giovedì 4 dicembre 2025

La chimica della geopolitica

 

Forse sapete già tutto sul terbio, tuttavia lo racconto lo stesso. È il cugino, da parte di padre svedese, di erbio, itterbio e ittrio. È un drogante, migliora le proprietà di vari materiali. Per procurarselo bisogna rivolgersi ai cinesi e ci vogliono mesi, mentre i perfidi statunitensi se lo procurano dalla stessa fonte in poche settimane. Da quanto precede, avrete capito che: 1) il terbio appartiene al gruppo delle terre rare (lantanidi); 2) che la chimica riguarda la competizione geopolitica e commerciale, dunque non è come la fisica teorica, diventata un ramo della teologia.

Il processo di estrazione di terre rare non è solo economicamente costoso, ma ha anche gravi conseguenze ambientali. Ciò solleva la questione della sostenibilità delle energie rinnovabili, che si basano su tecnologie che consumano grandi quantità di metalli.

Ieri, la Commissione Industria dell’UE ha presentato a Bruxelles nuovi piani per l’approvvigionamento di terre rare (RESourceEU). A tale riguardo, sta circolando un rapporto allarmante dell’agenzia di stampa statunitense Bloomberg. Secondo il rapporto, le aziende statunitensi stanno giocando duro nella lotta per l’accesso alle terre rare, eliminando sempre più i concorrenti europei che potrebbero esaurire queste materie prime insostituibili nel giro di pochi mesi. Bloomberg basa le sue conclusioni sulle dichiarazioni di trader di materie prime e imprenditori con una visione diretta dell’attività di mercato.

Il piano presentato dalla Commissione Industria prevede investimenti dedicati per “catene del valore integrate delle materie prime critiche con l’Ucraina, i Balcani occidentali e il suo vicinato meridionale”. Insomma, nelle trincee ghiacciate gli ucraini non stanno soffrendo e morendo per nulla.

Inoltre, “l’UE sostiene l’Alleanza per la produzione di minerali critici del G7, guidata dal Canada”. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha accelerato le guerre per le risorse. Washington ha messo gli occhi sulle risorse minerarie della Groenlandia, così come lo scazzo con Ottawa riguarda soprattutto le terre rare e non la pesca del salmone. Il Canada possiede ingenti giacimenti di terre rare e intende dedicarsi non solo all’estrazione, ma soprattutto alla lavorazione.

Anche un certo numero di paesi africani ha iniziato a lavorare su progetti a diversi stadi, tra cui il Sudafrica (Progetti Glenover e Phalaborwa), l’Angola (Progetto Longonjo), il Madagascar (Tatalus), il Malawi (Kangankunde, uno dei più grandi giacimenti di terre rare al mondo), il Mozambico (Projet Xiluvo REE), la Namibia (Lofdal Heavy), l’Uganda (Progetto Makuutu), e la Tanzania (il Progetto Ngualla).

L’accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, del 27 giugno 2025, garantisce agli Stati Uniti l’accesso a diversi siti di estrazione del litio. E tuttavia, nell’ambito della Belt and Road Initiative, i colossi industriali cinesi, come Zijin Mining, stanno già sfruttando siti chiave, tra cui la più grande riserva di litio al mondo a Manono , nel sud-est della RDC.

L’’Europa, un erbivoro in un mondo di carnivori, sta diventando sempre più “introspettiva” (pensa alle sanzioni alla Russia), mentre le economie del Mediterraneo orientale e meridionale diventeranno il fulcro principale per la crescita del commercio e degli investimenti africani. Il presidente turco Erdoğan ha già effettuato 60 visite ufficiali nel continente tra il 2002 e il 2024.

Ma non solo. Anche l’Australia, sebbene sia già il secondo produttore mondiale di terre rare, si impegna costantemente a sviluppare nuove fonti per ridurre il predominio cinese, in linea con gli interessi di Washington. Alcune società australiane sono attualmente attive nei progetti, per esempio in Tanzania (progetto minerario Ngualla con la società Peak Rare Earths).

Il Giappone, da parte sua, sostiene progetti africani sulle terre rare dal 2010, ad esempio in Namibia e Sudafrica, attraverso la Japan Oil, Gas and Metals National Corporation.

La Cina è il principale importatore mondiale di minerali di terre rare, con quasi 130.000 tonnellate. Questa dipendenza è spiegata da limitazioni geologiche: Pechino non possiede tutti i 17 elementi delle terre rare. Il suo vero potere risiede nella raffinazione (oltre il 90% della capacità globale). Il potere non deriva solo dal possesso delle risorse, ma anche dalla capacità di controllarne l’estrazione e le tecnologie ad esse associate. In altre parole, la Cina non possiede tutto, ma nulla le sfugge.

La Cina, nel corso degli anni si è offerta come partner chiave per l’Africa. Offre investimenti e finanziamenti nelle infrastrutture in scambio di risorse e diritti di esplorazione mineraria ed energetica nel continente africano.

Nelle profondità abissali del Pacifico si cela un tesoro ambito: noduli polimetallici, ricchi di cobalto, nichel e altri minerali. Queste risorse sono oggi al centro delle ambizioni geopolitiche globali. La zona di Clarion-Clipperton, che si estende per 4,5 milioni di chilometri quadrati tra le Hawaii e il Messico, è particolarmente apprezzata. Si ritiene che le sue riserve di nichel e cobalto superino quelle presenti sulla terraferma, aprendo la prospettiva di una vera e propria “corsa agli abissi”.

Nel 2025, la Cina ha ottenuto l’autorizzazione dall’Autorità Internazionale dei Fondali Marini per avviare i test di estrazione. Nel frattempo, il Giappone prevede di lanciare la sua più ambiziosa missione mineraria in acque profonde nel 2026, con l’obiettivo di estrarre giacimenti a una profondità di 5.500 metri vicino all’atollo disabitato di Minami-Torishima (vicino Iwo Jima).

Non esiste transizione verde, né internet, né nanoricerca medica, né armi avanzate, né intelligenza artificiale, né praticamente nessuna soluzione tecnologica senza le terre rare. Insomma, le questioni geoeconomiche sono un po’ più complesse di come ci vengono di solito presentate dai media.

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