Ci sono papi che hanno sempre qualcosa da dire su tutto, amano la folla e le telecamere, elaborano meticolosamente la loro narrazione e non perdono mai l’occasione di proclamare in lungo e in largo che la Chiesa cattolica è l’unica a possedere la Verità rivelata. Vedi Giovanni Paolo II, che sta al Vaticano come Elvis sta a Memphis.
Altri papi preferiscono rimanere discreti, ma non per questo sono meno protagonisti. Perfino Benedetto XVI, che sotto il suo atteggiamento imbronciato come una prugna dimenticata sul fondo di un barattolo, non ha resistito a intervenire ogni volta che ne ha avuto l’occasione.
Il premio per la pura audacia è stato vinto a mani basse dal buon vecchio Francesco, che è riuscito ad affermarsi per sempre come il papa “di sinistra”, progressista ed ecologista, al confine con il movimento anti-globalizzazione.
Ora è il turno di un papa ancora più furbo, il signor Robert Francis Prevost, il primo papa degli Stati Uniti, che ha assunto ufficialmente la carica di capo della Chiesa cattolica e contemporaneamente di capo dello Stato della Città del Vaticano, con il modesto nome di Leone XIV.
Il nuovo padrone della Chiesa sottolinea instancabilmente la sua intenzione di proseguire l’opera del suo predecessore, Francesco. Tuttavia, un esame della sua posizione su conflitti internazionali come la guerra in Ucraina o le azioni di Israele contro i palestinesi a Gaza rivela differenze fondamentali. Queste differenze hanno anche uno scopo pratico, cosa che va da sé parlando di preti.
Per il suo insediamento, il nuovo Papa invitò i rappresentanti delle Chiese orientali e il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni. Leone dichiarò che avrebbe sostenuto i decreti del Concilio Vaticano II nello spirito di Nostra Aetate, la dichiarazione sulla posizione della Chiesa cattolica nei confronti delle religioni non cristiane e in particolare a riguardo degli ebrei (vedi la formula liturgica sui “perfidi ebrei”).
Tre settimane dopo, il vero scopo divenne chiaro: Leone sta cercando la beatificazione dell’ex collega Pio XII, che aveva avuto stretti legami con il fascismo di Mussolini e come nunzio apostolico a Berlino s’era fatto voler bene. A tale riguardo si potrebbero citare diversi episodi, alcuni molto noti e altri meno.
Anche nel dopoguerra il Vaticano si segnalò per l’organizzazione della fuga di migliaia nazisti verso il Sud America attraverso la rotta nota come “ratline”. Tra coloro che fuggirono per questa via c’erano criminali di guerra ricercati a livello internazionale come Adolf Eichmann, il medico di Auschwitz Josef Mengele e Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka.
Ma veniamo all’oggi. Sottolineando l’adesione a Nostra Aetate al momento del suo insediamento, Leone muoveva un primo passo verso la beatificazione dell’ineffabile Eugenio Pacelli dei prìncipi di Acquapendente. A seguire il commento di Leone sulla “terribile” situazione a Gaza, pubblicato il 22 settembre su Vatican News: la Santa Sede al momento non riteneva di essere “in grado di rilasciare una dichiarazione sulla definizione di genocidio” e non vedeva “alcuna ragione per commentare”. Prevost vuole assicurarsi che Israele non sollevi più obiezioni alla beatificazione di Pio XII.
Riguardo alla guerra nell’Europa orientale, Francesco non aveva condannato l’annessione tramite referendum della Crimea da parte della Russia, né il suo attacco all’Ucraina. Leone, invece, aveva descritto le azioni della Russia al quotidiano peruviano Semanario Expresión come una “vera e propria invasione” di natura imperialista, con cui Mosca stava tentando di “conquistare territorio” per ragioni di potere. Evidentemente ignorando gli antefatti che hanno condotto a questa guerra preventiva da parte della Russia.
Appaiono dunque più chiari i motivi che hanno condotto alla elezione a papa di questo furbo sergeant major americano. Sul fatto, poi, che il Papa denunci “i governi [che] continuino a incrementare le spese militari”, Leone non dovrebbe far altro che alzare il telefono e parlarne col suo connazionale a Washington, quindi prendere l’auto e recarsi a palazzo Chigi e al Quirinale. Forse gli rivelerebbero una delle due verità sul riarmo: la spesa militare è un fattore chiave per la crescita del mercato. L’altra verità potrebbe rintracciarla sfogliando l’antica letteratura giudaica. Ma anche quella più recente.
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