domenica 25 ottobre 2015

Di che cosa parlano?


Leggendo i saggi e gli articoli di politologi, sociologi, economisti e teologi alla Scalfari, si possono trovare descritte cose come il fatto che 80 individui detengono la metà della ricchezza mondiale. E commenti come questo: il vero scandalo non è la ricchezza ma la povertà. Come se una cosa non fosse strettamente legata all’altra. Oppure altri dati, come i 61 milioni di posti di lavoro e i 1200 miliardi di dollari di redditi persi con questa crisi.

L’ineguaglianza distributiva e gli effetti devastanti delle crisi sono fatti risalire al cattivo funzionamento di questa società dove trionfa la speculazione finanziaria, all’assenza di regole e riforme volte a calmierare gli effetti distruttivi e perversi dell’ordoliberismo (così lo chiama Gallino). Oppure ci si richiama al caos generato inevitabilmente dal “nuovo paradigma economico”, come lo chiama l’ex iscritto al Pci Federico Rampini. Inutile cercare nelle 327 pagine del suo libro la parola capitalismo.



Scrive Rampini a pagina 325:

«Incapaci i greci di vedere le proprie responsabilità prevalenti nella crisi del paese; di ammettere che si può essere poveri e disonesti; poveri e parassiti; che la povertà non è un alibi per tenersi politici corrotti, statali improduttivi e l’evasione più alta d’Europa.»

Sono in molti, in troppi, a pensarla così. Le cause della crisi greca sono dunque imputabili a dei poveri cristi che cercano si guadagnarsi in qualche modo la giornata, alla grande e piccola burocrazia statale che vota per dei politici corrotti pur di mantenere i propri privilegi parassitari.

Enrico VIII, nel 1530, ai mendicanti vecchi e incapaci di lavorare dava una licenza di mendicità, ma per i vagabondi sani e robusti, per coloro che la nuova legislazione aveva privato della terra sulla quale vivevano, c’era invece la frusta e la prigione se non si assoggettavano al padrone “e mettersi al lavoro”. La mirabile manifattura inglese nacque con il furto e la violenza.

Anche negli anni Trenta, i contadini poveri americani che cercavano a bordo delle loro carrette di sfuggire alla miseria e alla disperazione erano dei poveri e disonesti che non sapevano adeguarsi al nuovo paradigma economico. In ogni epoca e situazione troviamo masse di disperati che non sanno adeguarsi al “nuovo paradigma” che li travolge.

Eppure basterebbe così poco, votare i politici giusti, dare spazio e rilievo alle poche “voci scomode”, alla Rampini, “che accettano la contraddizione, abbracciano la complessità, cercano d’indagare onestamente i propri errori”, ovvero distribuire meglio la ricchezza alla Gallino o alla Krugman, e il “nuovo paradigma economico” darebbe sicuro i suoi frutti felici.

E dunque non abbiamo a che fare con i rapporti sociali tra le due grandi classi della società, con il rapporto tra capitale e lavoro. Soprattutto non abbiamo a che fare con il rapporto capitalistico il cui presupposto è la separazione fra lavoratori e proprietà delle condizioni di realizzazione del lavoro. Non solo il modo di produzione capitalistico ha la necessità imprescindibile di mantenere tale separazione, ma di riprodurla su scala sempre crescente, come dimostrato dal fatto che 700 multinazionali controllano praticamente quasi tutta la produzione e il commercio.

E dunque ciò che appare e ciò che costituisce l’essenza del capitale non può dunque essere null’altro che il processo di separazione dalla proprietà delle proprie condizioni di lavoro, non è altro che il processo storico di separazione del produttore dai mezzi di produzione. Non può essere altro che il monopolio, la concentrazione della ricchezza e del potere in pochissime mani.

Che cosa scriveva quel vecchio ubriacone foruncoloso un secolo e mezzo or sono?

Non basta che le condizioni di lavoro si presentino come capitale a un polo e che all’altro polo si presentino uomini che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. E non basta neppure costringere questi uomini a vendersi volontariamente. Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione. L’organizzazione del processo di produzione capitalistico sviluppato spezza ogni resistenza; la costante produzione di una sovrappopolazione relativa tiene la legge dell’offerta e della domanda di lavoro, e quindi il salario lavorativo, entro un binario che corrisponde ai bisogni di valorizzazione del capitale; la silenziosa coazione dei rapporti economici appone il suggello al dominio del capitalista sull’operaio.

Vi pare che in un secolo e mezzo la situazione sia cambiata in meglio per il semplice fatto che l’operaio oggi vive meglio di decenni e secoli addietro? Vogliamo misurare ancora la condizione dell’operaio attuale con quella di un tempo, senza dir nulla dello straordinario aumento della produttività del lavoro e delle inedite possibilità che ci sarebbero offerte oggi dallo sviluppo tecnologico e sociale?

Eppure l’operaio vede sequestrata la sua vita almeno per otto ore il giorno – come un secolo fa – per arricchire sempre di più, tra gli altri, quegli 80 individui che detengono la metà della ricchezza mondiale. Oppure è disoccupato, mantenuto con l’elemosina statale, e ciò per mantenere la legge dell’offerta e della domanda di lavoro entro un binario che corrisponde ai bisogni di valorizzazione del capitale.

Le “voci scomode”, alla Rampini, “che accettano la contraddizione, abbracciano la complessità, cercano d’indagare onestamente i propri errori”, in realtà agli schiavi del capitale di che cosa parlano?





6 commenti:

  1. Di cazzabubbole atte a consolare i pochi piccoli borghesi che li leggono la domenica mattina. I Rampini sono misere sciacquette del capitale. Misere in senso figurato, s'intende, dati i loro lauti stipendi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "Sciacquette del capitale" mi piace; discrive perfettamente un "lavoro" per cui " c'è la fila " in quanto ben "remunerato" e pure "moralmente" gratificante se, come tutti quelli di "repubblica" , si riesce a svolgerlo " da sinistra" :-)

      Elimina
  2. I suoi post della domenica, sono decisamente più interessanti e incisivi.

    Saluti

    RispondiElimina
  3. giustamente il concetto marxiano non è di "miseria" e basta ma quello di "miseria sociale", collocato storicamente in relazione alla ricchezza sociale prodotta. inoltre, vorrei aggiungere, anche nel senso di ricchezza e miseria esistenziale visto che il concetto a monte è quello di "intero"

    RispondiElimina