L’editoriale odierno di Eugenio Scalfari offre la misura della sua concezione –pragmatica a parole ma idealistica negli effetti – della realtà e della storia. Egli vede nel progetto di costruzione della nazione europea come il risultato degli sforzi congiunti di alcuni illuminati statisti e soprattutto di alcuni saggi tecnocrati che avendo nelle mani le leve della finanza europea provvederanno con giusti interventi al salvataggio del continente contro il mostro della speculazione finanziaria che vorrebbe divorarlo, mettendo poi a regime le discrasie debitorie provocate dalle camarille nazionali.
Il problema – scrive – è formare una classe politica degna di questo nome e dei compiti che l’aspettano. Egli auspica, infine, il costituirsi di una diffusa coscienza di appartenenza e quindi di un condiviso sentimento europeista da parte dei popoli che ne fanno parte, senza peraltro chiedersi per quali motivi questo comune sentire non sia presente tra i popoli, dopo mezzo secolo, e sia anzi quanto mai distante come risultato.
Egli non crede, come certi critici, che:
l'Europa è nata male, è un'entità sbilanciata da tutti i lati, zoppa, gobba, deforme, con istituzioni-fantasma scritte sulla carta ma prive di autorità sostanziale, detenuta dai governi nazionali e affidata ad una tecno-struttura priva di autorevolezza e di visione politica.
[…] Non penso che il mezzo secolo trascorso sia un periodo eccessivamente lungo: i grandi Stati nazionali, la Francia, la Spagna, l'Inghilterra, gli Stati Uniti d'America, impiegarono secoli prima di imporsi al potere sovrano dei loro vassalli e agli Stati confederati con uno Stato federale. Mezzo secolo non è molto ed ha comunque realizzato un periodo di pace e di amicizia tra Entità che erano vissute in guerra tra loro per oltre un millennio. La pace fu soltanto un breve intermezzo, la guerra fu la condizione permanente.
La pace europea, seguita al secondo conflitto mondiale, non è merito né degli accordi commerciali e infine nemmeno dalla moneta unica. Né la situazione storica, politica ed economica degli Stati europei può essere paragonata a quella dell’epoca della formazione dei grandi Stati nazionali e men che meno a quella degli Stati Uniti d'America, nati dopo una guerra civile. Dal punto di vista borghese, è sufficiente dire che l’Europa non ha una lingua comune, un sistema di difesa unificato, un’istruzione parificata e l’economia dei diversi Stati è quanto di più concorrenziale esista con un dominus che la sovrasta: la Germania, cioè una nazione – per dirla con Marx – che è la merda della merda (*) e alla quale interessa solo ed esclusivamente la propria bilancia commerciale (vedi qui).
La Germania non metterà mai in comune i debiti pubblici degli altri paesi europei se non in cambio del controllo pieno e totale della sovranità, dell’economia e delle banche degli altri paesi. La Germania non sarà mai un comune membro dell’Europa, ma l’arcigna e arrogante matrigna.
C’è un solo modo per il quale l’Europa diventi finalmente l’Europa dei popoli, e ciò può avvenire con il seppellimento dell’Europa del capitale e dei banchieri nel quadro della rivoluzione mondiale. I prossimi decenni ci diranno se questa scossa rivoluzionaria sarà abbastanza forte per rovesciare la base di tutto ciò che è costituito, per un rivolgimento totale, ovvero se sarà giunto il momento in cui i popoli agiranno rivoluzionariamente e non solo contro alcune condizioni singole di questo sistema schiavistico, come è stato fatto altre volte, ma contro la stessa produzione della vita che questo sistema impone. Allora, per lo sviluppo pratico di questo cambiamento, sarà del tutto ininfluente se l’idea di tale rivolgimento è stata in passato già espressa mille volte, come la storia stessa del comunismo dimostra!
K.Marx, L’ideologia tedesca, MEOC, vol. V, p. 31.
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