte cliccare qui.
sabato 17 settembre 2016
Filantropi
Leggo
che Bill Gates avrebbe dichiarato che il 95 per cento del suo patrimonio non
gli serve per vivere. Si sbaglia. Per campare assai bene gli basterebbe, ad
essere larghi, lo 0,1 per cento della sua ricchezza. Gates non dice che gran
parte della ricchezza accumulata è costituita da lavoro non pagato, soprattutto
di operai e tecnici che non sono mai stati alle dipendenze delle sue aziende.
Anche questa è una forma di redistribuzione (del plusvalore).
Sarebbe
bello se questi filantropi globali, che lucrano da mane a sera nella
cyber-economia, devolvessero parte delle loro ricchezze a chi arranca davvero la
vita. E se tutti pagassero le tasse in proporzione ai loro redditi. Sono in
molti a sostenere che in tal modo i problemi sociali che affliggono le nostre
società sarebbero in gran parte risolti. E invece delle disuguaglianze sociali
e di tante altre nequizie avremmo finalmente un capitalismo dal volto umano.
In
un libro pubblicato lo scorso anno (*), la buonanima di Luciano Gallino faceva
risalire la sconfitta dell’uguaglianza alla “doppia crisi, del capitalismo e
del sistema ecologico”. La crisi del capitalismo l’attribuiva all’incapacità di
vendere tutto quello che produce. Mi limito ad osservare: mai il mondo è
stato così tanto misurato, mai come nella nostra epoca è possibile conoscere e
censire ogni cosa, sapere cosa serve o non serve; pertanto non si tratta
dell’incapacità di vendere, ma del modo in cui si produce.
Per
quanto riguarda la disuguaglianza sociale, essa è la base su cui poggiano le
società di classe. Per quanto riguarda l’impiego delle risorse, è appena il
caso di rilevare che migliaia di miliardi di pubblico denaro sono destinati per
il salvataggio di banche che hanno perso fantamiliardi in arrischiate
speculazioni finanziarie e in crediti facili.
*
venerdì 16 settembre 2016
Realtà italiana e umorismo tedesco
Il
presidente Mattarella ha affermato che la sovranità “appartiene agli elettori”.
Chiaramente replicava alle dichiarazioni dell’ambasciatore Usa in merito al
referendum. Tuttavia sappiamo bene che la Costituzione, in riferimento alla
sovranità, non cita gli elettori bensì il popolo. Per quanto questo termine
nelle moderne democrazie non significhi nulla. Ad ogni modo il richiamo di
Mattarella fa venire in mente quanto ebbe a scrivere, ben adattandosi ad ogni
analoga situazione, J.-J. Rousseau ne Il
Contratto sociale (*):
“Il
popolo inglese crede di essere libero, ma s’inganna assai; esso non è libero se non durante l’elezione dei membri del parlamento: non appena gli ha eletti, che
torna schiavo e non è più niente.”
Nessuna
sovranità, se non nominativa, appartiene al popolo; nessun reale potere è nella
volontà del parlamento o nelle facoltà dei governi. Nessuna riforma potrà ormai invertire la rotta. La vera sovranità e il
reale potere sono saldamente nelle mani di entità sovranazionali, così come, per la loro parte, di quei ceti sociali nazionali, gruppi, corporazioni, "famiglie" che controllano il sistema mediatico e hanno sempre resistito al
cambiamento e portato questo paese alla bancarotta. Ad ogni modo troppe cose stanno cambiando e la miccia è accesa, l'esplosione del malcontento sociale è questione di circostanze.
*
Meglio
di altri ci conoscono i tedeschi, non a caso l’umorismo della Frankfurter Allgemeine ieri ha così
tradotto la celebre frase del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa:
«Muss
sich nicht alles ändern, wenn wir
wollen, dass alles bleibt, wie es ist (**).»
(*)
Ed. del 1850, Pinerolo, pp. 166-67.
(**)
Wenn wir wollen, dass alles bleibt wie es ist, muss sich alles ändern.
giovedì 15 settembre 2016
«Addio stipendi d'oro»
Se
le vostre famiglie arrancano con 1.500 il mese, ma fossero pure 2.000, sappiate
che ora il parlamento ha messo fine allo scandalo degli stipendi d’oro: non più
di 240.000 euro annui di retribuzione per amministratori, dipendenti e consulenti
della Rai. Il Pd e la maggioranza – ha intonato il sottosegretario alle
comunicazioni, Antonello Giacomelli – “hanno inteso dare un ulteriore forte
segnale in questa direzione”. Nondimeno un certo Calderoli della Lega ha
affermato: "Questa è la fine del bengodi della mamma Rai”.
L’emendamento
approvato si riferisce al ddl che ha per titolo: "Istituzione del fondo per il pluralismo e l'innovazione
dell'informazione e deleghe al governo per la ridefinizione della disciplina
del sostegno pubblico per il settore dell'editoria, della disciplina di profili
pensionistici dei giornalisti e della composizione e delle competenze del
consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti”. Dentro a questo
provvedimento c’è un po’ di tutto, compresa la normativa per “l'accesso ai prepensionamenti per i
giornalisti”. Ecco il testo dell'emendamento approvato (clicca per ingrandire):
E
siamo già alle eccezioni di cui alla legge n. 214/2011 articolo 23bis.
*
«Addio stipendi d'oro». Quanto
a questo modo di fare informazione, che dire ancora? L’articolo 21 della
Costituzione stabilisce il diritto del giornalista ad informare, ma non quello
del cittadino ad essere informato senza abusare della sua credulità. Non si
tratta di una sottigliezza. La linea editoriale dei giornali è dettata dalla proprietà
della testata, e dunque essa riflette i rapporti e le relazioni di potere
espresse nei consigli di amministrazione, ossia quei circoli ristretti che uniscono
saldamente le “famiglie” economiche italiane e tutte le lobby a garanzia dei loro interessi.
mercoledì 14 settembre 2016
Baruffe fasulle tra buffoni
Che
questa Italia sclerotica e nevrotica fosse un paese da burla cui nessuno crede
più, che la sua classe dirigente – “tra le più premoderne, violente e
predatrici della storia occidentale” – fosse lo specchio fedele della sua
arretratezza civile e culturale, si sapeva ed è stato confermato mille volte
anche da tragiche vicende. Charlie Hebdo
con le sue vignette ritrae un paese di mafiosi d’ogni ordine e grado che
piangono sulle vittime di crolli ampiamente prevedibili, di scuole collassate non
appena messe – a parole – in “sicurezza” antisismica (*). Una riprova? Gli dèi
non vogliano ma l’avremo alla prossima scossa di terremoto: verranno giù altre
scuole, case e chiese, e però il tema di questi mesi è stato (e sarà) quello
delle olimpiadi a Roma. Una baruffa tra buffoni.
Non
sono le parole a gonfiare il populismo, ma l’assenza di una qualsiasi politica
di concreto miglioramento (o non peggioramento) della vita quotidiana.
* * *
Dopo
anni di annunci e mesi d’incontri tra governo e sindacati in tema di pensioni,
di tavoli tecnici e tavolini politici, dichiarazioni giornaliere e paginate sui
giornali, si viene a sapere che non è stato fornito un solo documento, un
pezzetto di carta, una cifra da parte del governo. Solo a metà settembre la
signora Camusso scopre che in queste condizioni il prossimo 21 settembre sarà
impossibile un “accordo”. Buffoni e pornografi.
(*)
Oltretutto, tollerare tutte le opinioni non significa farsene sostenitori. Un
paese dove è bandita o censurata un’opinione, un’ideologia, una religione, è un
paese illiberale. Per contro, nessuna idea o credo possono sottrarsi alla
critica, all’irrisione, al ridicolo, alla parodia, allo sberleffo, alla
caricatura, alla contraffazione. Aveva ragione il poeta Louis Scutenaire: “Ci
sono cose su cui non si scherza. Non abbastanza!”.
lunedì 12 settembre 2016
Se non cade il palco
Una
delle più straordinarie (ri)scoperte di questo secolo è la povertà in paesi
dove questa piaga sembrava destinata a percentuali fisiologiche. L’attuale non è
la solita noiosa povertà del buon tempo antico. Si parla di “nuove povertà”, al
plurale. Man mano che arrivano le famigerate “buste arancioni” i giovani virgulti
del bel paese scoprono essere essi stessi i destinatari delle povertà future.
Chi l’avrebbe detto qualche decennio addietro? Per quanto riguarda il presente,
ci sarà la possibilità di andare in pensione a 63 anni (i padroni si liberano della forza-lavoro anziana facendo pagare agli anziani stessi l'anticipo). Se hai una pensione di millecinquecento euro netti può essere che te la cavi
con 150 euro il mese, vale a dire che ci lasci la tredicesima più la mancia per
i poveri banchieri in tempi di tassi negativi e le assicurazioni. Per vent’anni. A 84-85 anni
potresti anche riavercela tutta la pensione per far fronte alle spese dell’ospizio o del caro estinto. Se nel
frattempo non cade il palco con tutta la scena.
domenica 11 settembre 2016
Il tiro al Padoàn
Oggi
abbiamo il piacere di leggere su Repubblica
l’articolo di un maestro di vita astratta ed esperto di politica economica, a
suo tempo – ma molti di voi sono troppo giovani per ricordare – chiosatore a
L’errore monetario dell’Occidente, di Jacques Rueff. Eugenio Scalfari si è
sempre illuso di giocare al ruolo di suggeritore discreto dei potenti pro
tempore. Leggiamo:
Io non so cosa pensi [Draghi] in
concreto che l'Italia debba fare. Ma poiché a questi problemi penso anch’io, la
mia proposta a Renzi ed a Padoan è questa: un taglio se non totale almeno della
metà del cosiddetto cuneo fiscale.
Il cuneo fiscale è il nome che si dà
all'ammontare dei contributi che imprenditori e dipendenti versano all'Inps.
Pesa molto su tutte e due queste categorie e produce una notevole differenza
tra salari e profitti lordi e salari e profitti netti. Il taglio di almeno la
metà di tale contribuzione produrrebbe un aumento dei salari e dei profitti. Un
aumento tale da stimolare la domanda dei lavoratori e di profitti degli
imprenditori. Nel complesso, secondo me, è questo il vero strumento per
rimettere in moto il sistema. Romano Prodi fece qualche cosa di simile con il
suo primo governo, ma il taglio fu del 3 per cento, eppure qualche beneficio lo
produsse. Qui parliamo non del 3 ma del 50 del cuneo fiscale: secondo me una
rivoluzione.
Se non totale, almeno della metà! Buona idea quella di Scalfari, anche se nessuno la
prenderà in considerazione per un attimo, se non per sorridere. Resterebbe da
definire come andrebbe distribuito tra padroni e salariati il taglio secco del 50 per cento, ma poniamo
che il buon Samaritano intenda fifty
fifty. Ciò da un lato rilancerebbe le gozzoviglie dei salariati e,
dall’altro, una parte dei maggiori profitti padronali andrebbe, si canta e si spera, in
nuovi investimenti. È il classico dei due piccioni presi al volo con un po’ di acqua
e farina.
sabato 10 settembre 2016
Quel postaccio che chiamano Stati Uniti d'America
Nel
2014 gli omicidi volontari sono stati 468 (impossibile avere dati Istat per il
2015). Nel paese più libero e democratico del mondo, gli Stati Uniti d’America,
pur con una popolazione cinque volte quella italiana, gli omicidi sono, secondo
una statistica stilata da Wikipedia, oltre 12mila l’anno. Il sito del F.B.I.
fornisce dati al 2012: 14.827 omicidi, ma non distingue tra le varie tipologie
(*). Perciò è molto difficile ricavare dei dati federali analitici e
complessivi, anche perché di preferenza tali dati vengono forniti per “città”.
Ad
ogni modo, a destare allarme negli Usa è l’escalation degli omicidi nelle città.
La crisi colpisce duro, e la criminalità aumenta, poiché non solo gli omicidi sono in forte aumento ma anche i reati contro la proprietà e le persone. Di questo le nostre televisioni, troppo impegnate sul salvataggio dei gattini terremotati e sulle “notizie” e il “dibattito” intorno al sindaco Raggi, non danno notizia. Se a Mosca vi fosse lo stesso tasso di omicidi di New York (352), sarebbe dichiarato l’embargo turistico. La palma d’oro va comunque a Chicago, con 488 persone assassinate. Naturalmente c’è disaccordo tra gli “esperti” sulle cause di questa impennata di omicidi e di reati. A commetterne di più non sono senz’altro gli appartenenti alla classe sociale della signora Clinton o di Trump.
Scrive
il NYT citando uno degli esperti:
Areas
with “long-standing conditions of alienation, hopelessness, poverty and lack of
opportunities” also have the greatest distrust of the police and the greatest
complaints of police abuse, said Craig Futterman, a University of Chicago law
professor who directs a civil rights and police accountability project at the
law school.
That
means homicides go unsolved, perpetuating a dangerous cycle because people
committing the crimes are still out there. In some neighborhoods, the city’s
clearance rate, the percentage of homicides in which the police arrest or
identify a suspect, is less than 20 percent, he said.
Dr.
Futterman said the city’s problems were intensified in recent years by the
closing of more than 50 public schools in 2013, the dismantling of public
housing throughout the 2000s, and the federal government’s successful
prosecution of big gang leaders, which destabilized gang hierarchies,
territories and illegal drug markets.
(*)
La legislazione americana manca di una figura delittuosa unitaria di omicidio e
individua una serie di delitti distinti a seconda della gravità con cui
l'uccisione di una persona viene compiuta. Anche da un punto di vista della
classificazione e della
terminologia vi sono delle differenze da Stato a Stato. Ad ogni modo qui è
sufficiente considerare questa classificazione: first degree murder; second
degree murder; voluntary manslaughter.
venerdì 9 settembre 2016
Inesorabilmente clandestina
Nel
primo trimestre 2016 le nuove pensioni liquidate dall'Inps erano calate del
34,5%. Nel secondo trimestre sono diminuite del 41,4% le richieste di
pensionamento da parte dei lavoratori (-47% per le donne, nel primo trimestre
il calo per esse era stato del -64,9%, media -56%). In compenso sono aumentati
i licenziamenti (+7,4% sul secondo trimestre 2015). Anche la strombazzata
riforma del part-time agevolato è un flop: 150 (centocinquanta) domande. Così
come lo fu l’anticipo del tfr (sempre in accordo con le banche) e così come
sarà prossimamente per la famosa Ape: “Ad esempio se uno prende 1.500 euro al
mese, se accetta di andare con 1.470 euro, può andare via prima”. Renzi dixit,
due giorni fa. Pertanto si preannuncia sarà un esodo. Ne riparleremo nella prossima
primavera, dati alla mano.
Tutto
molto scenico, tuttavia il punto di partenza è lo stesso d’arrivo dopo due anni
e mezzo di gabinetto. Renzi avrà tutta una vita per riflettere sul proprio
fallimento, ma non servirà a nulla. Lui ha rappresentato semplicemente un risucchio d'aria.
D’Alema, invece, alla modestia ha sacrificato la sua esistenza. Oggi rappresenta l'opposizione bolscevica di sinistra nel partito, laddove Stalin, se redivivo, rappresenterebbe la destra. D'Alema il Partito democratico lo conosce meglio di tanti altri, e gargarizzaa sarcastico
che “leggere è contrario alla linea del partito”. Non da oggi, compagno
Massimo.
Rossana
Rossanda, dirigente che il Pci conosceva direttamente molto bene dell’interno,
nella sua autobiografia (La ragazza del
secolo scorso) ebbe a scrivere:
«Il marxismo era, sicuro, una filosofia
[sic!] e se si vuole un umanesimo [ri-sic!!], ma non si poteva tirare in tutte le
direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella crudele estraneazione del modo di
vivere e produrre nel capitale: né si poteva giocare allegramente Gramsci
contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Eravamo sempre là, al
crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista» (p. 301).
Rossanda, un monumento a confronto degli attuali lacerti. E
del resto, rimarcava nella stessa pagina, Marx “nessuno lo leggeva”.
La coscienza possibile della nostra epoca resta inesorabilmente clandestina.
giovedì 8 settembre 2016
Immaginiamo
Immaginiamo il New York Times dedicare, per giorni, settimane, mesi, tutto questo spazio al sindaco di Washington, oppure Le Monde al sindaco di Parigi.
Quando ce vo’ ce vo’
Da
settimane questo meraviglioso paese sembra non aver altri problemi e turbamenti – salvo la
breve parentesi del terremoto – che le vicende di un assessore alla monnezza.
Non è un complotto, sicuramente. Chiamiamola convergenza d’interesse e d’interessi.
Ricorda la lunga campagna mediatica che aveva ad oggetto il parcheggio
dell’auto dell’ex sindaco Marino. Dopo decenni che a Roma è trionfato il
buongoverno, soprattutto nel settore della monnezza, questo episodio che vede
coinvolto l’assessore Muraro è davvero intollerabile. E bene fanno gli
esponenti del Partito degli Affari e delle Banche ad alzare il ditino, a
reclamare onestà e sincerità, chiarezza e trasparenza. Diamine, quando ce vo’
ce vo’.
martedì 6 settembre 2016
Gli omeopati del capitalismo
È
caratteristico della crisi intellettuale e della decadenza dell’odierna
economia politica borghese che essa non si ponga – nemmeno sotto il profilo
teoretico – il problema della transitorietà del modo di produzione borghese. Faccenda
di cui invece ebbero ad occuparsi gli economisti classici. Nella nostra epoca
gli economisti e gli intellettuali in genere, diventati gli omeopati del
capitalismo, non si occupano di simili questioni, che tanto più sono scomode e
tanto più sono manipolate o, come capita più spesso, semplicemente ignorate.
Essi prospettano le cose in due modi, vedendovi il lato buono e quello
cattivo, il vantaggio e lo svantaggio, che presi insieme formano la
contraddizione (sic!) in ogni categoria economica. Tutto il problema da risolvere
consiste nel conservare il lato buono, eliminando quello cattivo.
Lo stesso dicasi per la politica, laddove si ricerca il lato buono e vantaggioso per la società nel suo insieme, prescindendo – dicono – da ogni considerazione ideologica. Solo che anche la società borghese nel suo insieme non esiste senza classi sociali, con ciò che consegue.
Già
ai suoi tempi Marx osservava: “Ai
ricercatori disinteressati subentrarono pugilatori a pagamento, all’indagine
scientifica spregiudicata subentrarono la cattiva coscienza e la malvagia
intenzione dell’apologetica”.
*
Sciacalli e sciacalletti
Siamo
troppo presi oggi a contare i capelli bianchi alle mummie riunitesi intorno a
D’Alema per parlare di ciò che d’importante invece avviene. Francamente non mi
ci trovo a spartire simpatia tra D’Alema e Renzi.
Del
terremoto ci siamo già stufati. Dopo aver inviato sms da due euro e pacchi di
pasta e carta igienica, dei buoni propositi di prevenzione antisismica
riparleremo al prossimo infausto evento, cioè al massimo tra 5-6 anni. Ognuno
facendo i propri scongiuri, ovviamente.
Sempre
sulle prime pagine dei giornali, invece, troviamo la responsabile dei disastri
della capitale, ossia Virginia Raggi. Il trevigiano Totila a suo tempo aveva miglior stampa. La
cura Marino funziona.
Nei
prossimi giorni sarà la volta delle pensioni, una nuova riforma in vista del
referendum di dicembre (?). La platea da accontentare dovrà essere la più ampia
possibile, anche solo una mancia o una promessa di elemosina in certi casi
potrà bastare. Vedrete che si arriverà a un do
ut des assai esplicito in tal senso.
*
Abbiamo
assistito all’ennesimo fallimento del G20, questa volta a Hangzhou in Cina. I
cosiddetti “grandi” avrebbero dovuto trovare un modo per aumentare la crescita
globale. Ognuno per la sua strada e si continuerà, per tentare di tenere in
piedi il sistema, di pompare altre migliaia di miliardi nel sistema finanziario
globale per stimolare l'espansione dell'economia reale, nonostante il
fallimento di queste politiche monetarie.
Sintomatico
che in condizioni in cui si prende atto che il problema economico centrale è la
mancanza d’investimenti e della domanda, l’unica reale misura adottata miri a
ridurre la produzione nel settore siderurgico globale, una misura evidentemente
diretta contro la Cina.
Pur
non nominando direttamente la Cina, il G20 ha deciso di istituire un Forum globale
sulla sovrapproduzione di acciaio. Il provvedimento è stato fatto passare con
la minaccia da parte dell'Unione europea che, se la Cina non era d'accordo, vi
sarebbe stata una decisione negativa sulla richiesta di “status di economia di
mercato” nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio.
lunedì 5 settembre 2016
Come si somigliano Angela e Frauke (Veronica)
Le
elezioni in Meclemburgo-Pomerania Anteriore – un Länd abbastanza esteso che
confina col Mar Baltico ma con scarsa popolazione (1,6 mln) – confermano che
attualmente in Germania esistono due partiti di destra (qualunque significato
si voglia attribuire ai termini “destra” e “sinistra”). Quello tradizionale di
Wolfgang Schäuble e di Angela Merkel, la CDU, cioè l’Unione
Cristiano-Democratica (la CSU è presente solo in Baviera), e il nuovo partito
della Frauke Petry, Alternativa per la Germania (AFD) (*). Questi i risultati
delle ultime tornate elettorali locali:
21% in Meclemburgo-Pomerania
Anteriore
24% in Sassonia Anhalt
15% in Baden Württemberg
12%
in Renania Palatinato.
L’affluenza alle urne in
Meclemburgo-Pomerania, collegio della cancelliera, è aumentata di 9,9 punti
percentuali (61,5%), i giornali titolano che ha vinto la SPD, ma in realtà i
socialdemocratici (continuano a chiamarsi così) hanno perso in termini assoluti
e percentuali (-5%) più voti del partito di Merkel che ha perso 4 punti. La
Linke crolla al 13,2% dal 18,4%, e spariscono dal parlamento del Land i Verdi.
E anche i “bruni” del Npd.
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