Nell’inserto culturale del Sole 24 ore di ieri, compare una recensione, a firma di Carola Barbero, del libro di Carlo Paolucci: Nati cyborg.
Si parla di intelligenza artificiale, si citano due classici esempi: quello che ha protagonista lo scacchista Garri Kasparov e quello di Lee Sedol, entrambi sconfitti nel loro gioco da una macchina. Non entro nel merito di questi frusti esempi.
Mi ha colpito in particolare una frase della recensione, che viene posta come centrale a riguardo del libro recensito e più in generale dello statuto dell’essere umano. Questi, si dice, “non è un soggetto autosufficiente a cui ora arriva un concorrente [l’AI], ma un essere intrinsecamente ibrido, che da sempre delega a ciò che umano non è – utensili, lingaggio, tecnologie – funzioni decisive della propria attività cognitiva”.
L’errore radicale di questo tipo d’approccio sta proprio nel fatto di considerare il linguaggio (umano!) alla stregua di qualsiasi altro strumento tecnologico, e anzi di considerarlo non propriamente umano, ossia come qualcosa di artificiale, di “esterno” all’umano. Ciò significa, innanzitutto, non comprendere che il linguaggio è tipicamente ed esclusivamente umano. Tutti gli altri animali sono capaci di un linguaggio genetico, ma solo gli esseri umani di un linguaggio extragenetico. Dunque il linguaggio come un prodotto storico-sociale e non semplicemente evolutivo. La differenza è sostanziale e assoluta.
Il linguaggio è la coscienza dell’uomo; non è, né sarà mai, la coscienza di qualsiasi macchina.
“Il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per gli altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso” (Marx- Engels, L’ideologia tedesca).
Distinguere il linguaggio umano dalla coscienza, farne un semplice strumento al pari di altre tecnologie, è assurdo. È come definire l’uomo “a toolmaking animal”, un animale che fabbrica strumenti. Dove va a finire la sua comprensione della natura e il dominio di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale?
Quando si sostiene che anche noi come ChatGPT ci limitiamo “al già detto ... attingendo senza sosta a un’enciclopedia di enunciati preesistenti”, significa non aver capito nulla, ma proprio nulla, di ciò che distingue l’essere umano da qualsiasi altro animale o strumento (e in definitiva non aver capito nemmeno che cos’è ChatGPT). Qualsiasi macchina non ha nemmeno la coscienza di una mucca, è semplicemente capacità scientifica oggettivata, nient’altro.
Attribuire alla IA “forme inedite di astuzia e creatività” è semplicemente una alienazione feticistica della tecnologia. Siamo passati, non da oggi, dall’alienazione extraterrena a quella terrena. Quella odierna, che riguarda l’IA, è solo un ulteriore capitolo di tale processo. Assume un carattere mistico, domina come una potenza estranea, diventa la sintesi concreta di tutte le alienazioni.
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