Dopo la Grecia, la Spagna. Poi sotto a chi tocca, noi non abbiamo la Force de frappe. A leggere le cronache d’oggi, negli incontri riservati partecipano cabalisti di ogni sorta, che puntano con successo e senza riguardo a impadronirsi di ogni cosa che possa avere un qualsiasi valore, purché economico, fosse il timpano d’un tempio greco o una pozza di acqua potabile sulla quale staccare una cedola di promessa.
Sotto il profilo oggettivo, la situazione attuale rintraccia molti punti in comune con gli anni a cavallo della seconda e terza decade del Novecento. Lo pensano e lo scrivono alcuni e dagli avvenimenti in corso si trae sempre più motivo di disperante conferma: i tornaconti venali anglofoni e nord europei ci stanno spingendo verso una nuova catastrofe.
Sotto il profilo soggettivo, invece, credo si possano scorgere delle differenze. Negli anni di Charlot e della sua controfigura berlinese, come raccontavano certi romanzetti, i club anglofoni erano costituiti di tracannatori di superalcolici e divoratori di tartine che si complimentano tra loro e con se stessi per il lusso e le schiere di camerieri in guanti bianchi. Erano certamente venali e gelosi del proprio censo, nutriti di quella spavalda consapevolezza d’incarnare quell’élite che appartiene al tempo di sempre e il cui destino è dominare il mondo, di spartirsi le sue risorse naturali e gli schiavi. Tuttavia denotavano un tratto e un gusto non rintracciabili oggi presso i cabalisti di cui sopra.
Sul fronte opposto, quello germanico, l’aristocrazia uscì dal conflitto europeo sconfitta e sfinita, ma non conquistata e doma. I superstiti non persero l’occasione d’iscriversi in massa al partito nazista, come dimostra lo studio di Jonathan Petropoulos, mettendosi nelle mani di una banda di criminali le cui seconde e terze file, dopo la tragedia, seppero ben collocarsi nel Quarto Reich e i cui nipoti oggi ci rammentano lo spirito e l’istinto dei nonni.
Nessun commento:
Posta un commento