giovedì 27 ottobre 2011

E non dite che sono pessimista



Nel 150° anniversario dell’Unità, scopriamo una cosa che era nota da tempo e che cioè non siamo considerati nei paesi del nord Europa null’altro che un’espressione geografica che necessita di tutela. La responsabilità di questo stato di cose ovviamente non è solo dovuta alla condizione di minorità politica e governativa di cui il paese dà incondizionata prova oggi o appena ieri. Credere questo, consola e quasi ci lusinga, ma serve a lasciare in ombra quelle che sono le colpe vere della borghesia italiana e della classe dirigente nel suo insieme, ma anche quelle di un popolino di troppi Pulcinella.

Dove lo trovi un altro paese in Europa dove siano accaduti negli ultimi decenni tanti e tali misfatti come in l’Italia e sulla cui responsabilità e complicità diretta e occulta non è mai stata fatta luce? Di quale credibilità vogliamo parlare? Di quella di una borghesia che ha messo al potere un uomo non solo ridicolo e vanesio (non il primo e non il solo), ma di aver lasciato che il suo stile diventasse quello di larga parte di una nazione d'idioti?

Ma al di là di questo, che è il tema di doglianze diffuso e abbastanza sterile, la nostra riflessione deve poi uscire dallo schema delle geremiadi d’ordine ideologico che galleggiano in superficie e invece guardare a ciò che è stata ridotta la democrazia in Italia e dappertutto il mercato, cioè il capitale, ha avuto bisogno di vendere qualunque cosa a chiunque. Qualche decennio addietro ci voleva un po’ di lucidità per decifrare il contesto reale e percepire i segni dell’avvenire, cioè del fallimento; ora che cominciano a pignorarci i mobili e gli immobili, l’usura dello spettacolo, le toppe di un’economia rappezzata, il ridicolo del potere, appaiono nella loro nuda realtà come nella nota favoletta e non c’è ormai nessun travestimento che valga a coprire uno stato permanente di disagio e di vergogna.

Eppure c’è ancora chi, con la solita falsa e birbante coscienza, sostiene che il gusto del distruggere, la sete di guadagno e di potere, la costante bassezza lucrativa, sarebbero parte della natura dell’uomo allo stesso titolo della sua capacità di creare la propria storia. E così le cause e le colpe del disumano sono fatte pesare sull’umano invece che sull’interesse di pochi che decidono a danno dei molti che patiscono, assolvendo sostanzialmente un sistema economico che ha bisogno di svalutare congiuntamente i valori spirituali e materiali per venderne sempre di “nuovi”.

2 commenti:

  1. Ineccepibile, come al solito, l'analisi. Mestamente realista piuttosto che pessimista. Dove ho qualche difficoltà di condivisione, o comprensione, è dove si afferma genericamente che il nostro Presidente sia stato proposto da una non meglio identificata borghesia. A me sembra, invece, che la sua autocandidatura sia stata prima tollerata e poi, dai poteri tradizionali, accettata quando si è assunto l'onere del cosiddetto lavoro socialmente sporco. Il consenso, poi, manipolato o meno, gli è stato attribuito dalle moderne classi sociali popolari, quelle che si sarebbero un tempo definite, con disprezzo, plebe. Che fare? Torno alla lettura.

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  2. Quindi, (e in riferimento in particolare al finale del suo post) rivoluzione sociale, o politica?
    Prima l'una, o prima l'altra?
    saluti

    Luigi

    P.S-
    Mitica quella foto.
    Quanto vorrei anch'io sporgermi su un tale panorama, ma soffro di vertigini.

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