Una
delle cause della tendenza alla deflazione, non
l’unica causa ma la più importante, è l’aumento della produttività del
lavoro. Del resto dovrebbe essere abbastanza intuitivo il motivo e dunque alla
portata del senso comune, cioè anche dei funzionari al servizio capitale, se
non fosse che tale riflessione viene cassata a priori per motivi ideologici.
Poiché
lo sviluppo della forza produttiva e la corrispondente composizione superiore
del capitale permettono l’attivazione di una
quantità sempre più grande di mezzi di produzione con l’utilizzazione di una
quantità sempre minore di lavoro, ne deriva che ogni parte aliquota della
produzione complessiva, ogni singola
merce, ogni quantità determinata della massa complessiva del prodotto, assorbe una percentuale minore di lavoro
vivo e contiene inoltre una percentuale minore di lavoro oggettivato (sia
nel logoramento del capitale fisso utilizzato quanto nelle materie prime ed
ausiliarie impiegate). Ogni singolo prodotto contiene dunque una somma minore
di lavoro oggettivato nei mezzi di produzione e di nuovo lavoro aggiunto nel
corso della produzione: il suo prezzo di
conseguenza diminuisce.
Va
del resto scartata ogni ipotesi e credenza volgare che i prezzi siano
determinati dall’aggiunta di una più o meno arbitraria aliquota di profitto al
valore effettivo delle merci. Per quanto in taluni casi particolari possa
succedere e per quanto queste idee sul piano generale siano primitive, pure
esse derivano necessariamente dal modo assolutamente falso in cui sono rappresentate
nella concorrenza le leggi immanenti della produzione capitalista.
Ad
eccezione di alcuni casi particolari (qui non in esame) la diminuzione di
prezzo delle singole merci, la cui somma rappresenta il prodotto complessivo
del capitale, significa semplicemente che una determinata quantità di lavoro si
realizza in una maggiore massa di merci e cioè che ogni singola merce racchiude
meno lavoro di prima. Pertanto la massa del profitto per ogni singola merce
diminuirà fortemente con lo sviluppo della produttività del lavoro nonostante
l’accrescersi del saggio del plusvalore.
Tradotto
in soldoni? Tempo fa un lettore (una lettrice se non ricordo male) mi faceva
notare che, nonostante la crisi, i capitalisti stanno aumentando i profitti.
Certo, questo è un dato di fatto incontrovertibile, e cioè la massa del profitto aumenta complessivamente, e cresce
pure il saggio del plusvalore (cioè
il lavoro non pagato in rapporto al capitale variabile, ossia ai salari). E
tuttavia se aumenta la massa del
profitto, dall’altro lato – come sa bene Marchionne che se ne duole
pubblicamente – diminuisce il saggio
del profitto, ossia il profitto in
rapporto al capitale complessivo investito.
Così
come l’aumento della grandezza del capitale si presenta come conseguenza
dell’aumento assoluto della massa
del plusvalore/profitto, in definitiva dell’aumentata produttività del lavoro, tale
massa sarà tanto più elevata quanto
più basso sarà il saggio del
profitto (vedi questo post). Sembra un paradosso, ma non lo è. Scrive Marx al
riguardo:
La scienza economica, che sino ad ora non è stata capace di
spiegare la legge della diminuzione del saggio del profitto, presenta la
crescente massa del profitto e l’aumento della grandezza assoluta di essa
(tanto per i singoli capitalisti quanto per il capitale sociale) come una sorta
di motivo di consolazione che risulta però costituito da luoghi comuni e da
possibilità.
L’ex
scienza economica dei tempi di Marx poi trasformatasi nelle epoche successive in mera apologia del capitale, oltre ad
escogitare motivi di consolazione, mostra di avere maggiore interesse per il
calo dell’inflazione che non per la diminuzione progressiva del saggio del
profitto, cosa che invece dovrebbe preoccuparla molto di più essendo la
deflazione essenzialmente un succedaneo della legge della caduta tendenziale
del saggio del profitto. Non solo. Il continuo richiamo alla necessità di
aumentare sempre più la produttività del lavoro, ha come effetto di aggravare
le stesse cause che portano alla diminuzione progressiva del saggio del
profitto. Del resto, si deve prendere atto, piaccia a destra e non sia gradito
a sinistra, che tale richiamo costituisce una necessità insopprimibile del capitale.
Questo,
oltretutto, ha effetti anche sul piano dell’occupazione, poiché, detto in modo
assai sintetico, quanto maggiore è lo sviluppo del modo di produzione
capitalistico tanto maggiore è la quantità di capitale necessaria per impegnare
la medesima forza lavorativa, o, a maggior ragione, una forza lavoro crescente.
L’aumento della produttività del lavoro comporta quindi necessariamente, nella
produzione capitalistica, una permanente sovrappopolazione operaia che è tale
solo nelle apparenze (*).
In conclusione: l’aumento della disoccupazione è effetto dello
sviluppo tecnologico nella misura in cui tale sviluppo si esprime in un aumento
della produttività del lavoro in rapporto al capitale investito. Tale produttività del lavoro si esprime in una diminuzione
assoluta della somma di lavoro vivo aggiunta ex novo ad ogni singolo prodotto, e ciò si manifesta con una
diminuzione del valore delle singole merci e dunque nel calo del loro prezzo,
in definitiva nel fenomeno della deflazione.
Non solo. Dall’aumento della produttività del lavoro consegue un aumento costante
della massa assoluta dei profitti, cioè in un accelerarsi
dell’accumulazione, ma per contro in una diminuzione progressiva del saggio del profitto, e ciò ha
conseguenze (qui non prese in considerazione) nel fenomeno delle crisi di ciclo.
L’accelerarsi dell’accumulazione diviene – con effetto circolare – il punto di partenza di un ulteriore
sviluppo della forza produttiva e di un’ulteriore diminuzione relativa del
capitale variabile (lavoro salariato). La minor richiesta di forza-lavoro comprime
i salari anche quando questi non subiscono la concorrenza internazionale.
Eccetera.
(*)
In termini aritmetici: se il capitale variabile (lavoro salariato) non
costituisca che 1/6 del capitale complessivo, invece di 1/2 come prima,
quest’ultimo, per occupare la stessa forza–lavoro, deve triplicarsi e deve sestuplicarsi per impiegare una
forza lavoro doppia. Anche se la massa della popolazione operaia sfruttata
rimanesse costante e aumentasse unicamente la durata o l’intensità della
giornata lavorativa, la massa del capitale utilizzato dovrebbe aumentare, poiché
questo è necessario anche per poter impiegare, con una diversa composizione del
capitale, la stessa massa di lavoro alle precedenti condizioni di sfruttamento.
Digressione: che ne pensa di questo articolo: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/26159-pensare-la-cina-ripensare-il-post-capitalismo
RispondiEliminaGrazie anticipatamente.
AG
su alcune cose sono d'accordo, ma Losurdo va maneggiato con cautela
EliminaPoi Le allego un altro art sulla Cina, che devo finir di leggere. Spero possa darmi un parere anche su quello. Saluti.
EliminaAG
Come promesso il link dell'intervista:
Eliminahttp://www.lacinarossa.net/intervista-al-compagno-filippo-violi/
AG
appena posso lo leggo, grazie
EliminaNon vorrei pressarLa, ma ha avuto modo di leggere???
EliminaGrazie in anticipo.
AG
ho letto. è un punto di vista molto distante dal mio. saluti
EliminaScusi se la tedio, ma alla prima risposta, quando l'intervistato dice che uno stato socialista deve aprirsi al mercato, richiamando per la quaestio anche le sacre scritture (Marx), è una cosa veritiera o no?
EliminaAG
socialismo di mercato? non c'entra nulla con marx. questo è un analfabeta, se va bene
EliminaIn realtà faceva riferimento a Lenin ma mi sembrava strano cmq. Grazie come al solito per il suo prezioso contributo.
EliminaAG
Ogni tanto fa bene tornare sui fondamentali che tu riesci sempre a riproporre in forma chiara e godibile. Merci beaucoup.
RispondiEliminacome vedi non riesco a rispondere alla quantità di commenti che ricevo al riguardo. grazie a te mio caro e raro
Eliminalascia perdere quel sito
Eliminala deflazione attuale, non quella strutturale, fenomeno europeo e meno marcato negli USA- tanto per fare paragoni tra economie mature- mi sembra da mettere in relazione con le tardive politiche monetarie. Anche all' eurotower si stanno chiedendo come mai dopo sei mesi di QE l'inflazione rimane anemica e lontana dal 2% auspicato.
RispondiEliminaNaturalmente la deflazione strutturale -il valore medio compresso in unità di merce- tende ad abbassarsi comunque a causa delle dinamiche capitalistiche che hai illustrato: innalzamento del saggio di sfruttamento/composizione organica del capitale.
Confesso che ancora non ho capito bene quando il valore di una merce (cioè il saggio di lavoro medio astratto incluso a parità di composizione del capitale) coincide con il prezzo di una merce. L'idea confusa che mi sono fatto è che si verificano tutte le possibilità a seconda del momento
la cosa è spiegata da marx nel secondo libro. se e quando potrò ne riassumo il brodo
EliminaDiciamo che sarebbe stato bello con l'aumentare delle tecnologie vedere ridursi l'orario/giornate di lavoro settimanali, ma non mi sembra che sia successo..Tanto è cambiato intorno a noi quanto tanto non cambierà mai ..mi sembra..
RispondiEliminaGrazie per i continui spunti di riflessione.
Roberto
grazie a te Roberto per l'incoraggiamento
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