mercoledì 25 luglio 2012

L'unica ricchezza nazionale dei popoli

Credo che anche il senso comune si renda conto che se l’Italia non fosse entrata nell’euro (cosa di per sé irrealistica per diversi motivi) la lira come valuta avrebbe avuto lo stesso valore della carta da cucina.  Tuttavia e per contro ciò avrebbe potuto avere conseguenze non catastrofiche se il nostro debito pubblico non fosse stato allora di 3.000.000.000.000.000 e oggi di un ulteriore milione di miliardi (di lire).

Ridurre per tempo ed effettivamente questo debito avrebbe anzitutto comportato un cambiamento radicale sia sul piano politico, sociale e ovviamente economico. Cosa inimmaginabile nel quadro politico di tipo levantino nostrano, e poi per il semplice motivo che il fiscalismo moderno ha il suo perno nelle imposte sui redditi, quindi anzitutto su quelli più numerosi e più bassi, quelli da lavoro. Il sovraccarico d’imposte non è dunque un incidente, come vuol far credere la propaganda borghese, ma è anzi il principio sul quale si regge la distribuzione della ricchezza di una nazione, ossia un elemento cruciale della lotta di classe tra salariati e padroni.

Ci sono due modi per non far pagare le tasse ai ricchi: permettere loro di evaderle e detassare le grandi fortune, le rendite e le speculazioni per legge. L’Italia, per ragioni sia politiche sia di struttura, ha adottato una perfetta sintesi organica di tali regimi di “esenzione” fiscale, la quale è servita virtuosamente come una delle leve più energiche nel dopoguerra per la costituzione del capitale originario, soprattutto quello diffuso nella Pmi. Per neanche tanto tacita contropartita si è venuta affermando una nuova piccola e media borghesia produttiva politicamente fidelizzata e delegante (il famoso movimento delle partite iva tanto caro a D’Alema ma che ha strizzato in gran parte l’occhiolino a Berlusconi).

La rivoluzione introdotta dal processo di globalizzazione dell’economia ha mandato a gambe all’aria ciò che fino a prima aveva funzionato egregiamente. Ora la nostra struttura produttiva – salvo eccezioni – è in crisi, quindi il gettito fiscale tendenzialmente si riduce salvo venire esasperato da politiche fiscali demenziali. Chi aveva fatto i soldi prende il bottino e scappa, agli altri non resta che pregare in un miracolo e constatare – come ormai anche i critici borghesi sanno fare – che l’unica parte della ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo è … il debito pubblico (e quello delle banche). 

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