Quando ci chiedono di votare per le elezioni politiche o per le europee, ce lo chiedono per tener bassi i nostri salari e le pensioni, per tagliare la spesa sociale.
Lo ha detto l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, che attualmente è un consulente della UE dopo essere stato per anni presidente della Banca centrale europea e, prima ancora, governatore della Banca d’Italia. È sufficiente ascoltare l’audizione di Draghi in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea tenuta nel marzo scorso:
«Siamo sicuri che vogliamo mantenere questo surplus commerciale con il resto del mondo? O piuttosto non è meglio sviluppare la domanda interna, non trascurare le nostre infrastrutture, spendere per la ricerca, per l’innovazione, per il clima?»
E ancora: «[...] noi abbiamo contratto i bilanci pubblici, abbiamo sacrificato la spesa pubblica, abbiamo compresso i nostri salari, anche perché in quegli anni noi pensavamo che eravamo in competizione con gli altri paesi europei quindi tenevamo i salari più bassi come uno strumento di concorrenza. Nel frattempo, abbiamo continuato a diventare sempre più poveri rispetto agli Stati Uniti che non avevano questo surplus (commerciale) quindi forse non era la strada giusta.»
Più sibillino ma non meno verace: «Quando dico concorrenza sleale non parlo di una concorrenza che si basa sui dazi, sulle tariffe, sui sussidi, ma anche su una artificiosa compressione della domanda interna con dei salari deliberatamente bassi.»
Dunque le scelte economiche della UE hanno mutato radicalmente il ruolo e la prospettiva dell’Europa intera, ma in particolare di alcuni Paesi. Hanno inciso sui redditi e sui consumi, creato disparità e precarietà, favorito l’immigrazione di manodopera e la delocalizzazione industriale, avuto effetti sulla demografia e tanto altro. Si dirà che ciò è ampiamente risaputo, e però sentirlo confermare da un euroburocrate del calibro di Draghi fa comunque un certo effetto.
Dov’è il dibattito politico e democratico, le riflessioni sul comportamento dei protagonisti stessi di quella stagione? Per quanto ci riguarda direttamente, non è stato solo Berlusconi – e ora i fascisti – ad aver mutato il profilo esistenziale del Paese e il suo sistema politico, qui c’entra in pieno il modello europeista/liberista fatto proprio dall’accozzaglia di ex piciisti pentiti e democristiani recidivi.
E ciò che è avvenuto sul fronte economico e sociale, sta avvenendo per quanto riguarda la politica estera, laddove la UE dimostra di essere un consorzio di Stati accomunati dall’ossessione per la Russia. Anche in questo i popoli dell’intera Europa, mai stufi di subire, hanno deposto il proprio onore e la propria dignità ai piedi di quest’ordine.
Nelle cancellerie della coalizione occidentale ha finito per prevalere la volontà, mai del tutto sopita, di regolare una volta per tutte i conti rimasti in sospeso dalla caduta del Muro: fin dal 2014 trasformare l’Ucraina in un avamposto in cui dissanguare l’eterno rivale che s’immaginavano collassasse economicamente con le sanzioni. Una storia può ricordarcene un’altra.
I persuasori, quelli più abili con i loro dosaggi sottili, sono diventati ginnasti di ciò che è considerato giusto dire e pensare. Sono l’emblema dell’indicibile declino dell’Occidente, così orgoglioso della sua civiltà, amano spogliarsi di ogni pudore e mostrare la loro merce grezza: la guerra buona contro quella cattiva, magari anche preventiva, i morti giusti e quelli che fanno solo statistica. Ma che balla, questi ladri sull’uscio che aspettano che tu esca.
La guerra non è semplicemente un’eventualità, ma è insita nella contesa capitalistica tra gli Stati, le grandi potenze se la giocano per il primato mondiale. Di fronte all’ulteriore rischio che questa guerra si trasformi in uno scontro fuori controllo, il problema della pace e del disarmo diventa la questione decisiva.
E però l’idea stessa di pace deve essere ridefinita. La pace non può essere ciò che le potenze imperiali e sub-imperiali ne fanno oggi: un mezzo di guerra, una pace che interrompe la guerra solo per armarsi e rilanciarla. La parola d’ordine deve essere “guerra alla guerra”, ma ciò non basta. La pace richiede la pacificazione della realtà. E la realtà ha bisogno di essere reinventata, e c’è un solo modo per farlo.


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